Ci sarà ancora da attendere per sapere chi sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti, ma Trump ha già calato il suo pesante – ed annunciato – bastone sul possibile esito. “E’ in corso un tentativo di “frode che ci sta imbarazzando, ora il nostro obiettivo è assicurare l’integrità per il bene di questa nazione. È una frode, una truffa, andremo davanti alla Corte Suprema” ha detto Trump dalla Casa Bianca, alludendo a presunti tentativi di modificare l’esito del voto da parte dei democratici. “Non vogliamo che trovino una scusa per votare anche alle 4 del mattino”.
Al momento dunque non c’è un vincitore, anzi si dichiarano entrambi vincitori e la palla potrebbe passare alla Corte Suprema. L’Election Night consegna, per ora, questo scenario. Donald Trump e Joe Biden reclamano entrambi la vittoria anche se il verdetto finale potrebbe richiedere giorni.
Intanto Tom Wolf, il governatore democratico della Pennsylvania – uno degli Stati che può fare la differenza – ha promesso che ogni voto legalmente espresso nello Stato verrà conteggiato. La Pennsylvania è uno degli Stati chiave in cui Trump e il suo sfidante Joe Biden si giocano la vittoria.
Biden ha vinto in Stati come Arizona, Minnesota, Colorado, Connecticut, Delaware, Illinois, Maryland, Massachusetts, New Jersey, New Mexico New York, Rhode Island, Vermont Virginia e Washington Dc.
Trump ha avuto la meglio in Alabama, Arkansas, Kentucky, Louisiana, Mississippi, Nebraska, North Dakota, Oklahoma, South Dakota, Tennessee, West Virginia, Wyoming, Indiana e South Carolina.
Al momento i Repubblicani paiono in grado di riconfermare la loro maggioranza al Senato federale. Nel Maine è’ ancora aperta la corsa per un seggio, dove la repubblicana Susan Collins, senatrice dal 1996, appare in difficoltà contro la sfidante democratica Sara Gideon. Testa a testa in Georgia dove il repubblicano David Perdue è in testa con il 50,8 per cento dei consensi, contro il 46,9 per cento del suo avversario.
In pratica si è riproposta la storica spaccatura tra la Rust Belt (le zone industriali) e la Sun belt (le zone rurali). La prima ai Democratici, la seconda ai Repubblicani, è come se la guerra civile statunitense non fosse mai finita ma, al contrario, si stia riproponendo a centosessanta anni di distanza rivelando un paese – gli Stati Uniti – nel quale convivono e confliggono due mondi.
Questa contrapposizione frontale, anche sul piano dell’accettazione dei risultati elettorali, si era manifestata già nelle elezioni presidenziali del 2000, in particolare sui risultati in Florida. Per giorni e giorni l’esito fu sospeso ma alla fine i Democratici di Al Gore accettarono il risultato e la vittoria di Bush jr. anche se con molti dubbi. Ma allora c’era una classe politica che in qualche modo si riconosceva come simile. Oggi c’è la delegittimazione piena dell’avversario, ed è tutt’altra cosa.
Su questa situazione primo commento a caldo di Giorgio Cremaschi:
GLI USA NON SONO UNA DEMOCRAZIA
In una democrazia vince chi prende più voti.
In una democrazia vale il principio una persona un voto.
In una democrazia il sistema di voto è lo stesso in tutto il paese.
In una democrazia il voto è garantito e sicuro ovunque e tutte le persone libere possono votare liberamente.
Negli USA tutto questo non c’è perché NON SONO UNA DEMOCRAZIA.
E ora aspettiamo i risultati finali, quando arriveranno, di un sistema falso e truccato.
PS. In Italia da anni la classe dirigente opera per una “democrazia” di tipo americano… ora vediamo cosa vogliono.
(seguiranno aggiornamenti)
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