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Angela Davis: memoria storica della lotta afro-americana

Credo nella vita.

Credo nella nascita.

Credo nel sudore dell’amore e nel fuoco della verità.

E credo che una nave smarrita,

guidata da marinai stanchi, col mal di mare,

si possa ancora condurre

in porto

Assata Shakur, “Affirmation

Il giugno del 1972 Angela Davis viene assolta dall’accusa di omicidio di un giudice bianco. È stata probabilmente la prigioniera politica più conosciuta al mondo. La campagna internazionale per la sua liberazione ha esercitato una fortissima pressione rispetto ad un giudizio che poteva comportare la pena capitale.

Insieme alla campagna per la liberazione di Sacco e Vanzetti condotta dal Soccorso Rosso Internazionale tra le due guerre mondiali, e quella in favore dei coniugi Rosenberg – poi giustiziati nell’America “maccartista” – la campagna per l’attivista afro-americana e per i prigionieri politici nord-americani del tempo è stata una vittoria di un movimento internazionale ed un pugno nello stomaco a chi ne aveva fatto “il nemico pubblico numero uno”.

Un successo che sarà poi replicato solo in parte dalla campagna internazionale per salvare la vita a Mumia Abu Jamal, tutt’ora detenuto nelle carceri statunitensi.

Quegli anni intensi e la biografia della Davis fino alla sua liberazione sono stati raccontati con maestria nella ricostruzione storica da Shola Lynch in Free Angela Davis and all political prisoners, del 2012. Forse le parti più toccanti del documentario sono quelle riguardanti la relazione con George Jackson, militante delle Black Panthers Party giustiziato nel carcere di San Quentin, in California, il 21 agosto del 1971 – era stato detenuto ininterrottamente dai suoi 18 anni, a fine anni cinquanta – dopo essere riuscito a far uscire clandestinamente gli scritti che comporranno “Con il sangue agli Occhi”.

Alcuni passaggi di quella raccolta sembrano oggi più una profezia di ciò che sta avvenendo che una analisi della società nord-americana del tempo.

Jackson sarà una delle “vittime” dell’omicidio sistematico dei leader afro-americani da parte dell’establishment, la continuazione del destino riservato agli schiavi che si ribellavano al proprio padrone o fuggivano.

Angela Davis è nata e cresciuta in una città simbolo dell’odio razziale contro i neri e teatro di uno dei più feroci attentati contro la comunità afro-americana, che portò alla morte – il 15 settembre del 1963 – di tre ragazze di 14 anni ed una bambina di undici, oltre ad almeno 14 feriti, in seguito al “bombardamento” di una chiesa battista.

Gli scontri che seguirono causarono la morte di altri due adolescenti afro-americani ed altri feriti. Fu uno spartiacque nella lotta al segregazionismo che toccò da vicino la Davis, testimone diretta di quei fatti, come descrisse in una famosa intervista dell’epoca in cui ricostruiva il clima di terrore in cui la sua famiglia e la sua comunità erano costrette a vivere; una situazione che implicava l’autodifesa armata dei suoi membri per non soccombere alla violenza del KKK, fomentata dai politici locali.

In quella intervista la Davis “ribaltò” la questione della violenza, connotandone l’essenza all’interno di un sistema che si perpetuava con il terrore, proprio come succede nella società attuale, dove la vulnerabilità sociale degli afro-americani si coniuga con il terrore poliziesco.

In seguito a questo episodio la pianista e cantante Nina Simone compose la prima canzone di denuncia, che diventerà uno degli inni del movimento dei diritti civili: “Missisipi Goddam”, censurata in molti Stati del Sud. Fu proprio questo uno degli episodi che le fecero maturare una coscienza politica e che costituirono un “giro di boa” per il suo percorso personale ed artistico, fino ad allora fortemente penalizzato dal razzismo imperante anche nell’ambiente della musica.

L’album del 1964 che raccoglieva i brani cantati e suonati nei suoi concerti, tra cui “Missisipi Goddam”, incontrò la censura delle emittenti radiofoniche. Semplicemente, i dischi tornavano indietro “spezzati” alla casa di produzione, come tra l’altro viene raccontato nel documentario biografico di Liz Garbuz What’s happened miss Simone?

Il documentario mostra tra l’altro come la coerenza delle sue posizioni politiche radicali la marginalizzò, nonostante il suo incredibile talento artistico ed il suo successo internazionale, costringendola per lungo tempo a vivere all’estero ed in condizione di indigenza. La Simone – tra l’altro amica intima della vedova di Malcom X – non faceva segreto del suo appoggio alla lotta armata afro-americana, dichiarandolo nelle interviste come durante i suoi concerti.

Nina Simone cantò questa canzone di fronte alle 10mila persone che sfilarono nella famosa marcia di Selma fino a Montgomery nel 1965, uno degli episodi chiave del movimento dei diritti civili. Il film Selma – la strada per la libertà, del 2014, per la regia di Ava DuVernay, si ispira agli avvenimenti accaduti anche se omette il particolare del reale livello di autodifesa, intrapreso dopo la carneficina della mobilitazione precedente.

Insieme a Strange fruit, interpretata da Billie Holyday, è forse la più bella canzone di denuncia  cui verrà dedicato un documentario anonimo da Joel Katz nel 2002. Gli “strani frutti”, erano i corpi penzolanti dei neri linciati dell’Alabama – la canzone fu scritta tra le due guerre – “Black bodies swingin’ in the Southern breeze

Ma torniamo alla Davis…

Angela Davis, in tutti questi anni è stata la “voce dei senza voce”, ha denunciato con forza il prison-industrial complex, la militarizzazione del controllo sociale negli Stati Uniti, il profondo intreccio tra le contraddizioni di razza, classe e genere, e la politica di apartheid dello Stato d’Israele nei confronti dei palestinesi. Tutti i giovani attivisti – da Occupy passando per Black Lives Matter – hanno potuto trarre ispirazione, imparare e confrontarsi insieme ad altre autrici ed autori fondamentali per comprendere il presente della condizione afro-americana e le sue sfaccettature.

Il fuoco della verità”, come dice Assata.

Ed è dall’impossibile separazione tra impegno politico e ricerca scientifica che bisogna partire per capire la cifra del suo contributo e la sua indipendenza di giudizio. Una donna nera e comunista è forse il peggior nemico che ancora oggi abbia di fronte l’establishment, considerato che sempre una donna comunista afro-americana – Assata Shakur – è una delle persone maggiormente ricercate dalla FBI e vive da anni a Cuba dopo la sua evasione da un carcere di massima sicurezza.

A quasi 50 anni da quella assoluzione abbiamo voluto tradurre questo articolo tratto da Meaww, che mette in luce come le attuali lotte afro-americane siano strettamente connesse con quelle del passato. Considerato che c’è chi pensa che l’ex-presidente Barack Obama sia l’icona dell’emancipazione degli afro-americani – quando proprio le radici di ciò che sta accadendo oggi affondano in ciò che ha fatto e soprattutto non ha fatto durante gli otto anni in cui è stato alla Casa Bianca – forse è meglio rinfrescare la memoria.

Buona lettura

*****

Questo giorno nella storia: L’attivista afroamericana Angela Davis viene assolta dall’omicidio di un giudice bianco nel 1972

La Davis è stata riconosciuta a livello internazionale come la “prigioniera politica” più famosa d’America durante la sua prigionia e il processo per cospirazione tra il 1970 e il 1972.

La morte di un nero disarmato per mano di un poliziotto bianco ha scatenato una delle più grandi rivoluzioni del nostro tempo. George Floyd è morto per mano del poliziotto di Minneapolis Derek Chauvin il 25 maggio. Il privilegio bianco e la brutalità della polizia sono diventati all’istante il centro di una protesta scoppiata a Minneapolis e poi diffusasi in tutta la nazione.

Dieci giorni dopo, più di 40 città sono in isolamento, mentre i manifestanti continuano a sciamare per le strade e a scontrarsi con la polizia. Il 3 luglio, altri tre agenti di polizia sono stati ufficialmente accusati della morte di George Floyd, nel bel mezzo dell’infuriato movimento Black Lives Matter. Come dice la figlia di Floyd: “Papà ha cambiato il mondo”, ma le cose sono lontane dal terminare. Questo è solo l’inizio.

Mentre continuiamo la lotta contro il razzismo, il suprematismo e la brutalità della polizia, ricordiamo anche ogni individuo, vivo o morto, che ha lavorato per elevare la comunità afroamericana. E tra queste figure di spicco c’è l’attivista nera, femminista, autrice e rivoluzionaria Angela Davis, che in questo giorno di 48 anni fa è stata assolta da una giuria di soli bianchi da false accuse di aver ucciso un giudice bianco.

Ha ottenuto il riconoscimento internazionale come la “prigioniera politica” più famosa d’America durante la sua prigionia e il processo per le accuse di cospirazione tra il 1970 e il 1972. Davis è nata nel 1944, a Birmingham, Alabama, città che si è imposta all’attenzione nazionale durante le lotte per i diritti civili, agli insegnanti delle scuole. Divenuta professoressa di filosofia, Davis è stata fortemente legata al Black Panther Party, un’organizzazione socialista rivoluzionaria fondata da studenti marxisti afroamericani nel 1966. Negli anni Sessanta e Settanta, Davis ha lavorato incessantemente per sostenere la causa dei prigionieri neri.

Tuttavia, nonostante i suoi eccellenti risultati, le sue opinioni politiche le hanno fatto negare il rinnovo della nomina nel 1969, mentre l’allora governatore della California Ronald Reagan aveva cercato di farla licenziare. Un anno dopo, la Davis è diventata la “criminale più ricercata” del Federal Bureau of Investigation (FBI), dopo uno scontro armato in un tribunale nella Hall of Justice della California – Marin County – nel 1970, in cui erano morti un giudice e altre quattro persone, uno dei quali amico della Davis. Erano stati gli agenti a sparare a queste persone, ma una pistola recuperata nella mischia fu fatta risalire alla Davis.

Gli investigatori trovarono un capro espiatorio in lei, che aveva fiutato l’odore di una montatura. Quando la polizia l’ha cercata, è andata fuori dai radar diventando una fuggitiva, mentre il presidente Richard Nixon l’ha bollata come “terrorista”.

E’ sfuggita alla polizia per due mesi prima di essere catturata e detenuta a New York, nell’ottobre 1970, tornando poi in California per affrontare le accuse di rapimento, omicidio e cospirazione per le quali avrebbe potuto essere giustiziata. Era stata sotto processo per la sua vita e la sua cattura ha scatenato una protesta internazionale con i progressisti americani, che hanno preso il suo processo come un fatto personale. Sono venuti in sua difesa e si sono battuti per “Liberare Angela”, la donna a cui persino John Lennon e Yoko Ono hanno cantato un’ode.

Nel 1971, aprì il suo processo con una solida dichiarazione che risuonò in tutta la nazione, affermando che “sono innocente di tutte le accuse che mi sono state mosse dallo Stato della California“. E mentre veniva assolta al suo ultimo processo nel 1972, i suoi ex fratelli delle Black Panther, che erano stati prigionieri politici insieme a lei, non furono altrettanto fortunati.

Da allora, la Davis è cresciuta come un’attivista di spicco che ha condotto una lunga e dura campagna contro le carceri, considerandole istituzioni brutalizzanti, razziste, capitalistiche e di estorsione.

Divenne difensore di un imputato e guidò movimenti di resistenza contro le cause strutturali della disuguaglianza e dell’ingiustizia. Ha continuato con tutto il cuore a rendere il suo tempo uno sforzo per difendere le donne nere, i prigionieri e la comunità nera impoverita. È stata tra le 100 donne dell’anno del “Times” del 2020.

C’è una linea ininterrotta di violenza della polizia negli Stati Uniti che ci riporta ai tempi della schiavitù, alle conseguenze della schiavitù, allo sviluppo del Ku Klux Klan“, ha detto Angela Davis in un’intervista con il The Guardian. “C’è così tanta storia di questa violenza razzista che il semplice fatto di consegnare una persona alla giustizia non disturberà l’intero edificio razzista“.

Foto di Patrizia Cortellessa

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