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50 anni di lotta dal Black August al movimento Black Lives Matter

Un commento del WorkersWorldParty

Il 7/8/2020 ricorre il 50° anniversario dell’eroico tentativo di Jonathan Jackson, fratello minore di George Jackson, di liberare tre rivoluzionari neri dalle grinfie del sistema carcerario statale californiano. Il fatto che questo audace tentativo sia fallito non ha alcuna influenza sul suo significato storico e rivoluzionario per i movimenti di liberazione dei neri e l’abolizione delle prigioni negli Usa e nel mondo.

Jonathan Jackson aveva solo 17 anni quando, armato di fucile, fece irruzione in un’aula di tribunale della Contea di Marin durante una seduta. Lì chiese la libertà per suo fratello e per altri due prigionieri, Fleeta Drumgo e John Clutchette, conosciuti come i fratelli Soledad. 

Giunto in aula del tribunale il giovane rivoluzionario dichiarò coraggiosamente: “Siamo rivoluzionari. Vogliamo i Fratelli Soledad liberi entro le 12:30”.

Jackson non era solo quel giorno, ma insieme ad altri quattro coraggiosi prigionieri – James McClain, William Christmas, Ruchell Magee e Khatari Gaulden – che si sono eroicamente uniti a questa azione. Il giovane Jackson e il suo gruppo hanno preso in ostaggio un giudice, un procuratore e un giurato e hanno tentato una fuga dal tribunale. La polizia ha aperto il fuoco durante la loro fuga su un furgone uccidendo il giovane Jackson, tre dei prigionieri (tranne Ruchell Magee) e il giudice.

Magee rimane tutt’oggi in prigione ed è il prigioniero politico più a lungo in galera degli Stati Uniti. E questa è una storia che dobbiamo rivisitare per capire cosa sta succedendo oggi.


Le prigioni hanno seminato l’insurrezione

Il movimento di liberazione nero degli anni ’60 e in particolare il Partito delle Pantere Nere, ha ispirato migliaia di prigionieri negli Stati Uniti. In molte carceri, alcuni nuclei del Black Panthers Party sono nati e si sono organizzati proprio in carcere durante il periodo di detenzione. George Jackson, che stava scontando una pena indeterminata (da un anno all’ergastolo) per aver rubato 70 dollari, era uno di questi rivoluzionari neri.

Mentre era incarcerato nella prigione statale di Soledad, Jackson emerse come leader del Black Freedom Movement. I suoi scritti e i suoi insegnamenti hanno ispirato i prigionieri in tutto il sistema carcerario statale. Inutile dire che il sistema (in)giudiziario criminale, dai poliziotti ai giudici alle guardie carcerarie, lo odiava.

L’audace tentativo di Jonathan Jackson di liberare il fratello è stata una drammatica espressione di rabbia rivoluzionaria e di indignazione contro un sistema statale che continua ancora oggi a opprimere i neri, i latinxs e gli altri prigionieri di colore – un sistema carcerario che affonda le sue radici nella schiavitù.

Era una rivolta per liberare un rivoluzionario nero, così come parte delle insurrezioni che si stavano svolgendo in quel momento nelle città di tutto il paese contro il razzismo e la brutalità della polizia.

Jonathan Jackson sapeva che lo Stato voleva giustiziare suo fratello e un anno dopo, le guardie carcerarie assassinarono George Jackson nel carcere di San Quentin il 21 agosto 1971.

Questo assassinio fece scoccare una scintilla che si fece sentire in tutto il paese, poiché i prigionieri del carcere statale di Attica nello stato di New York si ribellarono poco dopo. Durante la rivolta oltre 40 prigionieri disarmati furono assassinati da guardie carcerarie e polizia.

Dall’assassinio di George Jackson, il mese di agosto è stato rinominato Agosto Nero in onore dei combattenti per la libertà dei neri che hanno osato ribellarsi al sistema carcerario. L’agosto nero è iniziato in California, ma viene commemorato in tutto il paese.

Il movimento all’interno delle prigioni non è rimasto inattivo in questi 50 anni. Quello che stiamo vedendo oggi – alimentato dalla ribellione contro il terrore della polizia guidata dal movimento Black Lives Matter e dal trattamento disumano durante il COVID-19 – è una rinascita del movimento di liberazione dei prigionieri. In ogni prigione e carcere, gli attivisti incarcerati esprimono il loro sostegno al movimento contro il razzismo sistemico e la brutalità della polizia.

Le persone detenute stanno usando quel poco di accesso che hanno al sistema telefonico per chiamare e parlare durante le manifestazioni e denunciare le proprie condizioni ed il loro sostegno a chi lotta ai media. “Black Lives Matter” sono spesso le prime parole gridate da questi attivisti detenuti.

Le richieste dei detenuti durante questi mesi di pandemia fanno eco alle grida degli operatori sanitari, degli autisti di autobus e di altri lavoratori essenziali che hanno rivendicato e tuttora continuano a rivendicare la disponibilità di avere i dispositivi di protezione adeguati per poter svolgere il proprio lavoro in sicurezza. 

Purtroppo, nelle carceri e nei Cie non vi è possibilità alcuna di distanziamento fisico o di accesso ai DPI a causa del sovraffollamento e della negligenza istituzionale di questi luoghi di repressione, causando di fatto una massiccia diffusione del virus e moltissimi decessi.

Ruolo dello stato repressivo

I vari movimenti che sostengono il Black Lives Matter movement si stanno svegliando con la consapevolezza che gli organi repressivi dello Stato – i tribunali, le prigioni, la polizia, le guardie carcerarie ed i Cie – non possono essere riformati. Non possono essere migliorati o modificati in modo significativo dal punto di vista legislativo. Devono semplicemente essere aboliti.

Jonathan Jackson lo ha capito quando ha tentato di salvare i fratelli Soledad. Ha mostrato la natura barbarica dello Stato capitalista che preferirebbe sparare ai suoi stessi soldati, un giudice e un procuratore, piuttosto che cedere alle giuste richieste degli oppressi.

Ciò che successe 50 anni fa in quel tribunale non intimorì il movimento dei prigionieri di allora, piuttosto ha contribuito ad alimentare una resistenza che continua ancora oggi.

Il sistema carcerario statale californiano e le sue truppe d’assalto sono ancora infastidite dall’eredità ribelle di Jonathan e George Jackson come dimostra ciò che è accaduto 

il 20 Luglio nel carcere di Soledad. Alle 3 del mattino le guardie razziste hanno prelevato con violenza dalle loro celle circa 200 prigionieri neri, con solo boxer addosso, li hanno ammassati nella mensa, ammanettati con fascette e costretti a stare seduti per ore senza mascherina, spalla a spalla, mentre le loro celle venivano saccheggiate, compresi libri, lettere e documenti legali, oltre a scritti dei rivoluzionari J e G. Jackson e di altri ribelli afroamericani.

Mentre le guardie carcerarie distruggevano e requisivano tutti i beni dei prigionieri gridavano: “Le vite dei neri non contano” e chiamavano i prigionieri “niggers” (parola fortemente dispregiativa negli Usa che richiama alla schiavitù e all’apartheid), oltre ad aver scaraventato dalle rampe delle scale un anziano detenuto di cui non si hanno notizie ad oggi.

In questo cinquantesimo anniversario della rivolta del tribunale di San Rafael nella contea di Marin, dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per abbattere le mura delle prigioni e abolire una volta per tutte la polizia. 

Viva gli eroi di San Rafael! Viva lo spirito di George Jackson!

* traduzione di Gaia Sartori Pallotta

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