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Non chiamateli nazionalisti. L’intellighenzia a difesa del regime del ‘78

Tradotto in una trentina di lingue, Javier Cercas è famoso sia per i suoi romanzi che per le sue incursioni nell’arena politica, vere e proprie provocazioni che lo hanno reso assai noto soprattutto in Spagna.

Recentemente intervistato dal quotidiano El Periodico, lo scrittore ha comparato la crisi generata dal Covid-19 con il referendum d’autodeterminazione per la repubblica catalana svoltosi nel 2017: “questa crisi è terribile ma mi colpisce meno di quanto mi colpì l’altra. Fu incredibile“.

Dal suo punto d’osservazione, Cercas non ha visto neppure l’ombra del cigno nero che ha sconvolto la normalità del sistema. Non solo: la lunga catena di morti di questi mesi, le conseguenze socioeconomiche della pandemia (abbattutasi sulle classi popolari dell’Europa mediterranea piegate da più di un decennio di austerità liberista), le incerte prospettive che il capitalismo riserva ai lavoratori, non lo colpiscono quanto il pericolo corso dall’unità di Spagna nell’ottobre del 2017.

Per alcuni si tratta solo della percezione di un poeta, per altri di un confronto infelice. In ogni caso un’opinione che rivela la prospettiva dalla quale il nazionalismo spagnolo guarda al mondo. Non solo il nazionalismo del Partido Popular o di Vox ma anche quello di un intellettuale che si dichiara elettore “di sinistra“.

Il fatto è che l’opinione di Cercas è espressione di un retroterra politico culturale assai ampio, che gode di piena cittadinanza nel regime sorto dalla transizione spagnola.

Un retroterra di cui fa parte a pieno titolo Planeta, la casa editrice dell’ultimo romanzo di Cercas, una delle imprese che dopo la dichiarazione di indipendenza del 2017 ha subito annunciato il trasferimento della propria sede sociale a Madrid.

Un colosso mondiale il cui capo della sicurezza interna, Antonio López (ex poliziotto) nel 2014 trova il modo e il tempo per prestare i propri servizi a titolo di favore personale a un funzionario dello stato, il capo dell’Ufficio Antifrode di Catalunya, Daniel de Alfonso, svolgendo per quest’ultimo una indagine del tutto informale sul patrimonio del padre di Oriol Junqueras, (il leader di ERC imprigionato) a caccia di una qualsiasi irregolarità atta a screditare i leader indipendentisti.

Un’operazione ispirata, secondo le rivelazioni del quotidiano digitale Público, dal ministro dell’interno dell’epoca e svolta da un servitore dello Stato per il quale, nel retroterra politico culturale di radice franchista, la salvaguardia dell’unità di Spagna val bene il ricorso a metodi non ortodossi.

Così come non ortodossa sembra l’origine della fortuna di José Manuel Lara Hernández, il fondatore di Planeta, impresa passata di padre in figlio fino ai nipoti e trasformatasi attualmente nel primo gruppo editoriale spagnolo.

Secondo varie testimonianze, trascritte dal giornalista Andreu Barnils, il vecchio Lara, entrato a Barcellona nel 1939 con l’esercito franchista, “faceva quello che voleva perché era il presidente del sindacato verticale delle arti grafiche. Rivestito di questa carica, e armato, entrava nelle tipografie. Così cominciò l’accumulazione del capitale dell’impresa Lara“, con il sequestro arbitrario delle riserve di carta.

Una famiglia arricchitasi grazie al franchismo, il cui potere è riconosciuto e omaggiato perfino dal catalanismo moderato e la cui fortuna è passata intatta attraverso “la transizione”, così da  rappresentare alla perfezione la continuità politico-economica del regime e la persistenza del suo retroterra culturale.

Una continuità accettata e normalizzata da buona parte dalle sinistre dello Stato, tanto che il segretario dei socialisti catalani, Miquel Iceta, ha ritenuto opportuno condividere l’opinione di Cercas sulla crisi attuale, riproponendo l’intervista concessa dallo scrittore a El Periodico in un proprio tweet.

Un riconoscimento pubblico dell’intellettuale di punta dell’unionismo, autore tra l’altro di dichiarazioni tanto nette quanto discutibili come “non vedo altra forma di essere leale al paese che essere leale al governo“. Un’opinione che riporta il pensiero politico a ben prima della rivoluzione francese ma che nel retroterra del nazionalismo spagnolo è pienamente compatibile con l’appartenenza alla “sinistra”.

Così come l’opinione secondo la quale il catalanismo sarebbe diventata una ideologia incompatibile con la democrazia, anche questa espressa da Cercas.

Se l’anticatalanismo è ormai tollerato in gran parte dello spettro politico spagnolo, la difesa dell’unità di Spagna e l’accettazione della monarchia sono entrate a pieno titolo nella pratica politica della “sinistra” statale, spesso anche di quella che si pretende “radicale”, che non ha risparmiato ai suoi elettori alcune preoccupanti ambiguità.

Nel novembre del 2018 Pablo Iglesias rivendicava la repubblica in un articolo pubblicato da El País, un articolo criticato proprio da Javier Cercas che, dalle stesse pagine, difendeva qualche settimana più tardi il supposto carattere democratico della monarchia spagnola (tanto da ricevere l’elogio pubblico del re Filippo VI).

Ma prima delle elezioni del novembre 2019 Podemos ha discretamente steso un velo sulla repubblica, che non figura nel suo ultimo programma elettorale. Del resto non figurava neppure nel programma che nel 2016 aveva elaborato insieme a Izquierda Unida.

Quest’ultima però ha riaggiustato il tiro e, pur integrandosi in Unidas Podemos, nelle due elezioni del 2019 ha presentato un programma proprio nel quale rivendica uno Stato federale e repubblicano.

Le ambiguità sull’unità dello Stato monarchico hanno significato un deciso scivolamento delle sinistre statali sul terreno più tradizionale del conservatorismo spagnolo, da sempre fedele al testamento del dittatore, secondo il quale la Spagna doveva essere una, grande y libre.

Questo scivolamento a destra, accentuatosi subito dopo il referendum del primo ottobre 2017, ha contribuito sia pure involontariamente alla popolarizzazione dell’anticatalanismo, spostando a destra tutto il quadro politico e finendo per facilitare la crescita improvvisa e l’affermazione elettorale di Vox in pressoché l’intera penisola. 

Interprete di primo piano di questo cedimento a destra, l’intellighenzia ben rappresentata da Cercas (preteso elettore “di sinistra”) è indietreggiata più o meno consapevolmente a seconda dei casi, fino a un retroterra politico culturale che condivide con il monarca, le élites politiche ed economiche (che affondano le loro radici nel franchismo) e il nuovo partito della vecchia destra radicale.

Nell’intervista al El Periodico, Javier Crrcas sostiene di non amare gli intellettuali impegnati. E nel suo caso sembra più azzeccato parlare di un intellettuale organico, non al partito o alla classe rivoluzionaria bensì al regime.

Un’intellighenzia docile, un alleato insperato per il regime del ’78.

Ma non chiamateli nazionalisti…

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