L’operazione militare francese nel Mali, il cuore del Sahel, era stata battezzata Serval, nome di un felino selvatico originario dell’Africa sub sahariana. Fermare l’avanzata dei presunti jihadisti verso la capitale del Paese era stato il pretesto dell’intervento, iniziato nel mese di gennaio del 2013 e terminata l’anno seguente.
Il mese di agosto del 2014 l’operazione Serval è stata sostituita dall’operazione Barkhane, nome di una particolare duna ‘migrante’ col vento nel deserto sahara-saheliano. Costituita da una forza francese di circa 5 mila militari ha la sua sede principale nella capitale del Tchad, N’Djamena.
Lo scopo affermato dell’operazione è quello di fare in modo che gli Stati del Sahel acquisiscano la capacità di assicurare, in modo autonomo, la loro sicurezza. La strategia riposa, almeno sulla carta, su un approccio globale (politico, sicuritario e dello sviluppo).
L’operazione Barkhane è di natura anti-insurrezionale contro i gruppi terroristi armati di ispirazione jihadista. Nel frattempo le forze in campo si sono moltiplicate in modo proporzionale ai soldi, ai militari e ai gruppi armati. Si prospetta una guerra di lunga durata che oltre a migliaia di morti ha creato centinaia di migliaia di sfollati, rifugiati e intere zone abbandonate dallo Stato.
Il panmilitarismo continua a proporsi come profezia che si (auto) avvera: chi di spada ferisce di spada perisce, sta scritto.
Takouba è il nome attribuito alle forze speciali europee che dovrebbero aiutare quelle maliane nella lotta contro il terrorismo nel Sahel. Ora Takouba è una parola in Tamachek, la lingua dei Tuareg, che significa la spada usata nella tradizione per proteggere l’onore. Il detto tuareg, infatti suona così… “che i tuoi schiavi proteggano il gregge e che la tua takouba protegga il tuo onore”.
In ambito bellico, si sa, l’onore delle armi è tenuto in alta stima, molto più della pace che non interessa a quelli che contano. D’altra parte, per parafrasare, la guerra è una cosa troppo importante per lasciarla nella mano dei generali. E allora ecco che spunta dal cilindro la forza Takouba.
Detta forza era stata annunciata, secondo la ministra della difesa francese, Florence Parly, da Emmanuel Macron a l’occasione del contestato incontro di Pau. Il ‘summit’ era stato convocato dallo stesso ineffabile Macron che voleva mettere a tacere le voci crescenti di dissenso di una parte della società civile dei paesi africani in guerra contro la presenza francese.
L’epidemia indotta del Covid 19 ha poi messo a tacere chiunque avesse avuto velleità alternative alla guerra totale, perché gli interessi economici e strategici erano e sono ingenti. E dunque, oltre l’operazione Barkhane, la forza delle Nazioni Unite ‘Minusma’, la presenza di accordi bilaterali di addestramento e formazione militare, il G5 Sahel, altre migliaia di militari, ecco il prossimo arrivo della forza europea battezzata Takouba.
Secondo la ministra Parly, i risultati delle operazioni sono assai incoraggianti, in particolare nelle zone delle ‘tre frontiere’; Burkina, Mali e Niger. Proprio in questa regione, si registrano gli abusi più consistenti nei confronti dei civili.
Alcuni di questi sono stati discussi giorni fa dalla Commissione sui Diritti Umani delle Nazioni Unite, che ha invitato i militari a terminare le violenze e i massacri sulle popolazioni locali.
Secondo la ministra della difesa, estoni e svedesi sono già della partita, ed i cechi hanno dato il loro accordo di principio, mentre altri Paesi manifestano interesse per unirsi alla forza europea Takouba. Un primo contingente dovrebbe essere operativo prima della fine dell’estate e comprenderà un centinaio di militari presi dalle forze speciali.
L’Unione Europea esprime la sua inquietudine sulla possibile estensione della crisi ad altri Paesi vicini e a quelli della Costa di Guinea, sull’Atlantico. A questo proposito dall’Unione Europea sono stati promessi altri 194 milioni di euro di rinforzo per le forze di sicurezza.
Non si capisce dunque perché si dovrebbe far cessare una guerra che arricchisce molti e che soprattutto conferma che solo con guerra si potrà generare la pace. In effetti le armi, in Africa, non mancano. Sono stimate, secondo lo specialista George Berghezan in una recente intervista, a circa 40 milioni, per buona parte possedute in modo illecito, e una dozzina di milioni di armi in Africa Occidentale.
Creare le guerre per vendere le armi e usarle per creare le guerre è una storia troppo conosciuta per stupirsi della perennizzazione dei conflitti armati. Senza dimenticare, last but not least, ultimo ma non meno importante, che la corruzione prolifica laddove ci sono somme cospique di denaro.
Il Niger, ad esempio, ha investito miliardi di franchi per la sua difesa ed è di queste settimane l’inchiesta per chiarire nomi e mandanti del misfatto. Le prime stime, filtrate dal rapporto, parlano di circa 116 milioni di euro che mancano all’appello.
Chi di spada ferisce di spada perisce, così sta scritto.
Niamey, giugno 2020
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa