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USA: scuole chiuse, ristoranti aperti e disastro sanitario

Mentre nel nostro paese abbiamo visto il lamento di una parte dei ristoratori, anche stellati, che dall’inizio di questo nuovo lockdown light, pregano di riaprire a tutti i costi per ricominciare a fare profitti, alla faccia delle centinaia di morti giornaliere per coronavirus, negli Stati Uniti la situazione del settore sembra essere molto più grave.

Anzitutto, i ben pochi fondi dati ai locali hanno costretto questi, una volta “estintisi”, a continuare a lavorare anche durante lo scoppio del secondo picco pandemico, arrivando addirittura ad essere considerati una priorità rispetto alle scuole e ai centri di formazione, che invece hanno chiuso subito.

Il simbolo di questo modus operandi è il sindaco di New York, Bill De Blasio, che mentre ad inizio settimana aveva ordinato di chiudere le scuole, dopo pochi giorni affermava che il consumo dei pasti “al chiuso” nei bar e nei ristoranti sarebbe stato fermato entro una o due settimane!

É stato dimostrato che questi luoghi, per chi ci lavora e per chi ci mangia, sono i maggiormente pericolosi. Come riporta l’articolo che qui abbiamo tradotto:

«Un recente studio del Centro per il Controllo delle Malattie e la Prevenzione ha scoperto che pazienti positivi al Covid in 11 cliniche avevano il doppio delle possibilità di aver mangiato in un ristorante di recente rispetto a coloro i quali erano risultati negativi. E una nuova ricerca pubblicata su Nature ha rivelato che certi tipi di impresa – ristoranti, palestre, hotel e luoghi di preghiera – sono luoghi di eventi molto contagiosi, con ristorante in pieno servizio categorizzati come “particolarmente rischiosi”. Quattro volte di più rispetto alle palestre, infatti

Dati conosciuti, ma l’american way of life antepone il profitto alla salute, nonostante quest’approccio sviluppi una retro-azione negativa sulla possibilità – a parte le grandi corporations – di realizzarli.

Il fatto che solo ora, con un’ecatombe pari a quasi un “11 settembre” ogni giorno, si stia pensando a far chiudere questo tipo di attività perché moltiplicano la diffusione del virus fa riflettere sul declino razionale degli Stati Uniti.

Un paese ormai allo sbando, dove la “libertà individuale” – nel suo senso deteriore, ossia irresponsabile verso gli altri – è quasi sempre stata anteposta al bene collettivo.

Ne è una dimostrazione il fatto per il “Giorno del Ringraziamento” lo US Centers for Disease Control and Prevention ha rilasciato una nuova guida raccomandando di non mettersi in viaggio in un giorno di festa in cui milioni di cittadini statunitensi si incontrano con amici e parenti. Nessun divieto, quindi, neanche nel pieno del secondo picco pandemico, ma solo “consigli”.

Ma c’è di più. Scott Atlas, il consigliere incaricato da Trump per l’emergenza Coronavirus, noto sostenitore dell’“immunità di gregge”, ha esortato gli americani a resistere alle restrizioni che diversi governatori dei vari Stati – come il Michigan o la California – hanno promosso!

La situazione è catastrofica, lo dicono i numeri, e con un fine settimana di festa che rischia di essere un incredibile vettore del contagio, forse è più facile agganciarsi al vuoto simulacro della normalità che affrontare la realtà.

Il 20 novembre ci sono stati quasi 200 mila casi di nuovi contagi di Covid-19 – 198.537 per la precisione – , erano stati quasi 190 mila il giorno prima, con i decessi quotidiani che sfiorano le 2.000 unità al giorno.

Un aumento dei contagi del 67% rispetto a 14 giorni fa, e del 63% rispetto ai decessi, un nuovo record nel pieno del secondo picco pandemico, in cui gli Stati Uniti, con più di 12 milioni e centomila contagiati detengono il record mondiale.

La crisi sanitaria, con un sistema ospedaliero prossimo al collasso – più di 80 mila ricoveri per il Covid-19 -, dimostra platealmente il fallimento di un modello di tutela che si somma alla crisi sociale. L’ultimo report sui nuovi “disoccupati” che hanno fatto domanda per l’indennità riferisce di 742 mila persone. Da marzo, coloro che ricevono una qualche forma di compensazione – e non è il totale dei disoccupati reali – sono più di 20 milioni: un ordine di grandezza paragonabile solo alla Grande Crisi del 1929.

Come riporta l’articolo che qui abbiamo tradotto, nella sola ristorazione sono stati persi 2,3 milioni di posti di lavoro.

In aggiunta a questo, democratici e repubblicani da mesi non riuscono a mettersi d’accordo sul pacchetto di aiuti – i primi vorrebbero fossero pari a 3 mila miliardi di dollari – che hanno permesso di “tamponare” da marzo in parte gli effetti della crisi sui soggetti più vulnerabili, ma finiscono con quest’anno solare.

Ma non è l’unico dissidio tra le due formazioni, tenendo conto che il Segretario del Tesoro Steven Mnuchin, a differenza di quanto sosteneva la FED, questo venerdì non ha voluto rinnovare tutta una serie di sostegni economici alle imprese attraverso differenti tipologie di prestito – gli emergency credits programs -, per una quota pari a 455 milioni di dollari, che permettevano soprattutto alle piccole-medie imprese di avere quel supporto finanziario indispensabile per attraversare la pandemia.

Con la sua non-vittoria, Trump si lascia alle spalle un paese lacerato, dove l’ssenza di una presenza forte dello Stato nella vita economica dei cittadini ha aumentato a dismisura la precarietà, non solo lavorativa, ma addirittura esistenziale.

Ci sono bagliori di questa rinnovata coscienza, di cui l’articolo è un riflesso, della necessità di un ruolo dello Stato sia come vettore delle garanzie sociali, che come attore politico che prenda decisioni a tutela della salute pubblica.

Numerose inchieste sostengono che, tra le fila di chi ha appoggiato i democratici, le parole d’ordine più progressiste siano prevalenti: dalla giustizia razziale al “green new deal”, dal salario minimo a 15 dollari l’ora al medicare for all, cioé l’assistenza universale gratuita.

Nonostante questo, sin da subito l’establishment democratico ha attaccato la sinistra.

La negazione della realtà non è semplicemente l’ideologia fondante delle milizie pro-Trump, che vediamo marciare questi giorni su Washington, né dei neoliberisti che non riescono a trovare una figura che riesca a rompere energicamente con l’Amministrazione Trump, per via della loro totale mancanza di impegno sociale.

È l’essenza stessa di una società che, non avendo gli strumenti per agire scientificamente nella vita quotidiana per risolvere le proprie contraddizioni, continua a porre il profitto come priorità, nonostante ci stiano accumulando tutte le prove per dimostrare che è autodistruttivo.

Una sorta di eterogenesi dei fini, simboleggiata dal fatto che gli Stati che per primi hanno tolto le restrizioni, sono stati i più colpiti dalla seconda ondata.

Buona lettura.

***

Gli americani si stanno rendendo conto di cosa succede quando il governo federale non riesce a provvedere alla sicurezza economica durante una crisi sanitaria: individui, imprese e leader locali prendono decisioni pericolose, in un tentativo inutile di salvare le proprie attività e i propri stili di vita.

Da un punto di vista della salute pubblica, è ovvio che gli Stati dovrebbero far chiudere bar e ristoranti. Queste aziende sono particolarmente pericolose per quel che riguarda la diffusione del COVID: nella parte anteriore del locale, i clienti siedono gomito a gomito, togliendosi le mascherine per mangiare e parlare; nella parte anteriore, i lavoratori stanno stretti spalla a spalla, preparando cibo, i piatti, mixando drink o lavando le stoviglie.

Questo mette i clienti a rischio, e i camerieri, i cuochi e i baristi ancora di più. Questo rischio è reso ancora più intenso dal clima freddo, che ha reso impraticabile mangiare e bere fuori all’aperto in gran parte del paese.

Un recente studio del Centro per il Controllo delle Malattie e la Prevenzione ha scoperto che pazienti positivi al Covid in 11 cliniche avevano il doppio delle possibilità di aver mangiato in un ristorante di recente rispetto a coloro i quali erano risultati negativi.

E una nuova ricerca pubblicata su Nature ha rivelato che certi tipi di impresa – ristoranti, palestre, hotel e luoghi di preghiera – ospitano eventi ad altissimo rischio di contagio, con i ristoranti categorizzati come “particolarmente rischiosi”. Quattro volte di più rispetto alle palestre, infatti.

Gli amministratori locali conoscono questi dati; e anche le imprese. Ma la realtà è che i “soggetti economici” ostacolano qualsiasi misura di sicurezza  e il governo federale non ha fatto nulla, fin dalla primavera, quando il Paycheck Protection Program ha cancellato debiti delle imprese che non potevano essere ripagati, solo per tenerle in piedi.

I soldi sono finiti da un pezzo, e nessuna politica federale pubblico-sanitaria aggressiva o stimoli estesi ha prolungato quei benefit. Come risultato, tanti Stati e governi locali hanno dovuto prendere la decisione di lasciare aperti i ristoranti o a farli riaprire a capacità ridotta. Non abbastanza per riportare il settore all’autosostentamento, ma più che abbastanza per continuare a far diffondere il virus.

Per tenere in sicurezza clienti e lavoratori, le imprese stesse hanno montatoo cupole simili a igloo dove mangiare, installato sistemi di ventilazione, riconvertito le loro operazioni – tutti investimenti onerosi che potrebbero essere inutili.

La situazione è esiziale soprattutto per i ristoranti. Ad agosto, la spesa dei consumatori in questo settore ammontava ad un terzo di meno rispetto all’anno passato, e la National Restaurants Associations stima che piccoli locali giapponesi, ristoranti stellati e qualsiasi cosa nel mezzo, perderanno quest’anno circa 240 milardi di dollari di fatturato.

Circa 2,3 milioni di posti di lavoro nel settore ristorazione sono evaporati e un ristorante su sei ha chiuso, definitivamente o a lungo termine. Due ristoranti su cinque  dichiarano che non ce la faranno a reggere per altri sei mesi, se le attuali condizioni continueranno (e si stanno aggravando!).

La situazione è ovvia: salviamo i governi statali e locali. Salviamo i ristoranti e i bar. Salviamo i lavoratori. Salviamo tutti. Messo più succintamente: in questa strana e terribile pandemia, lo stimolo economico è uno strumento di salute pubblica trascurato che migliora lo schema decisionale per tutti gli attori, dai proprietari di casa ai lavoratori, dalle aziende agli impiegati pubblici.

Cominciamo con gli individui. La pandemia ha dimostrato quel che già si sapeva: salario e ricchezza hanno un ruolo protettivo per quel che riguarda la salute. Avere dei risparmi da cui poter attingere o uno stipendio considerevole su cui poter far affidamento significa avere la possibilità di dire “no” ad un’uscita di casa per andare a lavorare in un ristorante all’aperto o in un turno di notte, di sabato, presso un locale fin troppo affollato.

Avere un aumento di 600 dollari sul tuo assegno di disoccupazione o 1.200 dollari subito nelle proprie tasche, significa poter rifiutare un lavoro a contatto col pubblico se hai delle malattie preesistenti, o di andartene da un posto di lavoro dove le persone si rifiutano di mettersi le mascherine. Più stimolo diretto per le famiglie ora significa prendere migliori decisioni durante questo massacro.

Lo stesso vale per le imprese. Salvare bar e ristoranti permetterebbe loro di rimanere chiusi o di sopravvivere facendo solo asporto. Dare assegni a palestre e centri per lo yoga permetterebbe loro di ospitare meno clienti, aiutarli ad installare sistemi di ventilazione o altre misure di sicurezza.

A livello statale e locale, questa logica si applica ancora: la spesa federale allevierebbe la pressione sugli amministratori locali a riaprire sbrigativamente imprese rischiose, procurerebbe loro soldi da investire in materiali per la sanificazione, hotel per la quarantena, spazio per ospitare i senza tetto, migliori strumenti per il tracciamento del contagio, classi scolastiche più ampie, ecc.

Dato il rischio che pone il consumo all’interno dei locali, un decreto mirato per aiutare ristoranti e bar avrebbe senso: il Restart Act e il Restaurant Act sono entrambe opzioni che girano per il Congresso, così lo stimolo senza restrizioni di massa.

Soldi a famiglie, aziende, città e stati non aiuterebbero solamente un’economia ripresa e una ripresa lenta. Aiuterebbero a far finire la pandemia.

* da The Atlantic

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