Abbiamo visto tutti il filmato del brutale assassinio di George Floyd. Il video ha fatto il giro del mondo. Abbiamo visto le manifestazioni negli USA e nel mondo contro il razzismo e per chiedere giustizia per Floyd. Tanta rabbia, espressa non solo a parole.
Negli USA e nel mondo sono rare le sentenze di condanna di poliziotti responsabili di violenze o omicidi. Anche nel caso di Floyd solo le manifestazioni e la forte pressione mediatica hanno portato alla incriminazione dell’assassino per omicidio volontario (e non solo colposo come inizialmente contestato) e all’arresto e alla incriminazione degli altri tre poliziotti (inizialmente lasciati liberi con l’accusa di semplice favoreggiamento).
Questo dimostra che le manifestazioni e la copertura mediatica sono indispensabili per condizionare le scelte di una giustizia di classe e di una politica complice.
Il contrasto tra quanto accaduto negli USA e quanto accade in Palestina è abissale.
A Gaza e nei Territori Palestinesi Occupati da decenni migliaia di palestinesi vengono uccisi da poliziotti, soldati e coloni sionisti. Sempre nel silenzio e nella impunità più totali. Chi lo sa quanti palestinesi sono stati uccisi sul confine di Gaza mentre chiedevano pacificamente il semplice rispetto del diritto internazionale?
Eppure abbiamo i filmati.
Quanti hanno sentito il nome di Eyad El Halak, giovane autistico ucciso da poliziotti israeliani 5 giorni dopo Floyd?
Perché per Halak non c’è stata alcuna mobilitazione se non in Palestina?
Perché non ne è stata data neppure notizia dai media occidentali?
Perché l’impunità di Israele passa attraverso il controllo e la complicità dei media.
Il controllo è capillare. In una recente trasmissione della RAI si è affermato falsamente che la capitale di Israele è Gerusalemme.
Presto la knesset renderà legale secondo le leggi del regime, la rapina di altro territorio palestinese, così come nel luglio 2018 ha dichiarato legale l’apartheid. Accreditato come la sola democrazia del Medio Oriente, in realtà è uno Stato razzista che pratica l’apartheid, segue una logica suprematista coloniale, viola il diritto internazionale e stermina impunemente un popolo sotto occupazione.
L’alleanza strategica tra Stati Uniti e lo stato sionista d’Israele è radicata in storie simili di espulsione di popoli indigeni, colonialismo d’insediamento e razzismo.
Gli Stati Uniti hanno una storia oscura di genocidio dei nativi americani, schiavitù degli Africani e discriminazione razziale lunga 400 anni. Mentre il razzismo legalizzato può avere una fine, il relativo effetto persiste culturalmente, socialmente ed economicamente.
Gli Stati Uniti vedono i sionisti come i propri alleati naturali perché hanno origini e storie coloniali simili.
Allo stesso modo i sionisti vedono gli Stati Uniti come una fonte di legittimità delle loro politiche, date le somiglianze storiche e attuali dei due paesi.
Mentre il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti ha delegittimato la discriminazione formale – anche se il razzismo sistemico persiste – i Palestinesi soffrono sotto un sistema di razzismo legalizzato, espulsione e confinamento nei ghetti.
Questo sistema nega loro i diritti più elementari di cui godono le persone di tutto il mondo, come la libertà di movimento, il diritto all’istruzione e all’assistenza medica e la capacità di soddisfare bisogni di base.
La legge dell’occupante afferma che il “diritto di esercitare l’autodeterminazione nazionale” nella Palestina storica è “unico per il popolo ebraico”.
Ciò che unisce i razzisti in ogni luogo è la convinzione che essi hanno caratteristiche superiori a quelle di una razza o religione diversa. Ciò significa che la lotta contro ogni forma di discriminazione razziale deve essere globale.
E’ il capitale che porta, nel suo patrimonio genetico, non solo il classismo ma il colonialismo, l’imperialismo e la degenerazione cancerogena del razzismo.
Ispirato dall’articolo di Ahmed Abu Artema – Da Minneapolis alla Palestina, il razzismo è nemico comune – https://contropiano.org/news/
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francesco giordano
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