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Nazismo quotidiano, un po’ ovunque

Il 20 e 21 novembre, in corrispondenza col 75° anniversario dell’apertura del processo contro i principali criminali di guerra nazisti, si è tenuto al Museo della Vittoria, a Mosca, il forum “Le lezioni di Norimberga”. Tra gli obiettivi del forum, è stato detto: conservare la verità storica sul ruolo dell’Esercito Rosso e del popolo sovietico nella vittoria sul nazismo.

Per l’Italia era presente il Procuratore militare generale Marco De Paolis. La Russia, insieme a storici, giuristi, politologi (tra gli altri, Sergej Rudenko, figlio del Procuratore generale dell’URSS a Norimberga, Roman Rudenko) era ovviamente presente con massimi esponenti politici. Non sembra che ci sia stato un particolare assembramento informativo sull’argomento.

Il 18 novembre, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva approvato la risoluzione presentata dalla Russia (sono ormai alcuni anni che Mosca presenta all’Assemblea generale una risoluzione sul tema) contro la “eroicizzazione” del nazismo, in cui, tra l’altro, si esprime preoccupazione per la proliferazione di partiti politici estremisti, movimenti, ideologie, gruppi razzisti e xenofobi che propagandano nazismo, neonazismo e le attività degli ex membri delle Waffen SS.

52 paesi membri di NATO e UE si sono astenuti; tra questi anche l’Italia (ci mancherebbe: proprio ora che il tribunale di Milano ha assolto Vitalij Markiv!) che, come da tradizione, tenta la politichetta del “sorrisetto”, come direbbe Crozza: un sorrisetto al forum di Mosca e un “signorsì” euro-atlantico.

Due paesi, anche qui come da tradizione, hanno votato contro: USA e Ucraina. D’altronde, è proprio nell’Ucraina nazi-golpista, come in Polonia o nei Paesi baltici, che quelle manifestazioni condannate dall’ONU sono pane quotidiano.

In Ucraina, è addirittura in circolazione un video-gioco in cui si impersonano soldati hitleriani, si sbaragliano le truppe sovietiche e si celebra infine la vittoria sulla Piazza Rossa, con Hitler e Göring che salutano Wehrmacht e Luftwaffe dal mausoleo di Lenin.

Il 19 novembre, invece, alla cerimonia di apertura del monumento all’acquaiolo ebreo (una scultura realizzata nell’area dell’ex ghetto di Vilnius, sul motivo dell’opera del poeta bielorusso di origine ebraica Moyshe Kulbak “Vil’njus”) l’ambasciatore tedesco in Lituania, Matthias Sonn “ha affermato che l’obiettivo della liberazione della Germania dal nazismo da parte dell’Esercito Rosso non era altro che l’istituzione di un governo repressivo stalinista nel paese vinto”.

La portavoce del Ministero degli esteri russo, Marija Zakharova, ha dichiarato che Mosca si attende una netta presa di distanze del Governo federale da “un tale attacco individuale, che, purtroppo, non è un caso isolato“.

A Mosca si chiedono se in Germania si stia cercando di inibire la responsabilità dei propri avi per i crimini del nazismo e se la dichiarazione di Sonn sia l’iniziativa di un singolo diplomatico che ha deciso di stare al gioco dei russofobi baltici, o invece la nuova linea di Berlino.

La sortita di Sonn ha avuto tanto più clamore, per l’occasione (l’inaugurazione di un monumento legato all’Olocausto) e per il paese in cui è avvenuta – la Lituania: uno dei più attivi nell’onorare come “combattenti contro l’occupazione sovietica” i collaborazionisti filonazisti, mentre mette in galera, come è stato il caso di Algirdas Paletskis, chiunque osi anche solo mettere in dubbio le versioni ufficiali della storia passata e recentissima del paese.

Celebrazione dei collaborazionisti del nazismo, in Polonia

Gli storici parlano infatti del 96% dei circa 160.000 ebrei lituani, liquidati nei campi di sterminio nazisti in Polonia, fucilati al poligono di Ponarjaj, vicino Vilnius, morti di fame e malattie nei ghetti di Vilnius e Kaunas.

Tra l’altro, il “Fronte degli attivisti lituani” aveva iniziato i pogrom anti-ebraici già il 23 giugno 1941, immediatamente dopo che l’Esercito Rosso era stato costretto a ritirarsi e anche prima dell’arrivo degli hitleriani a Vilnius.

Messi insieme, questi “episodi” – gli ultimissimi di una lunga serie che non può che allungarsi – testimoniano della profondità della campagna anticomunista mondiale di falsificazione storica, orientata particolarmente (non solo, ovviamente) contro la passata storia sovietica e il ruolo dell’URSS nella sconfitta del nazismo.

Il vero obiettivo di tale campagna era già stato chiarito dal Parlamento europeo il 19 settembre 2019, con l’approvazione della risoluzione che vorrebbe equiparare nazismo e comunismo. Chiarito una volta di più, si può dire, dato che, a partire anche soltanto dal 1996 (“Misure per smantellare l’eredità degli ex sistemi totalitari comunisti”) a cadenza regolare si erano contati, prima del 2019, almeno una decina di obbrobri simili.

E l’obiettivo non è affatto storico. Non per nulla, a farsi promotori del documento di Strasburgo, sono stati incaricati quei paesi d’Europa orientale che, più di tutti, videro masse intere di Komplizen e Hilfswilligen delle SS e che oggi, tra parate in uniformi naziste e celebrazioni di quegli “eroi” inquadrati nelle Waffen SS, intendono dar lezioni al mondo su come “la legge vieta le ideologie comuniste e naziste”.

Colpisce nel segno, ancora una volta, Georgij Zotov.

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Immergiti con la faccia in un oceano di sangue

Un giorno, un mio amico polacco mi aveva detto: “Ecco, vedrai, saremo ancora vivi quando in Europa cominceranno a dire che, in realtà, fu l’Unione Sovietica ad attaccare la Germania. I tedeschi, al contrario, persone pienamente educate, non fecero nulla di male: nelle zone d’occupazione avevano costruito scuole, ospedali, distribuivano cioccolato ai bambini… non c’è paragone coi terribili bolscevichi”.

Io allora sorrisi: uno squisito senso di humor, pensai. Tuttavia, non passarono che pochi anni, che tale profezia cominciò ad avverarsi. Negli ultimi anni, in Polonia hanno demolito un notevole numero di monumenti ai soldati dell’Esercito Rosso. Hanno cambiato nome alle strade intitolate ai polacchi clandestini, solo perché quegli eroi erano comunisti.

Nei Paesi baltici, ogni anno organizzano marce di malridotti membri delle locali legioni SS. In Romania, un tribunale di Bucarest ha riconosciuto il dittatore Ion Antenescu, alleato di Hitler, non colpevole (!) per l’attacco all’URSS, dal momento che era “giuridicamente giustificato”.

Per la verità, dopo qualche tempo il tribunale ha annullato il proprio giudizio. Comunque, come si dice nel proverbio: la cosa si è risolta, ma l’amarezza rimane.

… “Non fa niente, ci consolavamo. Con loro, tutto chiaro; seguono la moda, hanno perso la testa sul terreno della russofobia, poveretti. Mentre con la Germania, guarda, è tutto in ordine. Sono i tedeschi stessi a riconoscere che siamo stati noi a distruggere il nazismo, si prendono cura delle tombe dei soldati sovietici, ci definiscono liberatori e non occupanti”.

Ma, ecco che tutto il bene è finito: d’ora in poi, anche i tedeschi sono come TUTTI gli altri. Giorni fa, l’ambasciatore tedesco in Lituania, Matthias Sonn, con la sua bocca diplomatica, ha dichiarato: “l’obiettivo dell’Esercito Rosso nel liberare la Germania dal fascismo, era quello di instaurare nel paese vinto un governo repressivo stalinista”.

Vale a dire: secondo l’odierna opinione dell’Europa illuminata, i soldati sovietici avrebbero dovuto arrivare, rovesciare Hitler e sparire in punta di piedi, per non disturbare il nemico di ieri nella costruzione della democrazia stile marmellata di lamponi.

Eppure, addirittura gli americani, il cui territorio non aveva subito il minimo danno dalle violenze naziste, ritenevano che la Germania dovesse esser fatta a pezzi, affinché non potesse mai più risollevarsi. Nel settembre 1944, il Ministro delle finanze USA, Henry Morgenthau, aveva proposto un piano per “prevenire la Terza guerra mondiale”.

Volevano dividere la Germania in due stati, Nord e Sud, più una “zona internazionale” a parte, occupata dalle truppe alleate. Il piano prevedeva la completa distruzione dell’industria e la trasformazione delle terre tedesche in “zone agricole”, affinché non potessero più costruire carri armati e aerei, coltivando esclusivamente patate, pomodori e cipolle.

Stalin, si intende, non era certo un santo. Ma, oggi, ha un “valore” tutto particolare ascoltare simili dichiarazioni dal rappresentante di uno Stato i cui soldati, in tre anni e mezzo, uccisero sul territorio dell’URSS 13.684.000 civili, giustiziandoli, inviandoli ai lavori forzati, rinchiudendoli nei campi di concentramento, facendoli morire di fame.

Un oceano di sangue fu versato: fucilazioni di bambini a Belaja Tsérkov’ e Babij Jar, “Gaswagen” a Krasnodar, assedio di Leningrado… Simili orrori si ripeterono decine di migliaia di volte e si potrebbero enumerare per mesi.

Fu il genocidio, insieme, di tutte le nazioni dell’Unione Sovietica. Io ripeto sempre: il 9 maggio noi celebriamo la nostra giornata dell’indipendenza, perché in quella guerra fu in gioco la sopravvivenza della stragrande maggioranza dei popoli dell’URSS.

Lo storico Ian Kershaw, nel libro “The End: Hitler’s Germany”, cita frammenti dalle lettere di ufficiali tedeschi al fronte nella primavera del 1945, in cui si dice apertamente: “Se poi, alla fine, i russi faranno a noi quello che noi abbiamo commesso in Russia, sarà più che giustificato...”.

E dunque, ecco la domanda: cosa era stato commesso di tanto terribile nelle terre tedesche occupate dopo il 9 maggio 1945?

ffettivamente, nei lager del NKVD vennero rinchiusi 10.000 membri dei commando nazisti “Werwolf”. Nella zona di occupazione britannica, per inciso, finirono dietro il filo spinato dieci (!) volte tanti civili tedeschi: centomila persone.

268.000 tedeschi etnici di Romania, Jugoslavia, Ungheria, Cecoslovacchia (e anche di Slesia e Prussia orientale) furono avviati al lavoro forzato in URSS, per ripristinare le miniere distrutte del Donbass e dell’Ucraina meridionale.

Molti? I nazisti avevano avviato alla schiavitù 5.269.000 cittadini dell’Unione Sovietica; di essi, 2.164.000 erano morti in prigionia per le inumane condizioni di lavoro, la fame e i bombardamenti alleati.

Non ci furono esecuzioni di massa, fucilazioni nei fossati, villaggi bruciati nei rastrellamenti, “Gaswagen”, camere a gas, nella zona sovietica di occupazione della Germania, e non ci fu nulla che ci si avvicinasse. Se si contano i prigionieri, il 58% dei nostri soldati e ufficiali morì nei campi di concentramento tedeschi, mentre nei lager sovietici, morì il 14,9% dei militari della Germania hitleriana.

Il “governo repressivo stalinista” non somigliava affatto alle azioni della Wehrmacht e delle SS in Unione Sovietica, quando donne e bambini venivano uccisi a milioni.

Nessun dubbio che il mio amico polacco avesse previsto il futuro. E, in effetti, non è lontano il momento in cui dichiareranno apertamente che il 22 giugno 1941 l’URSS attaccò la Germania, occupò quell’infelice paese, sottoponendolo a terribili repressioni.

L’ultimo Segretario generale della DDR, Egon Krenz, conversando con me, disse una volta: “C’era una tale paura qui da noi alla fine della guerra: i russi faranno fuori tutti i tedeschi… ricordo i cartelloni nazisti, coi bolscevichi raffigurati col coltello fra i denti. Ma, poi, l’Esercito Rosso occupò la mia città, i soldati allestirono cucine da campo e presero a sfamare la gente. La storia non la riscrivono nemmeno: la distorcono apertamente”.

Presto non ci sarà più nemmeno a chi dire queste cose: di anno in anno, i testimoni degli eventi del 1945 sono sempre meno. Nonostante tutto, esiste un ottimo esempio di conservazione della memoria.

Gli israeliani hanno creato un enorme museo a Gerusalemme, Yad Vashem, veramente doloroso da visitare e da cui esci con le dita strette a pugno: un museo in ricordo dell’Olocausto, dei 6 milioni di ebrei bestialmente assassinati in Europa.

C’è da noi un museo simile, dell’estensione di un’intera città, in cui mostrare al mondo intero i metodi usati dai nazisti per uccidere 13.644.000 civili dell’URSS? Ovviamente, no. In Europa, quasi nessuno di coloro a cui ho l’ho chiesto, sa di queste vittime. Semplicemente, non sanno quali perdite ci sia costata quella guerra.

Il ministero degli Esteri russo, burocraticamente, ha espresso preoccupazione, chiedendo spiegazioni alla Germania: spiegazioni che non sono arrivate. Ha esitato. Finché non cominceremo a immergere questa feccia diplomatica nell’oceano di sangue versato dai loro soldati nel nostro paese, è improbabile che qualcosa abbia effetto.

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(premessa e traduzione di Fabrizio Poggi)

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