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La Spagna al voto

Domenica 23 luglio si terranno le elezioni politiche in Spagna.

Si tratta di elezioni anticipate dovute alla decisione dell’attuale Premier socialista, Pedro Sanchez, di sciogliere il Parlamento.

Una scelta annunciata durante una conferenza stampa il 29 maggio, all’indomani delle elezioni municipali e regionali che avevano visto una netta affermazione del Partido Popular di Núnez Feijóo ed una netta sconfitta dei socialisti del PSOE

Quest’ultima tornata elettorale aveva visto, a destra, la scomparsa di Ciudadanos – che non parteciperà alle politiche -, il crollo di Unidas/Podemos (che ora integra Sumar, in una pozione tutt’altro che di forza) – e la conferma dell’estrema destra di Vox, che potrebbe divenire il terzo partito della monarchia spagnola a poco più di una decina di anni dalla sua creazione.

L’attuale ciclo politico iberico si sta caratterizzando per un prepotente ritorno al bipolarismo, con una preponderante dinamica bipartitica ed una accentuata personalizzazione in favore delle figure di spicco delle varie formazioni: Sanchez e Feijóo soprattutto, insieme a Díaz e Abascal.

Le tendenze che abbiamo riscontrato negli ultimi mesi sono anche il prodotto di una crisi politica che si è innestata nel marzo del 2021 con la fine del ruolo di Ciudadanos come ago della bilancia a destra, e l’impasse politico della leadership di Podemos.

Lo scontro sarà tra un fronte progressista composto dal PSOE e da Sumar, guidata dalla 52enne galiziana Yolanda Díaz – vice-Premier del governo di coalizione uscente, nonché Ministra del Lavoro – e un fronte anti-Sanchez (vittorioso a maggio) che mette insieme il PP ed i neo-falangisti di Santiago Abascal, senza che tra i Popular e Vox ci sia stata una alleanza formale.

PP e Vox governano insieme tra l’altro in tre regioni: Castilla y León, Comunidad Valenciana e Estremadura, e potrebbero ora governare la Spagna.

A parte le frecciatine che i due leader si sono tirati in campagna elettorale, con il leader dei Popolari che ha tacciato Vox di non essere “affidabile” e Abascal che ha rivendicato di non essere la “ruota di scorta del PP”,  i voti dei neo-falangisti sarebbero comunque  indispensabili in caso di mancata maggioranza assoluta per il PP, mentre potrebbero completare il loro processo di sdoganamento entrando nel governo centrale.

Sarebbe un contesto inedito dalla fine del franchismo fino ad oggi.

Vox ha vomitato la sua becera propaganda reazionaria su immigrazione, violenza di genere e cambio climatico, e Feijóo – che rappresenta una posizione più “centrista” rispetto a quella del precedente leader Casado – ha cercato di marcare la distanza rispetto alle castronerie più inascoltabili del leader di Vox e dei suoi colleghi di partito.

Ma il tutto sembra più che altro  improntato al solito “gioco delle parti”.

Infatti, ai due maggiori partiti spagnoli (PSOE e PP), saranno indispensabili rispettivamente i voti della coalizione della sinistra radicale Sumar, che raggruppa una quindicina di formazioni – inclusa ciò che resta di Podemos – e di Vox.

Le formazioni esterne a questi due poli hanno un peso rilevante a livello “regionale” in particolare nei Paesi Baschi (PNV e EH Bildu, per certi versi erede della sinistra aberzale), in Catalogna (ERC,JUNTS e CUP) ed in Galizia (BNG) e su alcuni temi, che hanno ampliato i diritti sociali o le libertà di genere, il loro voto è stato determinante.

Se alla Moncloa governerà la coalizione tra PSOE e Sumar, la sinistra radicale promette di dare battaglia su alcuni temi che sono stati al centro di questa breve campagna elettorale: la settimana lavorativa di 32 ore a parità di salario, un vasto programma di costruzione e di manutenzione degli alloggi, il diritto ad una «eredità universale» di 20 mila euro per tutti coloro che abbiano compiuto i 18 anni, finanziata con una tassa sui grandi capitali.

A chi dubita del realismo politico della promesse della Díaz, la Ministra risponde con il bilancio dell’attività del suo Ministero dal 2020: un innalzamento del salario minimo del 47% – contro l’opinione dei socialisti – una legge per i lavoratori delle piattaforme digitali divenuta un riferimento in Europa, una riforma del mercato del lavoro che ha ridotto la precarietà.

Femminismo ed ecologismo sono altri due pilastri della coalizione della sinistra radicale, piuttosto moderata – per usare un eufemismo – su alcuni temi di politica internazionale riguardarti il ruolo della NATO e della UE, di cui chiede una utopistica “democratizzazione”.

I punti di forza meritevoli, dal nostro punto di vista, sono sull’autodeterminazione del popolo del Sahara Occidentale, il riconoscimento dello Stato Palestinese, una “interlocuzione pacifica, autonoma e critica con la Cina”, un’apertura alle esperienze progressiste latino-americane.

Ma sulla questione centrale della guerra all’Ucraina la posizione è sostanzialmente subordinata a quella del PSOE, che è tout court per il sostegno politico e militare a Kiev.

Il modello politico della Ministra è quello sperimentato a Barcellona con la ex sindaca Ada Colau, di cui ha scelto una figura a lei molto vicina come l’eurodeputato ecologista Ernest Urtasun; e dentro Sumar sono presenti la scissione “moderata” del co-fondatore di Podemos, Errejón, Más País (divenuta prima forza politica di sinistra a Madrid) e Compromís, una coalizione di forze di sinistra della regione di Valenza.

La Díaz ha recuperato nella sua squadra altre figure di spicco di Podemos come Pablo Bustinduy, o ancora Nacho Álavarez, e puntato su figure come la sua portavoce per la questioni legate al femminismo, come Elizabeth Duval, o Tesh Siti, 29enne nata in un campo profughi sahraoui in Algeria.

Se alla Moncloa governeranno PP e Vox si aprirà uno scenario non dissimile a quello che si sta riproducendo in vari paesi della UE, con le tradizionali forze conservatrici a fianco dell’estrema destra.

Questo, per ciò che riguarda il contesto iberico, si caratterizza per una spiccata indole “anti-indipendentista” contro baschi, catalani e galiziani in particolare, e una volontà di centralizzare alcuni aspetti della gestione della cosa pubblica, togliendo margini d’azione alle varie autonomie.

L’ultima sortita di Abascal ha riguardato proprio la Catalogna, affermando che – in caso di un governo PP e VOX – di non avere dubbi che torneranno tensioni.

In un incontro organizzato martedì da Europa Press ha dichiarato: «Imporre la legge, restaurare gli strumenti di cui necessita lo Stato per difendere l’unità, che è la base della Costituzione».

In generale la destra spagnola – sia moderata che estrema – rimprovera il fatto che il governo di “minoranza” dei socialisti si sia dovuto appoggiare alle formazioni “autonomiste” per far passare alcune leggi progressiste.

Un altro tema per cui si caratterizza l’estrema destra spagnola è l’attività incessante contro l’ampio fronte progressista in America Latina e l’appoggio agli anti-castristri ed anti-chavisti, come a tutte le destre golpiste latino-americane, di cui il paese iberico è diventato un retroterra politico ideale, ed allo stesso tempo un trampolino di lancio per ciò che viene deciso a Bruxelles.

Bisogna ricordare che in Spagna vivono più 3 milioni di latino-americani – senza contare le “seconde generazioni” – e che alcuni importanti esponenti delle oligarchie latino-americane hanno scelto come propria capitale d’adozione proprio Madrid, che è divenuta una sorta di “nuova Miami”.

In generale, nella politica spagnola, al di là degli approcci – conservatori o progressisti – il rapporto con l’America Latina è centrale.

É difficile prevedere il risultati che usciranno dalle urne questa domenica, considerando la “variabilità” dei sondaggi ed il fatto che vengono poi puntualmente smentiti dal voto reale.

La Spagna, dopo Italia, Svezia e la Finlandia ed in ultimo Grecia – dove si tratta di una conferma – potrebbe “svoltare a destra” e celebrare l’ennesima convergenza all’interno dell’Unione Europea tra le forze moderate del liberismo conservatore e l’estrema-destra che puntano a diventare il nuovo asse politico a Bruxelles.

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1 Commento


  • Giancarlo staffo

    Unidas/Podemos con la sua subalternità alla guerra alla Nato e alla Ue, prigioniera del suo eurocentrismo opportunista, è ormai molto difficile e inproprio chiamarla “sinistra radicale”

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