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Spagna. Stato di emergenza sanitaria a Madrid: crisi sociale e sanità al collasso

In risposta al deterioramento della situazione sanitaria nella regione di Madrid, con l’esplosione del numero di nuovi casi positivi di Covid-19, lo scorso venerdì 9 ottobre il governo spagnolo ha dichiarato lo “stato di allerta” nella capitale spagnola e in diverse città vicine.

L’obiettivo di arginare la diffusione dei contagi, rispristinando la chiusura parziale in vigore dal 2 ottobre ma respinta dall’Alta Corte di Giustizia di Madrid giovedì 8 ottobre.

La decisione del tribunale ha determinato l’ennesima situazione di confusione nella gestione dell’epidemia, già avuta al tempo della prima ondata, con il governo centrale di centro-sinistra, guidato da Pedro Sanchez, e l’amministrazione regionale, presieduta dalla destra conservatrice del Partido Popular (PP), che difendono politiche diverse.

Ma anche all’interno della stessa regione di Madrid, le istituzioni giuridiche e le autorità amministrative ha difficoltà di comunicazione: poco dopo la sentenza del Tribunale nella quale dichiarava di respingere le misure di chiusura parziale perché “minano i diritti e le libertà fondamentali dei 4,5 milioni di abitanti interessati”, la presidentessa della regione di Madrid, Isabel Diaz Ayuso, ha chiesto ai cittadini di non lasciare la città a causa della pandemia.

Questo “stato di allerta” – in pratica un vero e proprio stato di emergenza sanitaria – è entrato in vigore con effetto immediato venerdì, per un periodo di 15 giorni, come annunciato dal ministro della Salute, Salvador Illa, dopo una riunione straordinaria del Consiglio dei ministri. Durante gli incontri con il governo centrale, le autorità della regione si sono fermamente opposte alle nuove restrizioni, affermando la competenza esclusiva in materia sanitaria.

Con la chiusura parziale, i residenti di Madrid e delle altre nove città della regione interessati non possono lasciare il comune in cui risiedono, se non per andare al lavoro, dal medico o a scuola.

Le forze di polizia e la Guardia Civil verranno dispiegate nelle strade di Madrid e delle altre città interessate per controllare i movimenti in entrata ed in uscita da questa sorta di “zona rossa”.

La nuova ondata di Coronavirus sta mettendo ancora una volta sotto pressione il sistema sanitario spagnolo. Alcune comunità autonome stanno già registrando percentuali critiche di occupazione in terapia intensiva e molti centri di assistenza primaria dichiarano di essere sopraffatti dall’arrivo crescente di nuovi pazienti ogni giorno.

A livello nazionale, secondo gli ultimi dati del ministero della Salute, quasi il 18% dei posti letto disponibili in terapia intensiva sono già occupati da pazienti affetti da Covid-19, con alcune regioni in cui la situazione rischia di diventare critica, come in quella di Madrid (39% dei posti letto in rianimazione occupati) e di Castilla y Léon (31%).

Di fronte al prossimo collasso della sanità pubblica spagnola, privatizzata per decenni e massacrata dalle politiche di austerità sociale, diventa ancor più drammatica la crisi sociale che si abbatte sui settori popolari, maggiormente esposti al rischio di contagio ed impoveriti dalla precarizzazione del mondo del lavoro e dai tagli allo Stato sociale.

Di seguito, riportiamo la testimonianza-riflessione di Carmen San José, medico di base e membro dell’Area Sanitaria di Anticapitalistas, pubblicata qualche giorno fa sul giornale spagnolo Público.

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L’imbarazzo nell’ascoltare il governo della Comunità di Madrid non è molto diverso rispetto al sentire le dichiarazioni del governo centrale. Non solo sono stati commessi errori nei primi mesi dell’anno, quando è stato necessario mettere in bolla tutti i mezzi per affrontare questa pandemia, ma soprattutto non è minimamente passato per la testa a nessun funzionario sanitario che la debolezza causata da decenni di tagli al Sistema Sanitario Nazionale (SSN) fosse un fattore determinante per l’esplosione del virus.

Il governo centrale non è stato per niente diligente nel tentare di mettere a punto i meccanismi di coordinamento delle azioni e delle strutture sanitarie pubbliche, della rete di sorveglianza epidemiologica e dei sistemi informativi. Pur sapendo benissimo che decenni di tagli e privatizzazioni hanno “prosciugato” il servizio sanitario nazionale, i politici non hanno raccolto sufficienti input per cercare di migliorare la situazione.

Né si può dire che i responsabili dei diversi Servizi Sanitari si siano distinti per aver anticipato e migliorato i loro servizi indeboliti, preparandoli all’annunciata emergenza contingente, per esempio, rafforzando la struttura dell’Assistenza Primaria. Si sapeva che, in un Paese con carenza di letti d’ospedale, ma con un grande radicamento territoriale delle strutture di questo livello di cura, sarebbe stato decisivo per fermare il coronavirus.

A marzo si è dovuto quindi utilizzare uno strumento che, sebbene valido, avrebbe dovuto essere utilizzato solo quando tutte le altre misure adottate erano fallite: il lockdown. Il fatto è che nessuna misura, tra le tante che erano a disposizione, era stata presa nello Stato spagnolo. Per questo il 14 marzo si è deciso per il confinamento, lasciando però totalmente invariato il ritmo economico del paese per una settimana [per capirci, si continua a lavorare ma dopo il lavoro tutti a casa, ndt].

Dopo tre mesi di reclusione, l’estensione dell’epidemia fu frenata, il contagio diminuì fortemente e la domanda di cure intensive e di centri sanitari in generale diminuì in termini generali. Insomma. il risultato di tutto questo è stato un alto tasso di mortalità “in eccesso”, che, se fossero state adottate le misure appropriate, molto probabilmente sarebbe stato diverso e più basso. Ma oggi, sei mesi dopo l’inizio del confinamento e tre mesi di “nuova normalità”, sembra che la lezione non sia stata imparata, tanto che la seconda “ondata” di questa epidemia ha trasformato Madrid nella peggiore regione d’Europa in termini di contagio.

Di fronte a questa situazione allarmante, l’unica cosa che il governo madrileno del PP può pensare è una richiesta “urgente” all’esercito. Il miglioramento della salute pubblica può contribuire al miglioramento della salute collettiva, ma può anche essere una scusa per aumentare il controllo sociale. In questo caso, è evidente che venga ampiamente utilizzata per il secondo fine.

Stigmatizzare i quartieri della classe operaia perché mantengono alti i tassi di infezione, stigmatizzare i giovani e gli immigrati, gli abusivi o i minori non accompagnati perché portano la malattia, come ha fatto la signora Ayuso, oltrepassa ogni limite. Prima nell’Assemblea di Madrid e poi in una conferenza stampa con il signor Sánchez, quando ha detto: “Il Covid-19 presenta alcuni ‘problemi associati’ come delinquenza, occupazioni abusivi, e tutta la problematica dei minori non accompagnati ecc. E visto che abbiamo un deficit della Guardia Civil e della Polizia Nazionale stimato in 2.500 agenti…

Queste parole sono dettate da xenofobia e fascismo, così come l’atteggiamento del presidente Sanchez che non è minimamente intervenuto nel sentirle.

Nel lamentarsi delle “molestie” a cui il governo centrale sottopone Madrid, il governo autonomo non ha trovato il tempo di varare nemmeno una misura sanitaria per fermare l’estensione della Covid-19, ovvero per proteggere la vita dei suoi cittadini.

Nulla è stato fatto nelle ultime settimane per migliorare il deteriorato Servizio Sanitario di Madrid, è stata tutta una guerra di cifre per passare rapidamente alla nuova normalità, mentendo rispetto al numero di risorse che sono state necessarie per passare da una fase all’altra. Niente letti in più, niente rinforzi nell’assistenza primaria, niente aumento delle strutture sanitarie pubbliche, niente di niente.

Però si confinano i quartieri popolari, che ovviamente presentano le peggiori statistiche per quanto riguarda la disoccupazione, la precarietà, l’insuccesso scolastico, e le abitazioni più piccole, più vecchie e deteriorate. La gente ha capito perfettamente, è una guerra di classe. L’élite preferisce non fermare l’economia, anche se sono in gioco le nostre vite, le nostre vite, non le loro.

Oltretutto, questo tipo di confinamento – per aree sanitarie di base – è inefficace, come hanno detto molti epidemiologi, esperti sanitari e le principali società di sanità pubblica, perché non risolve la diffusione del contagio, soprattutto a causa della grande mobilità a nord e a sud della regione, e dell’alta densità di popolazione della capitale.

Ma anche perché non tengono conto delle grandi disuguaglianze esistenti. Perché chi deve uscire e guadagnarsi il pane quotidiano, tanto nell’economia formale quanto con un lavoro nero, non può rispettare il confino se il MVI (Reddito minimo vitale) non raggiunge la maggioranza dei richiedenti e la copertura dei bisogni di base non è garantita.

Questi quartieri non possono essere confinati, perché si vive in 40 m² un’intera famiglia. E non risulta che qualcuno si sia preoccupato di migliorare il trasporto pubblico su cui viaggia la maggior parte dei cittadini che devono andare a lavorare – perché non possono telelavorare quando si tratta dei lavori essenziali di assistenza, istruzione, cibo o salute.

Nonostante si sappia perfettamente come, dove e chi ha più probabilità di risultare contagiato, non sono state messe in atto misure per migliorare la salute collettiva. Le misure che potrebbero ridurre le disuguaglianze sanitarie a breve e medio termine non sono esplorate.

Un esempio di come il governo intende aiutare le famiglie più vulnerabili è sufficiente: la Comunità di Madrid ha limitato l’accesso all’MVI, rendendo in pratica impossibile la sua compatibilità con il Reddito minimo d’inserimento, e questo negli ultimi mesi ha portato a numerosi casi di accesso ridotto ai redditi sociali. Misure che non solo aggravano la situazione delle famiglie, ma sono anche crudeli.

Di fronte a questa enorme segregazione sociale, tutto ciò che viene in mente al governo Ayuso sono misure punitive e un maggiore controllo sociale. La ciliegina sulla torta a questo proposito è che la polizia e la Guardia Civil potranno accedere ai dati sanitari della popolazione per far rispettare la quarantena.

Nel lottare contro la pandemia abbiamo avuto l’opportunità di esplorare misure che riducessero le disuguaglianze, che migliorassero le condizioni di vita, coinvolgendo la popolazione e i professionisti. Misure che avessero come baricentro l’assistenza comune e ai più vulnerabili, e come perno non unicamente la salute ma anche l’assistenza sociale.

E questo poteva essere messo in campo sulla base delle esperienze già avvenute nella prima “ondata” di sostegno comunitario [promosso dai cittadini, non dal governo, ndt], banchi alimentari, mense per i poveri, persone che si sono prese cura dei più vulnerabili che vivevano da sole in situazioni estreme, ecc.

Oggigiorno c’è la forte necessità di una risposta politica decisa, basata su prove scientifiche, che comprenda anche risorse efficaci per ridurre le disuguaglianze sociali di fronte al Covid-19 e che si basi sulla popolazione come agente sanitario attivo necessario per l’accettazione e il rispetto delle misure.

Ma sempre oggigiorno abbiamo di fronte un eccesso di retorica e una mancanza di azioni decisive per salvaguardare la salute della popolazione, soprattutto di quelle più a rischio.

Le decisioni politiche del signor Sánchez e della signora Ayuso saranno valutate in vite, nelle nostre vite che perderemo, e purtroppo la morte non ha mai smesso di affacciarsi nelle nostre strade. Il governo di Madrid sta esponendo i cittadini di Madrid alla morte senza prendere misure adeguate, solo questo sta facendo.

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