Malgrado quello che si dice e scrive, la situazione economica dell’Argentina è grave, e per di più in piena pandemia di covid-19. La crisi che si avvicina sarà peggiore di quella del 2001, che è terminata con l’esplosione del “che se ne vadano tutti” ottenendo, almeno, che il presidente Fernando de la Rúa fuggisse in un elicottero.
Però bisogna essere chiari: l’esplosione sociale – contro il governo neoliberista di Mauricio Macri – in Argentina è stata interrotta dal trionfo del Frente de Todos nelle elezioni primarie dell’11 agosto. È sospesa, perché le sue cause permangono.
Con un presidente come Alberto Fernández, che si autoqualifica come “moderato”, questo governo insiste con un Fronte Nazionale che coinvolge una parte maggioritaria della classe lavoratrice e i settori popolari, ma anche i gruppi economici.
Questo è un governo discusso, che molti speravano fosse di transizione. E bisogna rilevare che in mezzo alla pandemia ha potuto mettere nell’agenda politica temi come l’imposta sulla ricchezza, l’esproprio della fallita agro-esportatrice Vicentin e la realtà di un potere giudiziario compiacente con i potenti.
Il presidente, preoccupato di occuparsi prioritariamente – e quasi esclusivamente – della pandemia e della quarantena, ha formulato una frase o espresso un desiderio di cui, forse, dopo potrà pentirsi: “Vogliamo un capitalismo nel quale vincano tutti”. Difficile da assimilare.
Fernández ha affermato che i suoi contatti con imprenditori e sindacalisti puntano a costruire «un nuovo contratto sociale» per creare in Argentina «un equilibrio sociale più giusto». Ha detto che con la dirigenza delle grandi imprese «siamo concordi sul concetto che un capitalismo che non sia più giusto non è un buon capitalismo».
Ma non sorprende: è ripetizione del “capitalismo progressista” di Joseph Stiglitz, linea che segue il suo ministro dell’Economia, Martín Maximiliano Guzmán, protagonista dei negoziati sul debito estero con i fondi d’investimento e gli organismi multilaterali, e che la destra, che preferirebbe un imprenditore in quel portafoglio, disprezza.
La mancanza di autocritica, che tante volte hanno rimproverato al kirchnerismo, sembra aver trovato il suo rovescio nel gabinetto di Alberto Fernández.
Come un mantra flagellante, in privato, i suoi collaboratori più vicini riconoscono che non si è data sufficiente importanza nel rivendicarsi la quarantena man mano che si avvicina il picco delle infezioni da Covid-19; che avrebbero dovuto spiegare meglio alla società la crisi della agro-esportatrice Vicentin per giustificare l’intervento; e che non sono stati neanche all’altezza della sfida lanciata dall’annuncio della Latam di smettere di operare e licenziare quasi duemila dipendenti, rimarca Alejandro Bercovich.
Se uno degli arieti con cui si asfissiano i popoli sono i debiti, il negoziato del governo non include alcuna sottrazione di capitale: ha già consegnato 10.000 milioni di dollari di benefici ai creditori, che aspirano a prendere i loro bond a 55 e, puntando su una crescita dell’economia nazionale, venderli poi a 70. I detentori dei bond continuano a premere, la questione non è chiusa, e il paese può uscirne ancora più in perdita.
Guzmán, di appena 37 anni, è vissuto un decennio negli Stati Uniti. Un anno prima di concludere la tesi alla Brown University, è stato invitato dalla Società Internazionale di Economia a commentare pubblicamente una ricerca del Premio Nobel Joseph Stiglitz.
Quello che la pandemia lascia allo scoperto
Quest’anno, la comparsa del Covid-19 ha lasciato varie realtà esposte alle intemperie. Sarà inevitabile ridiscutere vari temi. Le speranze di produzione di ricchezze del governo erano depositate nello sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi di Vaca Muerta e nella nuova messa in funzione delle fabbriche e delle assemblatrici automobilistiche. Due progetti che la realtà del mondo ha fatto naufragare.
Il governo di Alberto Fernández ha cominciato con una pubblicizzata guerra contro la fame, però le cifre del primo semestre dell’anno mostrano un fallimento. E tutto indica che le cifre saranno ancora peggiori nel secondo semestre. Però, si continua a vivere una stabilità politica, che nessuno sa quanto durerà.
Opportunamente, quell’establishment defraudato dal governo neoliberista di Mauricio Macri ha scommesso sulle differenze che Fernandez ha esposto per nove anni rispett alle politiche economiche del governo di Cristina Fernandez de Kirchner. Però non riesce a digerire la parola “nazionalizzazione”.
Il governo ha giocato le sue carte su una ristrutturazione del debito estero, tema “non commestibile” per la popolazione, e in pieno default continua col tira e molla con i detentori dei buonibond, i fondi spazzatura e il Fondo Monetario Internazionale, invece di farsi carico della parola d’ordine “prima il popolo” e non pagare il debito odioso. Non ha proceduto neanche all’audit richiesto.
Difficile andare d’ccordo con tutti. La produzione di ricchezze del paese dovrebbe essere intimamente legata alla sopravvivenza delle persone e a migliorare la situazione di milioni di lavoratori, dopo i quattro anni del governo neoliberista di Mauricio Macri. E, prima di tutto, è imprescindibile dare priorità ai sistemi di sanità pubblica.
L’opposizione politica e i grandi imprenditori non ne vogliono sapere di questo, ed esigono – nel bel mezzo della pandemia che si ingigantisce – di rendere “flessibili” le misure di distanziamento e attenzione per soddisfare le esigenze dell’economia, o meglio, dei loro guadagni. Negoziare con loro è mantenere lo status quo neoliberista.
La quarantena ha lasciato allo scoperto l’enorme disuguaglianza che vive il popolo argentino, soprattutto nell’impatto mortale della pandemia nei quartieri poveri, nelle “città miseria”, dove il sovraffollamento e la precarietà rendono difficile o impossibile imporre misure di isolamento o distanziamento. In un appartamentino vivono, dormono, mangiano famiglie numerose.
E si è pure evidenziata l’incapacità di uno Stato – disarmato durante il macrismo – di provvedere all’alimentazione di quelli che non hanno nulla da mangiare, mentre i movimenti sociali fanno l’impossibile per riempire quei vuoti che lo Stato non sa come colmare.
Il governo ha messo in piedi un reddito familiare d’emergenza per nove milioni di persone, mentre continua a essere nebuloso nella riscossione di un’imposta straordinaria sulle grandi fortune di un paese, dove undicimila persone hanno patrimoni superiori a tre milioni di dollari. Sono misure transitorie, d’emergenza, e per ora non vi è alcuna riforma della distribuzione immorale della ricchezza che sussiste nel paese.
Il difficile cammino
Politicamente, Alberto Fernández è riuscito in quello che gli ha commissionato la sua mentore e ora vicepresidente Cristina Fernández de Kirchner. Ha unito il disperso peronismo per riuscire a sloggiare il governo neoliberista e poi, dalla Casa Rosada, insieme alle diverse varianti politiche nella lotta comune contro la pandemia, ha ottenuto alti indici di approvazione.
Oggi solo parte della sua equipe di governo crede nel recupero economico. E tutti sappiamo chi paga i cocci degli errori. Difficile recuperare un orizzonte come società senza operare cambiamenti strutturali, soprattutto quando si insiste nel cammino centrista.
Se un annuncio ufficiale ha ottenuto una ripercussione favorevole tra i settori popolari, questo è stato quello dell’intervento/esproprio della ditta Vicentin SAIC, che riassume la storia del grande capitale saccheggiatore della ricchezza nazionale; decisione presa in fretta, senza studiare in dettaglio la questione né costruire consensi preventivi.
La carenza di un programma conosciuto di lunga durata è riuscita a fare della Vicentin una causa degna, inalberando in modo leggero la bandiera della sovranità alimentare, quando prendere la questione sul serio supporrebbe almeno rivedere la matrice produttiva estrattivista stabilita dal 1996.
Un capitalismo in cui vincano tutti
La moderazione, l’arte di dialogare con tutti e cercare dei compiacerli (non per convincerli dei propri piani), senza avanzare in cambiamenti strutturali della società, può diventare uno scoglio. Al di là della famosa frase secondo cui i più bisognosi avranno la priorità, la realtà mostra l’aumento della pauperizzazione della società e l’insoddisfazione delle sue richieste di una vita degna che, in definitiva, sono state quelle che l’hanno portato al governo.
La vecchia polarizzazione persiste, si rivitalizza e a tratti recupera il centro della scena, malgrado la volontà di dialogo delle principali figure dedicate a gestire. L’impedimento a che si stabilizzino certi consensi duraturi non è l’ideologia, ma una crisi sociale che attenta contro qualsiasi patto, per ragionevole che possa sembrare.
Sebbene i livelli di consenso di Fernández siano ancora alti, il giorno in cui questi caleranno sotto il 50%, i protagonisti del potere economico e politico – la destra – cominceranno a giocare la carta della destabilizzazione. Stanno già lavorando sodo, supportati da una stampa molto compiacente verso il potere reale.
Dopo sette mesi di gestione, si può dire che il Caso Vicentin costituisca la prima iniziativa di governo di un presidente che fino ad oggi è stato un mero amministratore della quarantena. Nel bene o nel male, indubbiamente la crisi apre opportunità. Però, come si pone il governo argentino di fronte all’1% di superricchi del mondo che spingono per assicurarsi che il “nuovo ordine” sia una versione migliorata di questo orribile mondo precedente al coronavirus?
In distinti paesi della regione latinoamericana va prendendo forma un momento di affermazione nazionale, un cambiamento nel senso di questa “globalizzazione”, non per influenza di qualche ideologia, leadership o discorso, ma per le conseguenze di una pandemia che ha portato allo scoperto il fallimento del modello capitalista.
In rete hanno circolato molte espressioni di lode verso il Presidente a proposito del progetto di nazionalizzazione del consorzio agro-esportatore Vicentin (con un debito di 1.350 milioni di dollari, anche con il Banco de la Nación per circa 350 milioni di dollari), quando ancora non si sa se la decisione avrà le caratteristiche che vorrebbe l’equipe del ministero dell’Agricoltura che l’ha strutturato, o se supporrà un altro negoziato del tipo di Repsol-YPF.
Il percorso strategico deciso di fronte alla situazione creata da un’impresa che aveva deciso di aumentare il processo d’indebitamento e di delocalizzazione dell’economia argentina, è rimasto ridotto a una tribuna di discussione delle posizioni dei media egemoni grafici, audiovisivi e alle opinioni espresse nei social della destra, cercando di imporre all’immaginario collettivo che si tratterebbe di “comunismo”.
Con l’altra mano, il Ministero delle Relazioni Estere ha annunciato l’abbassamento dei dazi sulle importazioni destinate alla fabbricazione di glifosato, ratificando la permanenza della matrice produttiva generata dall’espansione del «deserto verde» della soia, inaugurato da Felipe Solá, oggi cancelliere e allora ministro dell’agricoltura di Carlos Menem.
All’interno del governante Frente de Todos – dove convergono conservatori, moderati e progressisti – ci sono settori che reclamano una politica di Stato più attiva, con il controllo del commercio estero per garantire la sovranità e la nazionalizzazione delle imprese energetiche e altre di servizi pubblici.
Intanto, alcuni settori sociali hanno lanciato un Manifesto Verso un grande Patto Eco-sociale ed Economico in cui fanno notare che la pandemia ha messo a nudo e acutizzato le disuguaglianze sociali ed economiche rendendole più insopportabili che mai.
“Questo ci spinge a guardare allo Stato, ai mercati, alla famiglia, alla comunità e alla natura da un’altra prospettiva, mentre recuperiamo quelle alternative che solo pochi mesi fa sembravano impercorribili, per trovare un’uscita differente a questa crisi, a partire da una totale riconfigurazione che sia sociale, sanitaria, economica ed ecologica e che contribuisca alla vita e ai popoli”, aggiungono.
La pandemia ha posticipato la ripartizione degli incarichi tra i politici che hanno composto la coalizione che ha portato Alberto Fernández al potere, e che presupponeva un governo condiviso con le organizzazioni sociali. L’assistenzialismo non arriva a tutti. Ci sono settori che non sono stati tenuti in conto. E a loro rimane solo la strada, la protesta. Tempi di carestia e miseria possono portare all’esplosione sociale.
Lontano dai negoziati, e dato che la fame non ammette dilazioni, sembra crescere la disobbedienza civile che sfida il confinamento, con manifestazioni del sindacalismo combattivo e di diversi movimenti sociali.
Quel che è certo è che la grande impresa non ha neanche immaginato alcuna misura per moderare la sofferenza dell’allarmante contingente di poveri, disoccupati e indigenti che cresce ogni giorno, permettendo la diffusione del timore che nella post pandemia aumenteranno la miseria e la fame. E anche la violenza, i saccheggi e la successiva repressione.
Di che cosa vivrà la maggioranza del popolo argentino nel post pandemia? La prima cosa che dovrebbe fare il governo è garantire la sovranità alimentare, dicono dai movimenti sociali.
* Giornalista e comunicatore uruguaiano. Dottore in Integrazione. Fondatore di Telesur. Presiede la Fondazione per l’Integrazione Latinoamericana (FILA) e dirige il Centro Latinoamericano di Analisi Strategica (CLAE, www.estrategia.la) e susrysurtv.
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