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Donbass. Kiev continua la guerra per impedire l’autogoverno locale

Siamo costretti ad ammonire la parte ucraina che il suo giocare con il fuoco condurrà inevitabilmente a una risposta adeguata: se non cesseranno i bombardamenti sul nostro territorio, saremo costretti a rispondere al fuoco“, ha dichiarato la Ministra degli esteri della Repubblica popolare di Donetsk, Natal’ja Nikonorova.

Di nuovo nei giorni scorsi le truppe di Kiev hanno colpito l’area dell’aeroporto di Donetsk e il villaggio di Vesëloe con razzi anticarro teleguidati. Questo avveniva mentre era in corso l’ennesima riunione del Gruppo di contatto trilaterale, nel corso del quale, ancora Nikonorova constatava come “l’Ucraina sia intenzionata a risolvere il conflitto con la forza”.

Le nostre proposte“, ha dichiarato “rimangono immutate: concordare il prima possibile un Pacchetto di misure che funzioni efficacemente, dal momento che, a nostro avviso, la parte ucraina ha completamente ripudiato il documento” sul coordinamento della missione di controllo.

Tra l’altro, perdurante il “controllo sul cessate il fuoco”, ancora tre miliziani della DNR sono rimasti uccisi, uno dei quali, il comandante “Marik”, colpito da un cecchino mentre evacuava un ferito, la qual cosa contraddice “sia alla logica del cessate il fuoco incondizionato, sia alle norme umanitarie internazionalmente riconosciute”, ha dichiarato Nikonorova.

Sul fronte interno, a testimonianza di come siano disillusi gli ucraini che, stanchi di essere affamati dal FMI per mano di Petro Porošenko, nel 2019 avevano votato per Vladimir Zelenskij, ecco che, secondo un’indagine condotta a ottobre, un quarto di essi ritiene che la maggioranza dei politici meriterebbe giustizia sommaria e circa il 67% è favorevole a mandarli sotto processo.

In base poi a un sondaggio dell’Istituto di sociologia di Kiev, oltre la metà degli intervistati pensa che lo Stato si stia “disfacendo” e la vita diventi insostenibile. Non per nulla, lo scorso luglio, il gradimento riscosso dal partito presidenziale “Servo del popolo” era inferiore al 30%, mentre continuano a scendere le quotazioni dello stesso Zelenskij.

Il quale Zelenskij, in un colloquio telefonico del 10 novembre con Angela Merkel, ha avuto la sfacciataggine di dire che in Donbass va avanti il più lungo cessate il fuoco dall’inizio della guerra, ma che ci sarebbero continue provocazioni da parte delle formazioni armate illegali, il che “complica l’avanzata verso la pace”.

Il comico-Presidente, secondo quanto riporta l’agenzia REGNUM, ha parlato anche del nuovo piano di “azioni congiunte” per il Donbass presentato il 5 novembre da Kiev ai partner del “quartetto normanno” (Francia, Germania e Russia, oltre la stessa Ucraina) che ne discuteranno a breve.

Un piano che prevede la fine del conflitto entro l’inizio del 2021, ma che contraddice i postulati degli accordi di Minsk, dal momento che prevede la smilitarizzazione della regione e lo svolgimento delle elezioni locali in Donbass il 31 marzo 2021, sotto bandiera ucraina e con i confini con la Russia controllati da Kiev.

Più diretto lo squadrista Andrej Biletskij, führer del neo-nazista “Corpo nazionale”: infervorato dall’esempio degli azeri che, con una sorta di blitz-krieg, hanno riportato sotto controllo di Baku vari distretti del Nagorno-Karabakh, ha chiamato ad “azioni risolute” per stabilire il controllo ucraino su Crimea e Donbass per via militare.

Ora, il fatto nuovo che potrebbe spingere l’amministrazione Zelenskij a seguire davvero in maniera più marcata la strada di Porošenko, è il probabile ingresso alla Casa Bianca di Joe Biden che, già nei primi colloqui telefonici con vari leader europei, ha addolcito la torta con “clima, Corona virus e anti-razzismo”, ma l’ha impastata con Iran, Siria, Balcani, Ucraina.

Insieme all’ulteriore rafforzamento della NATO in Europa orientale e nei Balcani, l’obiettivo è quello di inserire anche l’Azerbajdžan nell’Alleanza, per trasformarlo, insieme alla Turchia, in una testa di ponte per il Caucaso russo. Il tema ucraino,

Biden lo ha discusso, in particolare con Emmanuel Macron e soprattutto con Boris Johnson, ora che la Gran Bretagna è diventata uno dei principali alleati di Kiev: il nuovo inquilino della Casa Bianca non ha evidentemente alcuna intenzione di lasciare a Londra il primato in terra Ucraina. Ne va del prestigio yankee e anche degli interessi di famiglia.

Dunque, quali prospettive ci sono realmente per il Donbass di raggiungere lo status speciale previsto dagli accordi di Minsk e di poter eleggere, con un voto libero dal ricatto delle armi ucraine, i propri organi di autogoverno locale?

Sul tema, arriva da Lugansk la richiesta di diffondere una conversazione tra la vice Ministra degli esteri della LNR, Anna Soroka e il giurista Jurij Medvedev, professore dell’Università di Lugansk che, sebbene svoltasi nel periodo della presidenza Porošenko, mantiene purtroppo stretta attualità, a dimostrazione della continuità tra la precedente junta golpista ucraina e quella attuale nel preferire una soluzione di forza della questione, della persistenza nazista a minacciare assalti al “palazzo”, della ostinazione occidentale a servirsi dell’Ucraina per le proprie mire strategiche e a depredarne le risorse per i propri arricchimenti privati.

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Ministero degli esteri della Repubblica popolare di Lugansk: “Elezioni in Donbass: strada verso la pace o verso la guerra?”

Anna Soroka: Negli ultimi tempi è in corso sui media ucraini un’accesa discussione a proposito dell’adozione della legge sulle elezioni locali in Donbass e, naturalmente, sulle prospettive della sua attuazione nelle reali condizioni dell’odierna Ucraina post-majdan. Come ci si poteva aspettare, i politici ucraini, partendo dalle proprie concezioni ideologiche, culturali, economiche, definiscono a modo loro il nocciolo del problema e le strade per la sua soluzione.

Inoltre, essi sostengono il proprio punto di vista con le argomentazioni più diverse, di difficile comprensione per il profano inesperto. Insieme al mio collega Jurij Medvedev ho cercato di raccapezzarmi su quanto tali argomenti siano fondati e corrispondano allo stato reale delle cose.

Jurij Medvedev: L’obiettivo principale indicato dai curatori occidentali al regime di Kiev e da questo attivamente perseguito, è quello di impedire con ogni mezzo le elezioni in Donbass. Ciò perché tale procedura porterebbe con sé la legittimazione (legalizzazione) delle Repubbliche popolari di Lugansk e di Donetsk, con tutte le conseguenze che ne scaturiscono: dal risarcimento alle Repubbliche per le infrastrutture distrutte, fino alla reale decentralizzazione del paese, con la sua trasformazione in Stato federativo.

Questo non solo minerebbe alle fondamenta il potere dei politici ucraini, ma accelererebbe l’inevitabile crack della junta. In tale situazione, LNR e DNR potrebbero con pieno diritto pretendere di succedere alla guida del paese. Lei capisce bene che una simile prospettiva è assolutamente inaccettabile, sia per l’autoproclamato regime ucraino, che per i suoi tutori occidentali e d’oltreoceano, giacché per il primo, ciò significherebbe il banco degli accusati e, per i secondi, una sostanziale caduta di immagine, oltre che perdite politiche e finanziarie.

Dunque, i politici ucraini, invece di adottare la legge sulle elezioni in Donbass, si occupano a più non posso di cercare pretesti per cui non sia possibile adottarla.

A.S.: Tanto più che quei politici si occupano non solo di ricercare attivamente pretesti, ma anche di propagandarli attraverso i media, cercando di convincere i semplici ucraini della perniciosità, sia per il paese, che per loro medesimi, di una simile “iniziativa” in Donbass. Inoltre, alcune teste calde tentano addirittura di minacciare la leadership del paese, se questa si azzarderà a muovere anche il minimo passo in quella direzione. Così, Andrej Biletskij, deputato indipendente e, per cumulo di cariche, anche curatore del battaglione nazionalista “Azov”, nel corso dell’ultimo “fireshow” di fronte alla Rada a Kiev, ha dichiarato: “Il nostro obiettivo fondamentale è quello di mostrare che non si riuscirà in alcun modo a tradire alla chetichella l’Ucraina, a capitolare e cedere i nostri territori. Siamo monolitici e uniti. Non permetteremo di vendere la nostra terra, come vorrebbero. Dobbiamo scandire al governo una formula semplice: No ai confini ucraini; No ad alcuna elezione in Donbass. Nel caso tentino di indirle, noi spazzeremo via il Parlamento e l’amministrazione presidenziale e metteremo al loro posto altri deputati”. Quanto sono reali tali minacce?

J.M.: Biletskij bluffa, spacciando il desiderio per realtà. Non è un segreto per nessuno che nell’odierna Ucraina post-majdan, tutti gli avvenimenti di un certo rilievo accadono solamente con il permesso e su ordine dei curatori occidentali. Compresa la marcia del corpo civile di “Azov” da Lei citata. Vedete: la gran parte della popolazione è impaurita e apatica.

Oggi, i semplici ucraini si trovano in condizioni economiche niente affatto semplici; in altre parole, sono assorbiti dalle questioni della sopravvivenza e, in definitiva, hanno altro cui pensare che non ai problemi della “grande politica”. A parte rarissime eccezioni, quelli che si definiscono “attivisti”, “patrioti”, “combattenti per l’Ucraina” praticano tali attività esclusivamente per soldi.

Quindi, se non arriva il relativo ordine dall’alto, sostenuto da una buona somma in contanti, non vedrete nessuno show nelle strade, con pneumatici incendiati, razzi, urla nazionaliste e risse.

A.S: Diciamo che questa è la variante estrema di condotta del politicantismo ucraino. C’è però, tra i deputati della Rada, anche chi cerca di dimostrare di aver ragione, basandosi direttamente sulle disposizioni degli accordi di Minsk. Così, il deputato della frazione “Blocco Petro Porošenko”, Aleksandr Černenko, alla domanda di “Tsenzor.NET” circa la possibilità di elezioni in Donbass, ha dichiarato che esse sono possibili soltanto se si determineranno le relative condizioni. “A oggi queste non esistono. Dunque, tenere le elezioni in questa situazione significherebbe contraddire gli accordi di Minsk, dal momento che in essi sono contemplati i fattori della sicurezza”.

J.M.: Ma chi è responsabile del fatto che nell’area, come per il passato, non ci sia sicurezza? Probabilmente i miliziani che, a sentire gli ucro-media, continuerebbero la tradizione di sparare contro se stessi e i civili a Donetsk, Makeevka, contro l’aeroporto di Donetsk, Pervomajsk. Bisogna proprio essere di comprendonio limitato, per credere a una tale assurda panzana!

Guardate alle notizie delle agenzie: non passa giorno senza che VSU [Forse armate ucraine; ndt] e battaglioni punitivi non bersaglino i territori di LNR e DNR. Come per il passato, si continuano a distruggere edifici e infrastrutture della regione, muoiono le persone. E tutto questo viene perpetrato dalla junta di Kiev con piena cognizione e con un unico scopo: far saltare gli accordi di Minsk.

Eppure, sottoscrivendoli, l’attuale leadership ucraina si era impegnata a cessare immediatamente il fuoco e ritirare le armi pesanti dalla linea di contatto. Dopo di che, “il primo giorno dopo averle ritirate, dare il via al dialogo sulle modalità di svolgimento delle elezioni locali, in conformità con la legislazione ucraina e la legge ucraina “Sulla procedura temporanea dell’autogoverno locale in alcune aree delle regioni di Donetsk e Lugansk“, nonché sul futuro status di queste aree sulla base di quella legge.

Immediatamente, non più tardi di 30 giorni dalla firma del documento, adottare una risoluzione della Rada suprema con l’indicazione dei territori cui si estende il regime particolare, in conformità alla legge ucraina “Sulla procedura temporanea di autogoverno locale in alcuni distretti delle regioni di Donetsk e di Lugansk”, sulla base della linea stabilita dal memorandum di Minsk del 19 settembre 2014”.

A.S.: Molto spesso, viene affermato che una delle principali condizioni per lo svolgimento delle elezioni sia il passaggio alla parte ucraina del controllo sulla frontiera di Stato.

J.M.: L’accordo internazionale da noi ricordato contiene precise istruzioni, tappa dopo tappa, per stabilire una pace giusta e duratura in Donbass. L’accordo non presuppone un’interpretazione arbitraria delle sue disposizioni e un cambiamento nella sequenza della loro attuazione.

Per quanto riguarda il controllo delle frontiere, tale condizione è specificata al punto 9 del “Complesso delle misure per l’attuazione degli accordi di Minsk”: “Il ripristino del pieno controllo delle frontiere statali da parte del governo ucraino in tutta la zona del conflitto, dovrà iniziare il primo giorno successivo alle elezioni locali e concludersi dopo la soluzione politica totale (elezioni locali in alcuni distretti delle regioni di Donetsk e di Lugansk sulla base della legislazione ucraina, oltre alla riforma costituzionale) entro la fine del 2015, condizionata all’attuazione del punto 11 – con la consultazione e in accordo coi rappresentanti di alcuni distretti delle regioni di Donetsk e di Lugansk nell’ambito del Gruppo di contatto trilaterale”.

E ancora, al punto 12: “Sulla base della legislazione ucraina ‘Sulla procedura temporanea di autogoverno locale in alcuni distretti delle regioni di Donetsk e di Lugansk’, le questioni relative alle elezioni locali verranno discusse e concordate coi rappresentanti di alcuni distretti delle regioni di Donetsk e di Lugansk, nel quadro del Gruppo di contatto trilaterale. Le elezioni si svolgeranno in osservanza ai relativi standard del OSCE, col monitoraggio da parte del Office for Democratic Institutions and Human Rights del OSCE”. Come si può vedere, tutto chiaro e preciso!

A.S.: Vale a dire, grazie agli accordi di Minsk, la junta di Kiev dispone di uno spazio di manovra molto ristretto. Questo lo capiscono anche diversi politici ucraini, i quali propongono di tagliare con un colpo solo il “nodo gordiano”. Ad esempio, il 30 maggio, a Mariupol, nel corso della solenne cerimonia per decorare i funzionari della Polizia nazionale della regione di Donetsk, il Primo ministro ucraino Vladimir Grojsman espresse la convinzione che le forze di Kiev avrebbero riportato nella compagine ucraina la Crimea e la parte del Donbass oggi non controllata, con il che, di fatto, egli ribadiva il rifiuto all’adempimento degli accordi di Minsk.

Comunque, quelle erano parole. Nei fatti, può l’Ucraina così, semplicemente, prendere e rifiutarsi di ottemperare agli impegni presi?

J.M.: Io consiglierei agli odierni politici ucraini, prima di fare simili dichiarazioni, di prendere un manuale di diritto internazionale e studiarne con molta attenzione il contenuto. Oso assicurare che, con un certo impegno, essi scopriranno molte cose nuove per loro, in particolare l’esistenza, nel diritto pubblico internazionale contemporaneo, degli approcci all’adempimento degli accordi internazionali.

Affinché sia chiaro ai nostri lettori di cosa stiamo parlando, soffermiamoci brevemente sui suoi punti chiave. E dunque: alla base del diritto pubblico internazionale contemporaneo vi sono i suoi principi, ed essi costituiscono le norme fondamentali universalmente riconosciute, aventi massima forza giuridica.

I principi del diritto internazionale rivestono carattere universale e rappresentano criteri per la legalità di tutte le altre norme internazionali. Il contenuto dei principi di base è stato esplicitato dettagliatamente nella Dichiarazione sui principi del diritto internazionale, relativi a rapporti amichevoli e collaborazione tra gli Stati, in ottemperanza allo Statuto ONU del 1970, ed è stato anche concretizzato dagli atti della Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa (CSCE), in particolare, dall’Atto conclusivo di Helsinki del 1975, dal Documento conclusivo dell’incontro di Vienna del 1989, e altri.

Uno dei principi è rappresentato dal presupposto dell’adempimento in buona fede degli obblighi internazionali, secondo il quale gli Stati sono tenuti ad adempiere coscienziosamente gli impegni internazionali assunti.

Per la sua essenza, il diritto internazionale riveste carattere volontario, coordinato: vale a dire che nessuno impone con la forza ad alcuno di andare in alcuna direzione. Se questo o quello Stato è interessato a regolare i rapporti sulla base del diritto internazionale e i suoi rappresentanti sottoscrivono gli accordi relativi, allora le loro disposizioni devono essere rigorosamente rispettate. Con ciò, si intende che gli Stati, nel concretare i propri diritti sovrani, compreso il diritto di adottare leggi, devono adeguare le proprie azioni agli impegni di diritto internazionale.

Capite bene che, se uno Stato cessa di adempiere gli impegni presi, crolla l’ordine mondiale stabilito. E nessuno è interessato a che ciò avvenga; quindi, nei confronti del violatore, si adottano le corrispondenti misure di ripercussione. Non le potrà evitare nemmeno l’Ucraina, se continuerà anche per il futuro a ignorare gli impegni presi.

A.S.: È vero, ma fino agli ultimi tempi i leader ucraini sono riusciti a “beffare” la comunità internazionale. La ragione non sta tanto nell’ingenuità dei leader europei, quanto nel sostegno garantito al regime di Kiev dal gendarme internazionale, gli USA. Quanto dovrà durare una tale situazione?

J.M.: Non si devono esagerare le possibilità degli USA, anche se non è il caso di sottovalutarle. La politica estera degli Stati Uniti si distingue per un estremo pragmatismo: in qualunque situazione, la cosa più importante è ottenere il massimo beneficio materiale. Non ci sono eccezioni.

Ovviamente, fino a un certo punto, si può sponsorizzare questo o quel regime, perseguendo determinati obiettivi di politica estera, risultato dei quali è in ogni caso sempre e comunque lo stesso: l’utile. Ma non all’infinito!

Anche per gli USA il portafoglio non è un barile senza fondo; tanto più che, anche per la più potente economia mondiale, ci sono problemi oltremodo gravi. Oggi, per gli USA, l’Ucraina si è trasformata in una sorta di “valigia senza manico”: è faticoso trascinarla, ma dispiace anche disfarsene. Per quanti sforzi e mezzi vi si siano investiti, “l’indipendente” non è comunque riuscita a raggiungere gli obiettivi affidategli.

Non è venuta a capo delle Repubbliche popolari per via militare e non è riuscita a trascinare la Russia in un conflitto armato. Per di più, più si va avanti, più fumose si fanno le prospettive in questo campo. Eppure, l’Ucraina non è l’Estonia; e nemmeno l’Ungheria.

Si tratta di un paese immenso, secondo i parametri europei, con quasi quaranta milioni di abitanti, che però, in conseguenza di una politica economica avventuristica, è stato ridotto a livello di sopravvivenza. Perché non si arrivi a un’esplosione sociale, è necessario in qualche modo sostenere gli ucraini.

Oggi, si tratta del debito estero dietro garanzia dei tutori occidentali. Ma anche questa fonte si sta gradualmente esaurendo. In questa situazione, gli USA non hanno trovato nulla di meglio che “scaricare” l’Ucraina all’Unione europea, che già di suo ha problemi fin sopra la testa; il che, d’altronde, rende i suoi politici più accomodanti sulla questione del futuro della “indipendente”.

E in quel futuro (spero, molto prossimo) probabilmente non ci sarà posto per l’attuale regime. In tali condizioni, la junta può dare avvio al proprio gioco per impedire la formazione di legittimi organi di potere nei territori di DNR e LNR. Finché Kiev riuscirà a “beffare” su tale questione, continuerà attivamente a contrabbandare agli abitanti del Donbass, invece delle elezioni e della risoluzione del conflitto, il ben noto slogan di Trotskij “né guerra, né pace”. Che è ciò che abbiamo in questo momento.

Ma non appena diverrà chiaro che non si riesce a ingannare nessuno e che LNR e DNR cominciano a prepararsi alle elezioni, allora ci sarà da attendersi una ripresa della fase accesa del conflitto. Tanto più che Porošenko non si preoccupa nemmeno di nascondere che lui e la sua squadra non hanno rinunciato a una soluzione di forza della questione.

In tali condizioni, la situazione cambia radicalmente. E assolutamente non a vantaggio dell’Ucraina.

A.S.: In altre parole, non ci sarà alcun Minsk-3! Fortunatamente, in Ucraina ci sono anche politici di buon senso, che non hanno perso il senso della realtà. Purtroppo, sono ancora in minoranza!

J.M.: In ogni caso, questo è meglio di niente! Il processo è partito ed è impossibile non notarlo. Così, il rappresentante della frazione parlamentare “Volontà del popolo”, Sergej Labazjuk, rispondendo alle domande di “Tsenzor.NET”, ha così esposto il proprio punto di vista sulla soluzione del problema delle elezioni in Donbass: “Già da due anni nel nostro paese si discute su come por fine al conflitto a est. Uno dei meccanismi è costituito dalle elezioni. Esse sono necessarie per far sì che l’élite locale entri a far parte degli organi di autogoverno locale e ne prenda la responsabilità. Il conflitto armato non cesserà finché non verranno concessi lo status e la possibilità di sviluppare la situazione in senso positivo. Per questo, le elezioni devono svolgersi ora. Ma, secondo le leggi ucraine, non sotto il tiro dei mitra e con il controllo, come minimo, del OSCE. Come massimo, con la presenza di osservatori europei. È necessario assicurare l’accesso all’informazione, includendo anche canali ucraini. Le persone devono avere diritto di scelta. Perché noi abbiamo un obiettivo chiave: mettere fine alla guerra”. Speriamo che il buon senso trionfi.

A.S.: Così che, in Ucraina ci sono punti di vista diversi sullo svolgimento delle elezioni in LNR e DNR. Il tempo mostrerà quale di essi avrà il sopravvento. In ogni caso, tra i fattori che lo determineranno, un ruolo particolare sarà giocato dalla scelta cosciente degli abitanti stessi del Donbass. Proprio l’attiva partecipazione sociale di ciascuno di noi, potrà aiutare a invertire l’orientamento verso una pace giusta e duratura. Non dobbiamo lasciar sfuggire questa chance!

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