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Meeting Nato di Bruxelles: venti di Guerra Fredda 2.0

Si è conclusa mercoledì a tarda sera, a Bruxelles, la riunione annuale dei ministri degli Affari Esteri dei paesi membri dell’Alleanza atlantica, quest’anno “allargata” ad altre nazioni. La sintesi della riunione porta a pensare che la nuova presidenza a stelle e strisce proverà a fare “una proposta che non si può rifiutare” ai paesi membri, ma non solo loro, nell’ottica di “arginare” l’avvento del “secolo asiatico” e restituire “autorevolezza e credibilità” all’Organizzazione.

Dopo aver perso la lotta al Covid-19, l’Occidente capitalista prova a riprendersi l’egemonia del pianeta, non volendo ammettere la fine della globalizzazione. E potrebbe concretizzarla con l’unico mezzo che conosce da secoli: la chiamano dissuasione, si legge guerra.

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Il summit della NATO tenutosi nei giorni dell’1 e 2 dicembre a Bruxelles, è stato presieduto dal segretario generale, Jens Stoltenberg, alla presenza di un gruppo di esperti nominati dal segretario stesso all’inizio di quest’anno, per sostenere il suo lavoro sul continuo adattamento dell’Alleanza nel corso del prossimo decennio.

Poche ore prima, Heiko Maas, ministro degli esteri tedesco, aveva manifestato la propria preoccupazione per il “taglio” di almeno 2.000 militari dall’Afghanistan annunciato qualche tempo fa da Trump; il contingente statunitense di stanza nell’area al momento si compone di 4.500 militari, e nel 2021 potrebbe “dimagrire” fino ad arrivare a 2.500 unità.

Un numero veramente irrisorio, anche per i parametri della nuova amministrazione democratica guidata da Joe “Condor” Biden.

L’Alleanza atlantica ha nella regione circa 11.000 soldati provenienti da diversi paesi europei, ma  dipende pesantemente dalle forze armate statunitensi per quanto concerne il supporto aereo e la logistica.

La posizione di Stoltenberg è stata di riconoscimento della decisione degli Stati Uniti di ritirare gran parte delle sue forze dal territorio afgano, come previsto dall’accordo concluso con i talebani del 29 febbraio scorso, ma ha ribadito che l’Alleanza transatlantica dovrà rimanere coordinata e agire in modo “ordinato”.

In merito a questo punto, Stoltenberg ha inoltre affermato che la NATO dovrà prendere una decisione difficile. Le scelte praticabili sono due: ritirare le truppe dall’Afghanistan, perché si valuta che i talebani potrebbero non tenere fede agli accordi, oppure rimanere, rischiando di combattere militarmente a lungo termine.

Questa seconda opzione comporta il rischio di mettere a repentaglio i progressi nella lotta al “terrorismo internazionale” per impedire che l’Afghanistan torni ad essere una piattaforma per lanciare attacchi sui Paesi NATO.  

Il provvedimento, secondo l ‘amministrazione uscente, dovrebbe comunque diventare operativo proprio a metà gennaio, poco prima dell’Inauguration Day, giorno in cui Joe Biden, con la cerimonia del giuramento a Capitol Hill, sede del Congresso, entrerà ufficialmente in carica come nuovo presidente Usa.

La cerimonia si è sempre svolta alla presenza degli ex presidenti, ma quest’anno la particolare situazione fa pensare che il presidente uscente potrebbe anche dare forfait.

Vedremo.

Viene il dubbio che la richiesta del ritiro delle truppe a stelle e strisce dallo scenario afgano, unita alla serie di ricorsi per frode elettorale persi dall’ex presidente, possa far riflettere The Orange. A Washington sperano che il tycoon inizi ad ammettere la sua sconfitta, e che, di conseguenza, sia costretto a cedere il passo alla nuova amministrazione Biden.

Ma la tentazione di mettere sempre più in difficoltà il suo avversario, creando “fatti compiuti” che diventeranno poi un problema, è troppo forte; dunque il ritiro dei soldati americani, prima che Biden si insedi ufficialmente, verrà probabilmente accelerata, sfavorendo la già preoccupata Germania.

I timori del ministro degli esteri tedesco, sono stati suffragati dalle prime dichiarazioni del segretario generale della NATO, nella giornata di lunedì, anche se quest’ultimo ha annunciato, in conferenza stampa, che “nei primi mesi del nuovo anno” ha già “invitato il neo presidente eletto, Joe Bidenad un meeting di forte rilevanza”, aggiungendo che “il luogo migliore per incontrarsi, per un gruppo di alleati, è comodamente seduti intorno ad un tavolo ”.

Il meeting, secondo le parole di Stoltenberg si terrà “per decidere in particolare dell’adeguamento futuro dell’Alleanza, davanti alle nuove minacce ed alle nuove sfide del 21° secolo”.

Doveroso ricordare che, durante la campagna elettorale del 2016, Donald Trump aveva rivolto pesanti attacchi all’Alleanza atlantica, definendola, in diverse occasioni, “obsoleta” e “non più in grado di contrastare efficacemente le vere minacce poste dall’attuale scenario internazionale”.

Da candidato Presidente, Trump aveva più volte criticato anche quella che a suo modo di vedere sarebbe l’‘iniqua’ ripartizione degli oneri finanziari (il cosiddetto ‘burden sharing’) e l’atteggiamento opportunista degli alleati europei, accusati di contribuire in modo minimo allo sforzo collettivo e di sfruttare in modo sostanzialmente passivo l’‘ombrello di sicurezza’ fornito dagli Stati Uniti.

Entrato alla Casa Bianca, le cose sono cambiate poco e la posizione di Trump è rimasta sostanzialmente critica. Il risultato, sul fronte europeo, è stato di rafforzare la posizione di chi da tempo sostiene la necessità di giungere allo sviluppo di una capacità militare autonoma, sganciata dal contributo statunitense.

Negli ultimi tempi il principale fautore di questa scelta di ‘autonomia strategica’ è stato il Presidente francese, Emmanuel Macron, con l’appoggio (seppure più defilato) della Germania di Angela Merkel. Fra l’altro, negli scorsi mesi, lo stesso Macron (che a suo tempo ha evocato la necessità di giungere alla costituzione di un “vero esercito europeo per proteggerci dalla Cina, dalla Russia ma anche dagli Stati Uniti d’America”) si è espresso in termini molto critici verso la NATO, che proprio alla vigilia del vertice di Londra dei Capi di Stato e di governo dei Paesi dell’Alleanza, definì “in stato di morte cerebrale”.

Con questi precedenti,  molto allarmanti dal punto di vista USA ed introdotti nel dibattito internazionale dagli alleati europei, si è giunti alla riunione dei ministri, in attesa del più tradizionale vertice, previsto per i primi mesi del prossimo anno, emergenza pandemia permettendo.

L’Impero d’oltreoceano, o ciò che ne rimane, è corso ai ripari. Ma andiamo con ordine.

Entriamo nello specifico, considerando gli argomenti all’ordine del giorno che delineano scenari inquietanti da anni ’50 del secolo scorso, gli anni della Guerra Fredda, appunto.

Il tema su cui è stato puntato il focus della due giorni è il Progetto NATO 2030, un documento di 67 pagine redatto da un gruppo di dieci esperti “indipendenti” che verrà valutato ed eventualmente “corretto” e “perfezionato”, secondo il New York Times, proprio da Stoltenberg stesso, in un’ottica di “riflessione strategica” per rendere la Nato “più politica e globale”.

Segnali che, per chi è abituato a leggere fra le righe, non fanno presagire nulla di buono: nel prossimo decennio “si renderà indispensabile la necessità di rafforzare la coesione e il coordinamento dell’Alleanza per far fronte alle attuali e future sfide globali, quali il terrorismo, il cambiamento climatico, il controllo delle armi nucleari, il cyber-terrorismo, le pandemie e i disastri naturali”.

Quello che preoccupa è il prezzo che si dovrà pagare, anche perché – paradossalmente, in apparenza – l’isolazionista The Donald, in cambio della collaborazione dell’Italia, non chiedeva granché, mentre il liberal (il significato del termine è ben diverso, nella realtà d’oltreoceano) Joe “Condor” Biden, passerà presto all’incasso: in fondo stiamo ancora pagando le “decime” della “Liberazione” e del Piano Marshall, dopo più di mezzo secolo!

Ci ripromettiamo quindi di analizzare il documento pezzo per pezzo e di proporvi una sintesi ragionata al più presto, giusto per capire verso quali lidi potrebbe portarci la nostra sudditanza all’”amico amerikano”.

I ministri NAto si sono poi occupati, e preoccupati, del crescente sviluppo militare della Russia intorno all’Alleanza. La Russia sta modernizzando il suo arsenale nucleare e lanciando nuovi missili, violando trattati e regimi di controllo. In particolare, ha annunciato Stoltenberg, la nazione guidata da Putin sta dispiegando forze dall’Alto Nord, alla Siria e alla Libia.

A detta del Segretario generale, anche la maggiore presenza russa a seguito delle crisi in Bielorussia e nel Nagorno-Karabakh non è da sottovalutare. Inoltre, i ministri alleati hanno discusso su come mantenere il regime di controllo degli armamenti nucleari in vista della scadenza del New Start, il trattato sul controllo delle armi nucleari siglato da Stati Uniti e Russia, il prossimo febbraio.

Poco o nulla sull’Ucraina, e questo fa riflettere.

E’ stato poi affrontato lo scenario nel Mediterraneo orientale: Stoltenberg ha dichiarato di voler ulteriormente “rafforzare il meccanismo militare di de-conflitto tra Turchia e Grecia”, il quale fornisce una linea diretta tra i due alleati.

L’esperienza però ha insegnato che troppa mitezza apparente di solito nasconde parecchie insidie.

Si è sorvolato sul nucleare iraniano, tema controverso in questi giorni, dopo l’omicidio dello scienziato per mano di agenti sionisti.

L’”ospite d’onore” del summit è comunque stato il paese guidato da Xi Jinping: la Cina.

Le pochissime notizie che trapelano dalle agenzie e dal web, lo relegano ad “argomento in aggiunta ai temi principali”, ma come si dice “A pensar male si fa peccato ma spesso si indovina”, e quindi il sospetto che proprio questo sia l’argomento principe della riunione, è forte.

Stoltenberg chiarisce che “l’ascesa del paese asiatico rappresenta un’importante opportunità per le economie dell’Alleanza e per discutere di cambiamento climatico e controllo degli armamenti. Come potenza economica, la Cina non è il nostro avversario”, dichiara. “Tuttavia”, aggiunge, “le forze della NATO dovranno concentrarsi sui massicci investimenti della Cina in nuove armi e infrastrutture, che delineano nuove sfide per la sicurezza dell’Alleanza”.

Le pressioni americane per spostare l’attenzione verso la Cina risalgono oramai ad un anno fa, ma il panorama, in questi ultimi scampoli del 2020, è peggiorato, anche a causa della pandemia che ha messo in ginocchio gli USA. Quindi si può essere più che certi che queste pressioni saranno mantenute dall’amministrazione Biden. Si parla già di conservare in parte i dazi decisi da Trump e di lavorare anche ad altri progetti.

Dopotutto Anthony Fauci ha parlato di “250.000 morti nei primi mesi dell’anno se non si corre prestissimo ai ripari” e gli economisti vedono alle porte “un tracollo economico senza precedenti nella storia americana, che farebbe impallidire anche la Grande Depressione”.

E quindi il “nemico” asiatico va tenuto a bada, ma con il sorriso.

Il segretario Stoltenberg, pur norvegese di nascita e sedicente laburista di “fede politica”, dimostra quindi di aver imparato molto bene la lezione dal suo ras e, con lingua biforcuta ed in toni sibillini, ripete un mantra cadenzato con regolarità per tutta la due giorni: “Non perché la Nato si avvicina alla Cina, ma perché è la Cina ad avvicinarsi a noi”.

Il senso completo della frase lo capiremo, forse, dopo il vertice 2021.

Quello che è palese è che si riferisce ovviamente all’azione cinese (tra soft e hard power) dall’Artico all’Africa, dalla propaganda sul virus alla modernizzazione militare, dallo spazio cibernetico a quello extra-atmosferico (nel silenzio pressoché totale dei media occidentali una missione cinese sta svolgendosi sulla Luna).

Nell’ultima sessione dei lavori si aggiungeranno i ministri degli esteri di Australia, Giappone, Corea del sud, Nuova Zelanda, nonché Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, oltre che membro del PSOE, il Partito Socialista Operaio Spagnolo. Un bel “fronte unito” per tentare di ricondurre nell’alveo della propria presunta rispettabilità la “minacciosa” e “bellicosa” Cina.

Ma c’è qualcosa che stona nel quadro generale: nel rapporto di cui parlavamo poco sopra, il Progetto NATO 2030, i toni sono molto meno concilianti e, forse nel tentativo  di tenersi in vita con l’indicazione di un nemico, il cosiddetto “gruppo di riflessione – cui partecipava per l’Italia Marta Dassù – invita “La NATO” a “dedicare molto più tempo e risorse alle minacce alla sicurezza poste dalla Cina”.

Stoltenberg si è anche lui affrettato a variare sensibilmente i toni ed ha tenuto a sottolineare in conferenza stampa che “La Cina non condivide i nostri valori. Non rispetta i diritti umani fondamentali e cerca di intimidire gli altri Paesi. Dobbiamo affrontare ciò insieme, sia come alleati NATO, che come paesi che condividono la stessa mentalità”.

C’è un filo diretto quindi, evidente, fra il Rapporto – teso a rilanciare la dimensione politica dell’Alleanza – e la riunione “allargata”. Non solo perché il Rapporto contiene una sezione piuttosto articolata sulla Cina (cui Pechino ha scelto di rispondere con guardinga disponibilità al dialogo), ma perché il formato inedito dell’incontro è un salto di qualità politico.

Anche in passato c’erano state riunioni molto allargate ma con un oggetto molto specifico, l’Afghanistan, uno scenario di guerra a tutti gli effetti. Oggi il tema è strategico: stabilità internazionale ed equilibri mondiali. E’ giocoforza che il focus si concentri sulla Cina.

Qui si sente puzza della “vecchia, buona Guerra Fredda” (parafrasi del vecchio detto tradizionale con cui gli yankees appellano bonariamente i propri amici/nemici, in tono molto cowboy style…a good old chap!) di cui l’Amerika sembra proprio non poter fare a meno, pur di rinverdire i proprii fasti e resistere alla “caduta libera” che sta accusando l’Impero.

La natura guerrafondaia è incisa nel DNA degli USA, è radicata fin nelle fondamenta della sua Storia e della sua cultura.

Ma restiamo sul pezzo: perché parlare proprio alla NATO della Cina ed in una riunione allargata?

I motivi sono fondamentalmente tre, tutti molto realistici:

  • La NATO è l’unica organizzazione che ospita americani, canadesi (entrambe potenze del Pacifico, oltre che dell’Atlantico) e, praticamente, tutti gli europei (anche Svezia e Finlandia, sempre più “finti neutrali”, si sono agganciati).
  • In secondo luogo, un coinvolgimento di altre nazioni sarebbe una dimostrazione di solidarietà ed empatia con gli Stati Uniti, che altrimenti porterebbero sulle spalle tutto il peso della sfida strategica con Pechino. In cambio, nel rapporto di sicurezza transatlantico, gli europei incassano il mantenimento dell’ombrello Usa su Europa, Medio Oriente  e Mediterraneo, ma gli americani rimangono a mani vuote nel Pacifico e in Asia. (questo il “quid pro quo” che potrebbe proporre il “buon” Joe “Condor” Biden al quale accennavo prima).
  • Infine, e questo riguarda direttamente l’Italia, che non gradisce una NATO esclusivamente antirussa, il ruolo dell’Alleanza è la sicurezza da qualsiasi sfida o minaccia senza connotati territoriali. Spazio extra-atmosferico e cyberspace sono ormai riconosciuti come “domini” militari, e la Cina eccelle in entrambi.

L’Italia, di contro, in piena pandemia globale, si accorge di essere ancora all’età della pietra in fatto di tecnologia, ma questa è un’altra storia…

Questa serie di riflessioni portano ad una conclusione pressoché obbligata: in questi ultimi anni la NATO è stata alle prese con un presidente americano che l’ha definita “obsoleta” ed uno francese che ne ha certificato l’encefalogramma piatto. Il Rapporto 2030 mostra qualcos’altro: una NATO che pensa.

Il Rapporto è opera di soli dieci esperti nazionali, ma è stato ben accolto da 30 ministri e ha fatto da collante di tutta l’agenda. L’Alleanza transatlantica è purtroppo più che mai attuale tant’è che oggi vi si accodano entusiasticamente importanti, e inquiete, capitali del Pacifico. Forse The Orange ed Emmanuel Macron hanno dato inconsapevolmente all’Alleanza una scossa, che l’Organizzazione ha preso al volo per rilanciarsi.

A noi, dopo questo meeting, in attesa del vertice 2021, rimangono in testa due parole che il neo presidente eletto Joe Biden, secondo indiscrezioni del WSJ, ha pronunciato al telefono parlando col Segretario NATO Stoltenberg e che suonano molto inquietanti: “enduring commitment”, ci si deve insomma giurare un impegno costante e duraturo fra paesi membri.

Ma anche la campagna in Afghanistan, iniziata dopo l’11 settembre e il crollo delle Torri Gemelle, venne denominata in modo simile, ricordate: “Enduring Freedom”, “Libertà duratura”… Si è visto come è andata.

Per noi, comunisti ed antimperialisti, un solo imperativo: svincolarsi, una volta per tutte, da questa banda di guerrafondai!

Per non pentirsene in futuro.

End of passion play, crumbling away
I’m your source of self-destruction
Veins that pump with fear, sucking darkest clear
Leading on your death’s construction
Taste me you will see
more is all you need
you’re dedicated to
how I’m killing you

Come crawling faster
obey your Master
your life burns faster
obey your Master
Master
Master of Puppets I’m pulling your strings
twisting your mind and smashing your dreams
Blinded by me, you can’t see a thing
Just call my name, ‘cause I’ll hear you scream
Master
Master
Just call my name, ‘cause I’ll hear you scream
Master
Master

Needlework the way, never you betray
life of death becoming clearer
Pain monopoly, ritual misery
chop your breakfast on a mirror
Taste me you will see
more is all you need
you’re dedicated to
how I’m killing you

Come crawling faster
obey your Master
your life burns faster
obey your Master
Master
Master of Puppets I’m pulling your strings
twisting your mind and smashing your dreams
Blinded by me, you can’t see a thing
Just call my name, ‘cause I’ll hear you scream
Master
Master
Just call my name, ‘cause I’ll hear you scream
Master
Master

Master, Master, where’s the dreams that I’ve been after?
Master, Master, you promised only lies
Laughter, Laughter, All I hear and see is laughter
Laughter, Laughter, laughing at my cries

(Master Of Puppets, Metallica)

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