Gli Usa stanno diventando un laboratorio sociale di grande interesse. La crisi di egemonia politico-economica, gli effetti sociali devastanti delle delocalizzazioni produttive in atto dagli anni ‘80 e ‘90 (con la conseguente desertificazione produttiva e la disoccupazione di massa che supera abbondantemente i 100 milioni di persone), il razzismo di fondo innestato sulle contrapposizioni di classe e di origine etnica, sono state esaltate dalla presidenza Trump.
Il quale era arrivato alla Casa Bianca cavalcando la delusione dell’America profonda, anche non bianca, e soprattutto delle aree più colpite dalla de-industriazzazione (le molte rust belt che stanno diventando “territori fantasma”).
La crisi occupazionale e di reddito non era stata certo risolta dalla moltiplicazione di “lavoretti” promossa dalle politiche economiche di destra, ma l’indifferenza stragista davanti all’avanzare della pandemia ha distrutto alla radice anche questa forma di “flessibilità” reddituale. Il dichiarato razzismo ha fatto il resto, favorendo l’azione criminale della polizia e la libertà d’azione di milizie suprematiste bianche di chiara ascendenza Ku Klux Klan.
Tutte cose note. Quello che però continua a sfuggire agli osservatori italiani ed europei, tutti presi a sacralizzare un vecchio trombone dell’establishment come Joe Biden, è la radicalizzazione dei movimenti nati sull’onda dei tanti omicidi razzisti della polizia (e non solo). Poi esplosi in modo duraturo con la morte in diretta di George Floyd.
“Radicalizzazione” che non significa solo spostamento dell’opinione politica “a sinistra”, verso il socialista anziano Bernie Sanders o la new wave rappresentata da Alexandra Ocasio Cortez. Anche perché questo classico sbocco politico previsto dal sistema politico Usa è stato blindato e chiuso dall’establishment “democratico”, che ha messo in scena l’ancor più classica “corsa al centro” proponendo come vice Kamala Harris, una campionessa “nera” del destrissimo law and order.
Nessuna rappresentanza politica, insomma, per dei movimenti con grandi dimensioni di massa, quotidianamente in piazza e nella tagliola tra bestialità poliziesca e mano libera alle milizie wasp.
Abituati alle dinamiche della “sinistra” del Vecchio Continente, ci si doveva attendere un’evoluzione nello “sconfittismo” più becero. Rinuncia al conflitto politico, retorica della “legalità” e invocazione della Costituzione quotidianamente stracciata dalla controparte. Che laggiù non solo “mena”, ma soprattutto spara.
Sarà che nel “senso comune” statunitense la filosofia di fondo è “pragmatica”, persino in chiave molto terra-terra (“se ci sparano, che facciamo?“), ma la reazione è stata opposta. Il tradizionale sistema di pensiero della “sinistra liberal”, incentrato sulla triade pacifismo-legalitarismo-diritti civili, è stato messo in archivio molto rapidamente.
Non è scomparso del tutto, ovviamente, e grande è la pressione “democrats” per imporlo come obbligatorio a tutto il movimento (uno dei più attivi in questa direzione è non a caso Barack Obama). Ma grazie anche al recupero intelligente della memoria storica dell’antagonismo Usa, la presa d’atto della situazione, dei rapporti di forza, delle “forme pratiche” del conflitto politico in questi tempi bui, ha fatto affermare una sorprendente ma non incomprensibile “volontà di resistere”.
Senza lanciarci in teorizzazioni fuori luogo, vi proponiamo qui un articolo da Euronews che dà conto di una realtà poco nota e con ogni probabilità tenuta intenzionalmente lontano dai riflettori.
C’è un famoso fotografo pacifista che decide di girare armato (anche nelle manifestazioni), la resistenza nera (che ha una lunga tradizione), i gruppi di autodifesa multietnici, e persino “club” lgbt che si esercitano all’uso delle armi.
Davvero un altro mondo…
Sono proprio sicuri, i rappresentanti nostrani delle “due destre” (fascioleghisti e piddini) di voler inseguire ancora il “modello amerikano”?
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Stati Uniti, ora anche l’estrema sinistra si arma: l’ombra della guerra civile?
* Euronews – 28 agosto 2020
La recente sparatoria di Kenosha, Wisconsin, dove due persone sono morte, non ha fatto che confermarlo: gli Stati Uniti si stanno riempiendo di milizie ed individui armati. Un fenomeno che – con le manifestazioni, le contro-manifestazioni e i disordini cresciuti attorno al movimento Black Lives Matter – ha iniziato a estendersi a macchia d’olio.
Secondo i media locali, il principale sospettato per le sparatorie mortali, un ragazzo di appena 17 anni, è stato visto in presenza di uomini armati, circostanza che è stata in seguito confermata dalle forze dell’ordine. “Si tratta di una milizia“, ha detto lo sceriffo della contea di Kenosha, “come un gruppo di vigilanti“.
Questi gruppi – politicamente schierati a destra e i cui raduni sono in molti casi caratterizzati dal risuonare di slogan razzisti e dallo sventolio di bandiere confederate – fanno dell’ostentazione delle armi (che in molti stati degli Usa possono essere legalmente portate in pubblico) un punto fermo nella propria linea di condotta. Una tattica che la sinistra statunitense, in massima parte favorevole al controllo e alle restrizioni sulle armi da fuoco, si era finora astenuta dall’adottare.
Ma nel tumulto del 2020, anche le mentalità sembrano cambiare rapidamente. “Negli ultimi 3 o 4 mesi, il dibattito sulle armi da fuoco in questo Paese, soprattutto a sinistra, è cambiato enormemente”,ha dichiarato Robert Evans a Euronews.
Giornalista di guerra, con trascorsi in Iraq e in Ucraina, Evans è attualmente tornato nella sua Portland, in Oregon, dove si sta occupando delle quotidiane manifestazioni contro la violenza poliziesca a danno degli afroamericani. Solo pochi giorni fa, durante un reportage, un contro-manifestante di estrema destra gli ha rotto un dito con un manganello.
Il giornalista, che non fa segreto delle sue simpatie libertarie, è anche un esperto di armi da fuoco: ne possiede diverse e – dopo aver ricevuto minacce di morte – ammette di uscire regolarmente armato da casa, anche durante i suoi reportage. Nei suoi podcast, inoltre, ha apertamente incoraggiato i manifestanti di sinistra ad armarsi.
“Non credo sia un bene per una democrazia – continua Evans – vivere in un Paese con 400 milioni di armi da fuoco registrate per uso civile, quasi tutte nelle mani di una singola parte dello spettro politico. È la premessa per un disastro”.
Il timore di Evans è che gli Stati Uniti siano sull’orlo di una nuova guerra civile: un tema che, già l’anno scorso, aveva sviscerato in uno dei suoi podcast.
Dall’inizio del 2020 e della pandemia, secondo il giornalista, un gran numero di persone, “soprattutto persone di sinistra”, lo avrebbero contattato “per chiedermi consigli su quali armi comprare, come allenarsi, e via dicendo”.
Le divisioni ideologiche riguardo alle armi da fuoco negli Stati Uniti sono state finora molto nette e profonde. Uno studio del 2017 pubblicato dal Pew Research Center mostra che i repubblicani e gli indipendenti con simpatie repubblicana hanno il doppio delle probabilità, rispetto ai democratici e agli indipendenti con simpatie democratiche, di possedere almeno una pistola (44 per cento contro il 20 per cento).
Altri studi mostrano con chiarezza la stessa tendenza: secondo il Brookings Institute, un think tank con sede a Washington DC, negli stati che hanno votato per i repubblicani alle elezioni presidenziali del 2016 il 39 per cento dei residenti possiede armi da fuoco, contro il 25 per cento degli stati che hanno votato democratico.
La maggior parte delle centinaia di milioni di armi da fuoco in circolazione negli Stati Uniti sono concentrate nelle mani di pochi americani. Stando a un’indagine condotta nel 2015 da Harvard e dalla Northeastern University, il 50% di queste armi apparterrebbe al 3% appena degli adulti americani: un gruppo di “super proprietari”, che hanno accumulato una media di 17 armi ciascuno.
“La possibilità di usare un’arma per autodifesa – continua Evans – a sinistra è più accettata oggi che in qualsiasi altro momento che io possa ricordare“. Un cambiamento storico, che secondo il giornalista è legato a condizioni eccezionali: crisi sanitarie ed economiche, manifestazioni e repressione poliziesca, la rinascita dell’estrema destra militante e armata.
“Non è un bene che la popolazione abbia tanta paura – continua Evans – ma credo ci sia stato un cambiamento radicale nell’atteggiamento della sinistra verso il possesso d’armi da fuoco, proprio a causa dell’insicurezza che tutti in questo momento percepiscono“.
Simbolo di questa paura, l’acquisto di munizioni che tra febbraio e aprile è cresciuto del 600% negli Stati Uniti.
Il 2016 e l’elezione di Trump
Questa tendenza della sinistra a voler esercitare un diritto “costituzionalmente garantito dal Primo Emendamento”, sebbene accelerata dalle turbolenze del 2020, sembra trovare origine nell’inizio del primo mandato di Donald Trump. Un reportage fotografico dell’Associated Press, pubblicato nell’ottobre 2017, mostra una sessione di tiro al bersaglio per il Trigger Warning Queer & Trans Gun Club di Victor, New York.
Il club di tiro al bersaglio è composto da gay, lesbiche e trans, i quali “preoccupati che gli estremisti di destra diventino più audaci e pericolosi – ha spiegato il fotografo Adrian Kraus – hanno deciso di impugnare le armi“.
Secondo Kraus, il club si riunisce una volta al mese in un campo a nord di New York.
Nella foto qui di seguito, Jake Allen (a sinistra) osserva Lore McSpadden sparare su un bersaglio in terra battuta durante una sessione di allenamento.
McSpadden non aveva mai toccato un’arma da fuoco prima che il club fosse fondato l’anno precedente, nel 2016.
“In generale, dal 2016, gruppi schierati a sinistra come il John Brown Gun Club, lo Huey P. Newton Gun Club e la Socialist Rifle Association sono andati via via moltiplicandosi“, ha detto Evans a Euronews.
Dopo la morte di George Floyd, avvenuta il 25 maggio del 2020, questi gruppi di estrema sinistra – che oltre ad armarsi incoraggiano altri a fare altrettanto – si sono trovati sempre più al centro della scena.
“Le azioni della polizia e dello Stato contro la comunità nera forniscono una giustificazione più che sufficiente perché questa comunità si faccia carico della propria difesa“, ha detto il comitato centrale della Socialist Rifle Association (SRA) in una dichiarazione dopo la morte di Floyd.
“Armatevi!”
Tra le iniziative adottate da questa organizzazione di ispirazione marxista ci sono “le marce pacifiche, il mutuo aiuto e il possesso di armi da fuoco“.
“Queste pratiche – afferma il gruppo – se usate con saggezza, sono strumenti per difendere una comunità dall’oppressione“.
Ma, dice l’SRA, “dobbiamo fare attenzione a distinguere tra l’uso delle armi da fuoco in difesa di una comunità e l’uso indisciplinato o reazionario per altri motivi“.
Lanciata tra il 2017 e il 2018, la SRA ha, secondo il suo sito web, “quasi seimila membri e più di sessanta sezioni ratificate” in tutti gli Stati Uniti. Inoltre, se una delle attività del gruppo consiste nell’educazione alle armi da fuoco, “le manifestazioni armate sotto lo stendardo dell’SRA sono comunque vietate, perché non è questo il nostro scopo“.
Ma anche altri gruppuscoli della sinistra radicale americana iniziano a mostrarsi armati alle manifestazioni. Anarchici e antifascisti del John Brown Gun Club – gruppo che prende il nome da un abolizionista bianco dai metodi violenti, presente soprattutto nell’area di Seattle – chiedono “una resistenza attiva contro gli effetti sociali corrosivi e distruttivi del suprematismo bianco, del sessismo, dell’intolleranza e dello sfruttamento economico“.
Nel luglio 2019, Willem van Spronsen, un ex membro di questo gruppo, è stato ucciso dalla polizia nella città di Tacoma, Washington, mentre lanciava ordigni incendiari contro i veicoli nel parcheggio di un centro privato di detenzione per immigrati.
Secondo una lettera di rivendicazione trovata postuma, van Spronsen aveva intenzione di protestare contro la politica di arresto e di deportazione dell’Immigration Customs and Enforcement (ICE), l’agenzia governativa che negli Usa si occupa di immigrazione.
“Incoraggio vivamente i compagni e i nuovi compagni ad armarsi” si legge nella dichiarazione. “Ora siamo responsabili della difesa degli individui contro uno stato predatorio“.
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