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L’Eurogruppo resta in mano ai “dottor Strarigore”

Non sarà un pranzo di gala, e non sarà affatto un pasto gratis.

Mentre siamo bombardati a ogni ora da cretini e mentitori che ci dicono “prendiamo i soldi del Mes”, “adesso arrivano i soldi dell’Europa”, ecc, zitti zitti in “Europa” preparano le tagliole.

L’Eurogruppo – il vertice dei ministri dell’economia dell’Eurozona – è un organismo “informale”, non è previsto da nessun trattato, non possiede insomma nessuna “base legale” eppure è uno degli organi più potenti dell’Unione Europea quando si tratta di determinare le politiche economiche. Tra le altre cose, istruisce i temi che vengono poi discussi dal Consiglio Europeo (il vertice dei capi di Stato e di governo).

Ieri questo organismo doveva sostituire il presidente, perché il portoghese Mario Centeno era stato indicato nel suo paese per guidare la Banca Centrale.

L’elezione del presidente dell’Eurogruppo avviene a scrutinio segreto, ma questa volta non erano previste sorprese perché Germania, Italia, Spagna e Francia – l’80% della popolazione e del Pil della Ue – avevano trovato la convergenza sul nome di Nadia Calvino, spagnola ed esponente della “famiglia socialista” (che ha conservato il nome pur essendo un grumo di neoliberisti perfettamente identico alla destra).

Che qualcosa non quadrasse si era capito con la prima votazione, quando nessuno dei tre candidati aveva raggiunto i 10 voti necessari all’elezione. Al ballottaggio ha vinto invece Paschal Donohoe, conservatore irlandese, quarantacinque anni, laureato in Scienze politiche ed economiche all’università di Dublino, ma già ministro dei trasporti, del turismo e dello sport e degli affari europei.

Un “austero”, insomma, scelto dal “fronte dei frugali” anche se aveva dalla sua esplicitamente soltanto l’Austria (e l’Olanda, naturalmente, anche se un po’ sotto traccia).

Le conseguenze sono abbastanza chiare.

L’Eurogruppo sarà chiamato in prima linea per decidere come costruire il recovery fund (ribattezzato Next generation Eu), la proporzione tra “contributi a fondo perduti” e semplici prestiti, i criteri con cui soddisfare la necessità di una redistribuzione tra i vari Paesi in base ai differenti danni subiti con la pandemia, ecc.

Donohoe è stato scelto dunque per ostacolare al massimo i Paesi mediterranei e supportare gli interessi del “fronte del Nord”.

Formalmente è anche una sconfitta per Angela Merkel, da pochi giorni alla guida dell’Unione come presidente di turno (il “semestre” questa volta spettava alla Germania), perché la posizione ufficiale tedesca era favorevole alla candidata spagnola. Ma non è detto, perché nel segreto dell’urna le cose possono essere andate in molti modi.

Insieme ai quattro grandi Paesi, infatti, c’erano certamente il Portogallo e la Grecia, per ragioni oggettive (nonostante Atene abbia ora un governo di destra non può certo permettersi una prosecuzione all’infinito delle politiche di austerità…).

Si sapeva che Slovacchia, Slovenia, Lettonia – e magari anche Cipro – appoggiavano la scelta dei “frugali”, ma in ogni caso deve esserci stato un voto favorevole a Donohoe anche da parte di Belgio e Lussemburgo.

Insomma, se davvero la Germania ha “rotto il fronte del Nord”, la situazione è intollerabile anche per Berlino. É inammissibile, infatti, che oltre l’80% di ricchezza e popolazione dell’Unione debbano sottostare agli interessi di meno del 20% (Donohoe è noto anche per aver strenuamente difeso il “diritto” dell’Irlanda ad adottare una politica di dumping fiscale che attira grandi multinazionali e sottrae entrate fiscali ad altri paesi).

Una sfida così aperta alla potenza di Germania e Francia – l’”asse” che governa conflittualmente tutta l’Ue da sempre – è possibile insomma solo con il silenzioso benestare di Berlino.

Questo ovviamente getta un’ombra cupa sulle modalità con cui sarà gestita la “ricostruzione” dopo la pandemia, e non solo con riferimento alla struttura del recovery fund. Una scelta che appare strategicamente miope (aumenta le distanze tra i vari paesi e prepara sia una conflittualità inter-statuale più ampia, sia una “sfiducia” di massa crescente verso la Ue), ma che evidentemente era “obbligata” per Paesi che hanno interesse a non toccare le regole su cui vanno prosperando a spese dei partner.

In ballo, infatti, ci sono soprattutto tempi e modalità del ritorno ai “tempi normali”, che in Europa vuol dire soprattutto ritorno rapido, dopo un anno di “sospensione”, alla piena vigenza del “patto di stabilità” con tutti i suoi corollari: taglio del debito pubblico secondo un “piano di rientro” deciso… dall’Eurogruppo, quindi riduzione della spesa sociale, ulteriori privatizzazioni e svendita del patrimonio pubblico, ecc.

Ma mi raccomando: sognate pure le “vacche grasse” che certamente arriveranno insieme ai “soldi dell’Europa senza condizionalità”…

Ci vediamo al risveglio.

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