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Il ritorno di Evo Morales in Bolivia. Riprende il cammino dell’uguaglianza e della giustizia sociale

Prima del 2006, anno della vittoria di Evo Morales alle elezioni MAS-ISPS, la Bolivia era considerata il paese più povero dell’America Latina. Il colpo di stato del 2019 ha segnato un vero passo indietro: un nuovo inizio dell’attuazione delle politiche neoliberiste con un piano di stabilizzazione e il processo di aggiustamento strutturale richiesto dalla Banca Mondiale e dal FMI, con la ristrutturazione del settore pubblico e la deregolamentazione del mercato del lavoro.

Ciò ha portato di fatto all’impoverimento assoluto del paese con crescenti disuguaglianze e povertà.

Il ritorno di Evo in Bolivia conferma il progetto di transizione: dal 2006 è stata intrapresa una politica economica caratterizzata dallo sviluppo della spesa pubblica attraverso i proventi ottenuti dalla nazionalizzazione delle risorse naturali e da diversi settori strategici: idrocarburi, telecomunicazioni, energia elettrica.

Rompendo con il modello neoliberista, lo Stato si afferma in Bolivia come controllore dei settori strategici dell’economia e promotore di politiche per la redistribuzione della ricchezza e degli investimenti sociali e infrastrutturali.

Già nel programma elettorale del 2006 erano evidenti alcune delle caratteristiche fondamentali della “Comunità sociale e modello economico produttivo” boliviano (MESCP). Tra questi la nazionalizzazione di settori strategici, il ruolo centrale assegnato allo Stato nell’economia, l’industrializzazione di settori legati alle risorse naturali, l’obbligo delle imprese straniere di investire una parte sostanziale dei propri profitti nel Paese, la promozione di filosofia di Vivir Bien, alloggi sociali e lotta alla povertà.

Come ha sottolineato l’attuale Presidente dello Stato Plurinazionale della Bolivia Luis Arce Catacora, il MESCP rappresenta un modello di transizione da una società capitalista liberale a una socialista, in cui gli interessi economici sono messi al servizio del benessere collettivo attraverso il controllo e la direzione politica dell’economia.

Lo Stato deve anche, in questa nuova fase, rivestire un ruolo centrale come protagonista di un’economia che mantiene anche la presenza di aziende private in transizione.

Il dibattito non è nuovo nel movimento operaio e ricorda, mutatis mutandis, ciò che alla fine del diciannovesimo secolo preoccupava la comunità rurale russa, e in generale la permanenza delle relazioni comunitarie in un regime capitalista. Il punto è capire se le forme sociali pre-capitaliste possono diventare protagoniste di una lotta anticapitalista.

Il MAS deve ancora una volta, con Evo, fondare il suo successo sulla partecipazione dei movimenti sociali e autoctoni alla proposta politica e di governo, unendo le lotte sindacali a quelle delle popolazioni originarie che si distinguono per l’antica cultura della solidarietà, l’educazione comunitaria, il rapporto privilegiato che hanno sempre intessuto con Pacha Mama nella visione di Evo e Choquehuanca.

Il MAS ha sempre qualcosa in più che dare alle lotte indigene un forte carattere di classe che ha permesso loro di unirsi ai contadini e ad altri settori di lavoratori in un programma anticapitalista.

Con tutto ciò, avrebbe superato l’inganno liberale, ma anche le auto-restrizioni politiche dell’era del capitalismo di stato. Sarà, quindi, un prolungamento della democrazia, a partire dall’inizio di un’iniziativa sociale che reinventa il senso di cittadinanza come atto di responsabilità permanente di ogni persona nel destino degli altri.

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