Donald Trump non demorde. Le ultime notizie confermano che continuerà la sua personale battaglia legale per dimostrare che è stato vittima di frode elettorale.
Nel frattempo i movimenti nazional/suprematisti decidono di scendere nelle strade per dimostrare la vicinanza al loro “vate”, organizzando alcune manifestazioni nella capitale americana.
Questo doppio binario su cui sembra viaggiare la strategia di The Donald mantiene il paese diviso in due e conferma che, benché la possibilità di liberarsi del presidente uscente non sia impossibile, ben più arduo compito sarà affrancarsi dalla sua eredità: quel “Trumpismo” che da sempre scorreva nelle vene di un popolo ma che con lui ha assunto legittimità politica.
Signore e signori, “The Great Hack” alla Casa Bianca.
Sapendo di poter contare come sempre sul secolare aiuto divino, l’America profonda si sentirà legittimata a dare battaglia?
Oh my name it ain’t nothin’
My age it means less
The country I come from
Is called the Midwest
I was taught and brought up there
The laws to abide
And that land that I live in
Has God on its side
Oh, the history books tell it
They tell it so well
The cavalries charged
The Indians fell
The cavalries charged
The Indians died
Oh, the country was young
With God on its side
The Spanish-American
War had its day
And the Civil War, too
Was soon laid away
And the names of the heroes
I was made to memorize
With guns in their hands
And God on their side…
(Bob Dylan, “With God On Our Side”)
Per una lettura post-elettorale
L’attuale fase post elettorale statunitense ricorda il titolo di un famoso film degli anni ’70 che molti forse ricordano: “Tutti gli uomini del Presidente”. Quel Presidente all’epoca era il guerrafondaio Richard Nixon, ed il film racconta la storia dello scandalo Watergate che portò alle sue dimissioni.
Qui invece abbiamo un presunto leader politico che non è neanche l’ombra di colui che è comunque stato un nemico, per la nostra generazione. Ma che, pervicacemente, continua la sua opinabile battaglia legale, portandosi dietro un discreto esercito di sostenitori.
Avrà i suoi buoni motivi (e soprattutto gli interessi), ma bara e sta giocando addirittura su due tavoli.
Lo stato dell’arte?
Il team di legali diretto dal fedele amico, Rudy Giuliani, continua alacremente a lavorare: ha impostato un nuovo ricorso in Michigan, mentre in Georgia il segretario di Stato, il repubblicano Brad Raffensperger, ha ordinato il riconteggio a mano di tutte le schede. Sono proprio questi gli Stati che, secondo Trump, gli potrebbero tornare utili per continuare il suo mandato alla Casa Bianca. Sempre che lo voglia, che gli convenga, al momento attuale.
Se a questo aggiungiamo che, a conti fatti, la vittoria del centrista democratico Biden, resterebbe immutata perché continua ad intestardirsi? Nelle prossime settimane comunque, a conteggio finito, il mondo saprà.
Nel mirino inoltre c’è anche la Pennsylvania, per cui si profila un intervento della Corte Suprema, ormai a forte maggioranza repubblicana dopo la nomina forzata dell’ultra conservatrice cattolica, Amy Barrett, imposta proprio da Trump stesso.
Il Ministro della Giustizia William Barr, altro suo sodale, ha già annunciato che avvierà una vera e propria indagine su “accuse rilevanti” di frode elettorale. Per protesta Richard Pilger, il principale procuratore del Dipartimento di Giustizia per i crimini elettorali, si è immediatamente dimesso.
Anche Mike Pompeo, Segretario di Stato uscente ed ex direttore della CIA, è riuscito a dichiarare, pur di appoggiare il proprio anfitrione, che “questa è una transizione dolce verso un secondo mandato Trump” ed ha chiesto a gran voce “il riconteggio di ciascun voto sospeso”.
The Orange quindi mostra di non voler mollare la propria carriera politica. Continua a blaterare di “vittoria decisiva” se le cause in Wisconsin o in Georgia gli daranno ragione.
Ma dietro queste “sicurezze” – specchietti per le allodole, forse – si nasconde un progetto ancora più ambizioso, a lungo termine, che avrà bisogno di momenti di confronto/scontro sociale anche molto duri.
Su questo toneremo fra qualche giorno dopo le manifestazioni del weekend.
Per ora ci si deve cullare nella stessa filastrocca che ripete da dieci giorni, il classico disco rotto, che dovrà fare i conti con un freddo nemico: il Tempo.
Riassumiamo quindi le scadenze cruciali prima del giuramento di Joe Biden, che avverrà alla Casa Bianca il prossimo 21 gennaio:
Il termine per il riconteggio in Georgia è fissato al 20 novembre e quindi prima di allora dalla Casa Bianca non dovrebbero venire fuori particolari annunci.
Altra data da segnare sul calendario è il 23 novembre, termine ultimo entro cui Michigan e Pennsylvania devono certificare i loro risultati in base alla legge dello Stato
8 dicembre: entro questa data dovranno essere concluse le eventuali controversie, a partire da quelle sul voto per posta poste dalla campagna di Trump. Il termine vale anche per l’eventuale riconteggio dei voti nei singoli Stati, per le cause nei tribunali e per l’eventuale ricorso alla Corte Suprema.
5 gennaio 2021: data del ballottaggio per l’assegnazione del Senato che, con la vittoria di Dan Sullivan in Alaska, sembra rimarrà nelle mani dei Repubblicani.
Ma altre considerazioni vanno fatte.
In questa battaglia legale i sostenitori di Trump, anche nel campo dei media si vanno assottigliando sempre più; via via si stanno allontanando diverse testate giornalistiche e televisive. Anche l’amico Rupert Murdoch, proprietario di Fox News, lo sta abbandonando ed è di ieri una dichiarazione del Presidente uscente che anticipa il progetto fondativo di una TV personale.
Ma soprattutto fa riflettere il fatto che i voti di scarto fra i due contendenti non sono così pochi e dunque che il riconteggio NON cambierà l’esito delle elezioni. Pur non essendo un genio in matematica, The Donald non può non saperlo.
Per questo si parlava di “specchietto per le allodole”: dietro la pervicacia nel perseguire la linea delle battaglie legali si nascondono in realtà interessi diversi, e si tace quella che è una battaglia tutta politica.
Dopotutto The Donald ha avuto il 48% del voto degli Americani, circa 71 milioni di statunitensi oramai sfiduciati dalle istituzioni hanno votato per lui. E questo bacino Trump vuole e deve mantenerlo, possibilmente ingrossarlo.
Il suo progetto non è quello di cacciare Biden e di asserragliarsi alla Casa Bianca, ma guadagnare altro potere all’interno del GOP, pensando magari ad una personale area interna al Partito Repubblicano.
Trump sa che il popolo americano non ama i “complainers”, chi si piange addosso, quindi alla fine NON riconoscerà (to concede in inglese), ma accetterà l’avversario; sembrano sinonimi ma la sottile differenza sta nella formalizzazione del riconoscimento.
Un fatto è che comunque, ad un certo punto, smetterà di opporsi ciecamente, aprendo una ricerca di consensi necessaria a spianargli la strada verso qualcosa che già traspariva dalle parole di Mike Pompeo durante una recente conferenza stampa: “Questa sarà una transizione dolce verso una ricandidatura del Presidente uscente alle politiche del 2024”.
Dopotutto la Costituzione degli Stati Uniti consente due mandati alla presidenza, che possono anche non essere consecutivi.
Per chiudere queste riflessioni post elettorali, una curiosità storica: quello fra Trump e Biden può diventare il più lungo contenzioso riguardante la transizione presidenziale dal 1876, anno in cui Rutherford B. Hayes e Samuel Tilden si contesero il risultato elettorale fino a due giorni prima dell’insediamento. A quell’epoca ci fu mediazione ed accordo finale.
Cosa produrrà invece questo contenzioso nel 2021?
The “Million M.A.G.A. March”
Durante la campagna elettorale The Orange aveva indirizzato un segnale ad un gruppo di nazionalisti bianchi di estrema destra, i Proud Boys: ”Stand back, stand by”, aveva consigliato dal pulpito, avvertendoli di attendere gli eventi.
Ebbene sabato a Washington il “suo popolo” si è dato appuntamento per una manifestazione denominata “The Million M.A.G.A. March”.
Il raduno, paradossalmente, prende nome dalla marcia degli afroamericani per la giustizia sociale (la “Million Man March”) che si svolse il 16 ottobre del 1995 sempre a Washington, indetta da Louis Farrakhan, leader della Nation of Islam, ex discepolo di Malcolm X, cui parteciparono un milione di afroamericani. È considerata la più grande manifestazione afroamericana di tutti i tempi.
Al sostantivo “Man” i “trumpisti” hanno sostituito l’acronimo M.A.G.A. che cita lo slogan di The Donald: Make America Great Again!.
La manifestazione è stata organizzata per mezzogiorno, ora di Washington (le 18 in Italia), e dovrebbe sfilare da Freedom Plaza alla Corte Suprema, nei pressi della Casa Bianca.
Secondo gli organizzatori la manifestazione richiamerà centinaia di migliaia di persone;
Oltre al gruppo dei Proud Boys parteciperanno diversi cartelli e movimenti di estrema destra: caravans del movimento “Stop The Steal” (“Fermate la rapina” N.d.A.) dal Texas, i nazionalisti secondo cui Trump ha perso le elezioni a causa di una ramificata frode elettorale.
Sono attesi anche i complottisti di QAnon, anche se negli ultimi giorni si sono verificati una serie di fatti quantomeno singolari. Il canale televisivo e il sito internet di cui si serviva il gruppo hanno cambiato nome: si chiamava 8Chan, ora è 8Kun e Ron Watkins, amministratore del sito, ha annunciato le proprie dimissioni.
Durante la notte del 10 ottobre sono stati chiusi centinaia di migliaia di profili social dei seguaci del gruppo, apparentemente per propria volontà; risultano non più attivi anche i diversi canali Youtube appartenenti al gruppo. Scartata l’ipotesi che il gruppo si stia sciogliendo, ci deve essere una strategia in azione…
Hanno dato la loro adesione anche altri gruppi antigovernativi, come i vigilantes radicali “Oath Keepers”, i “Three Percenters”, seguaci del gruppo cospirazionista “Infowars”, attivisti della alt-right, gruppi neo-Nazisti, ed altri supporters del presidente uscente.
Fra le “personalità” di spicco è assicurato il supporto di Sean Hannity di Fox News, di Enrique Tarrio, leader e fondatore dei Proud Boys, del “Nazionalista Americano” (così si è autodefinito) ed agitatore sociale Nicholas Fuentes, di Jack Posobiec, colui che sviluppò la teoria cospirazionista “Pizzagate” legata alla sparatoria del 2016 nella pizzeria “Comet Ping Pong” che fece da corollario alle teorie di QAnon. E poi Scott Presler, un attivista pro-Trump che collabora con il gruppo anti-Musulmano “ACT for America”.
Ultimo ma forse non meno pericoloso perché si occupa di informazione e comunicazione, il teorico cospirazionista e fondatore di “Infowars”, appunto, Alex Jones.
Non c’è che dire, proprio un bel gruppetto di “bravi ragazzi”.
Al momento, da quello che traspare dalle pagine social e dai siti alt-right, sembra mancare un’organizzazione logistica sufficiente ad assicurare anche la sicurezza di una manifestazione del genere, da parte degli organizzatori.
Sono previste ovviamente anche contromanifestazioni delle organizzazioni antifasciste ed antirazziste, dal movimento BLM alle organizzazioni anarchiche, passando per Antifa, che si ritroveranno non molto lontano dall’altro raduno, alla stessa ora.
Per parte sua Muriel Bowser, sindaco democratico di Washington e del distretto di Columbia, in una conferenza stampa tenutasi nei giorni scorsi, ha dichiarato: “Continueremo a seguire tutte le attività di questi gruppi e saremo preparati ad ogni evenienza. Le nostre forze dell’ordine ed il Capo della Polizia avranno un comportamento in linea con quello tenuto durante le manifestazioni che si sono tenute la scorsa settimana, durante la tornata elettorale”
Ricordiamo che quando i gruppi si sono affrontati, ne sono nati dei tafferugli con diversi feriti e molti arresti, ma si era in un momento differente. Dopo una settimana di dichiarazioni di frodi elettorali e di rapine di voti, gli animi del popolo “Trumpista” potrebbero essere più sensibili alla protesta violenta.
“Saremo lì per difendere le manifestazioni pacifiche tutelate dal Primo Emendamento*. La Bowser ha però avvertito che “sarà assolutamente vietato, soprattutto a chi arriva da fuori città di portare armi con sé”, ricordando che il distretto di Columbia ha leggi più stringenti riguardo il possesso di armi, rispetto ad altre parti del paese.
“I possessori di un’arma, regolarmente registrata avranno il permesso di portarla con sé, l’importante è che non venga mostrata apertamente. Non sarà permesso portare caricatori che possano contenere più di dieci colpi”.
Certo che il concetto di “manifestazione pacifica” protetta dal Primo Emendamento stride un poco con le raccomandazioni del sindaco di Washington. Ma l’America è anche questo: ipocrisia e contraddizione.
A margine, infine, è importante ricordare che, fino al momento del riconoscimento ufficiale di Biden da parte del presidente uscente (il famoso momento del “concede”), tutti i processi di intelligence e/o di sicurezza nazionale sono rallentati, e addirittura potrebbero bloccarsi per effetto del “Presidential Transition Act” del 1963.
Biden, per ricevere il briefing quotidiano contenente le informazioni più sensibili dell’intelligence, dovrebbe essere autorizzato da Donald Trump.
Ricordate la serie di film demenziali “Una pallottola spuntata”? Se sì, non dovete far altro che usare la vostra immaginazione, e provare a trasferire il concetto alla giornata di sabato alle 12:00 ora di Washington, le 18:00 in Italia e… buona visione!
Trump sarà stato anche liquidato, scalzato dal proprio posto, ma il “Trumpismo” ancora fluttua per la nazione.
Nel frattempo “l’uomo dal ciuffo arancio” sparge diversivi, depista e sistema le sue tessere, i propri uomini, prima della fine della transizione, quasi a comporre un proprio puzzle il cui disegno si intuisce, ma che si disvelerà solo nel lungo termine.
L’America profonda, quella che ha covato rabbia per essere stata dimenticata fino all’arrivo di Trump, nel frattempo potrebbe voler passare all’incasso.
* Il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti garantisce la terzietà della legge rispetto al culto della religione e il suo libero esercizio, nonché la libertà di parola e di stampa, ed il diritto di riunirsi pacificamente; infine riconosce il diritto di appellarsi al governo per correggere i torti.
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Giancarlo
Trump è un nazionalista, di destra che mobilita i fascisti, però, secondo il sito antiwar.com, il nuovo segretario alla difesa appena nominato, Miller, ha detto ai Pentagono che la “guerra per sempre ” è finita, dicendo che entro natale le truppe devono rientrare dall’Afghanistan. Mentre, Biden, il democratico vincitore, quasi come San Giorgio, ha nel suo team “Membri del team di transizione del Pentagono di Biden finanziati dall’industria delle armi. Le indagini hanno rilevato che un terzo del team ha lavorato per organizzazioni che ricevono finanziamenti dai produttori di armi. Questi membri avevano lavorato sotto Obama, che come si sa ha iniziato la guerra in Sira e distrutto la Libia. https://news.antiwar.com/