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Beirut. Esplode la rabbia contro tutto e contro tutti

A Beirut ancora ferita dalla spaventosa esplosione al porto, è stato una sabato di rabbia e di guerriglia urbana. Migliaia di manifestanti sono partiti da Piazza dei Martiri, hanno riempito il centro della città ed hanno attaccato diversi palazzi istituzionali a partire dal ministero degli Esteri. Sono stati dati alle fiamme auto ed edifici. Il bilancio degli scontri e pesante: 728 feriti e un poliziotto ucciso. Solo nella tarda serata l’esercito è riuscito a riprendere il controllo del centro città.

Oltre alla sede del ministero degli Esteri sono stati presi d’assalto anche i ministeri dell’Economia, del Commercio, dell’Energia e dell’Ambiente così come la sede dell’associazione delle banche. I manifestanti non sono riusciti però a raggiungere il Parlamento protetto da un cordone di sicurezza di polizia ed esercito.

Nell’incursione i manifestanti hanno dato alle fiammee calpestato le fotografie del presidente libanese Michel Aoun. Dall’interno del ministero degli Esteri occupato, i manifestanti avevano chiesto che venissero processati i responsabili dell’esplosione di martedì e le dimissioni dell’attuale leadership politica. L’appello a scendere in piazza ieri era stato lanciato anche dal Partito Comunista Libanese (vedi in altra parte del giornale il loro documento).

Durante la protesta alcuni hanno ‘impiccato’ a piazza dei Martiri una sagoma di cartone di Hassan Nasrallah, leader del movimento sciita Hezbollah. I militanti di questa organizzazione hanno cercato di impedirlo ma sono stati fermati da un cordone di militare e poliziotti che hanno evitato così scontri tra i manifestanti.

Va detto, e non un è certo un dettaglio, che queste manifestazioni hanno ricevuto l’immediato sostegno dell’ambasciata Usa a Beirut. “Sosteniamo il diritto alla protesta pacifica” ha twittato l’ambasciata statunitense a Beirut, secondo il quale “il popolo libanese ha sofferto fin troppo e merita leader che lo ascolti e risponda alle richieste popolari di trasparenza e individuazione delle responsabilità. Sosteniamo il suo diritto alla protesta pacifica ed esortiamo tutte le persone coinvolte ad evitare violenze”.

Una frase di circostanza che, a fronte di 728 feriti e un poliziotto ucciso, appare piuttosto ipocrita.

Indubbiamente a Beirut la situazione sociale e politica è ormai al punto di rottura. Da troppo tempo si sono andate accumulando tensioni economiche e sociali (dalla irrisolta crisi economica alla rivolta dei rifiuti di due anni fa, poi sono arrivate le conseguenze e le restrizioni dell’emergenza Covid) e soprattutto  le tensioni politiche di sempre, ossia le contraddizioni di quello che molti considerano uno “Stato finto” creato dal colonialismo francese e che oggi considerano uno “Stato fallito” proprio perché non è riuscito a diventare uno Stato a causa delle tensioni e delle rigidità confessionali/istituzionali che ne paralizzano ogni possibilità di riscatto.

Se a questo aggiungiamo le pluridecennali ingerenze e attacchi israeliani, l’onda d’urto dei profughi palestinesi prima e di quelli siriani poi, il coacervo e la compresenza di contraddizioni di ogni tipo, rendono il cortocircuito e l’esplosione libanese inesorabile. L’esplosione al porto è una detonazione ancora più forte di quella che abbiamo visto.

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