Menu

La Germania “europeista” del senatore Bagnai

È ormai cronaca passata l’intervento di Alberto Bagnai in Senato, nel corso del quale il parlamentare leghista, motivando il voto contrario del suo gruppo alla legge di bilancio, ha detto, tra l’altro, che “In un afflato europeista il 1 settembre 1939 la Germania invase la Polonia perseguendo a modo suo, che nel frattempo è cambiato nelle forme ma non nella sostanza, l’obiettivo di una unificazione del Continente a suo uso e consumo“.

Apriti cielo – «improvvido oratore», «paragone allucinante» e «di una gravità inaudita», «Salvini e la Lega dovrebbero prendere le distanze» (come se le quotidiane esternazioni leghiste siano molto “distanti” da certe pestilenze razziali del passato) – insomma: diciamo la verità, Bagnai avrebbe potuto e dovuto, forse, comporre diversamente le proprie argomentazioni.

Ma la sostanza, ci sembra, non è quella che ha fatto correre all’acquasantiera i sedicenti “antifascisti a intermittenza”.

Confessiamo – non per falsa modestia – di non avere alcuna competenza economica per giudicare i dati riportati da Bagnai nel suo intervento a Palazzo Madama. Con tutta evidenza, il suo discorso è stato fatto interamente nello spirito di un “sovranismo” di bassa Lega (scusatemi il facile gioco di parole), attento agli interessi di quei settori del capitalismo italico maggiormente logorati dalla prepotenza dei monopoli europei a guida teutonica.

Cosa peraltro in contraddizione con buona parte della “base sociale” leghista del Nord, guidata dalle imprese contoterziste che lavorano con e per Berlino.

Ciò che sta a cuore ai sedicenti “anti”-europeisti legaioli (anche loro “a intermittenza”) non sono certo le condizioni dei lavoratori italiani, cui le imposizioni di Bruxelles hanno regalato una situazione tragica, con l’epidemia (per ora) in cima a tutto. Con alta disoccupazione, bassi salari e lavoro a gratis, coronati dalle sforbiciate alla sanità pubblica di cui vantano merito tanto la destra più sfacciata, quanto la liberaldemocrazia travestita da “sinistra”.

Ciononostante, non si può negare che alcuni passaggi del discorso del senatore Bagnai cogliessero qualche elemento di verità storica, nell’affermare come la tanto decantata “integrazione europea” ricordi a volte da vicino quel quadro in cui mezza Europa “lavorava per la Germania”. Con altri strumenti, certamente, e con molti meno sorrisi di circostanza.

Ed è proprio questo, ci sembra, il nucleo autentico della faccenda che, mutatis mutandis, sta nella pretesa de capitale basato in Germania di dettare il tempo a tutta Europa.

I soliti liberaldemocratici si sono ricordati soltanto dell’effetto, esploso il 1 settembre 1939, dimenticando le premesse e soprattutto lo sfondo che permise alla Germania hitleriana di realizzare quel “Drang nach Osten” che rappresentava la chiave di volta del “Mein Kampf”.

Si sono giustamente ricordati dei sei milioni di ebrei – non solo polacchi – assassinati in base alle premesse “ideologiche” canonizzate dell’estone Alfred Rosenberg, tacendo gesuiticamente sugli oltre tredici milioni di civili sovietici – anche ebrei – morti nei campi di sterminio nazisti, o sotto le bombe tedesche, finlandesi, romene, italiane, sul territorio dell’URSS.

Le anime pure liberldemocratiche hanno rimarcato solo le parole di più facile effetto immediato del senatore Bagnai: l’invasione della Polonia, aggiungendovi l’apparente (e colpevole) dimenticanza del parlamentare leghista, cioè i milioni di ebrei assassinati dai nazisti.

Ma hanno sorvolato pudicamente sul concetto che costituiva il fulcro – ci sembra – di quel discorso: il ruolo della Germania in Europa. Di quella Germania che, in modi diversi, ha portato, in tempi e modi diversi, la quasi totalità dei paesi europei a lavorare per i profitti del capitale tedesco, con una Gran Bretagna in “splendido isolamento” e una parte dei paesi dell’ex Unione Sovietica a fungere da forza-lavoro a basso costo per l’industria del Reich.

Tanto per ricordare: quando le armate naziste, nel giugno 1941, attaccarono l’Unione Sovietica, mezza industria dell’Europa d’allora (occupata e non) lavorava per l’esercito del III Reich. Insieme alla truppe hitleriane, andarono a occupare larghe porzioni della parte europea dell’URSS, 45.000 soldati ungheresi e 45.000 slovacchi, 350.000 rumeni, oltre 200.000 italiani, 340.000 finlandesi, senza contare decine di migliaia di “volontari” accorsi praticamente da tutta Europa (Olanda, Danimarca, Norvegia, Belgio, Svezia, Francia, Svizzera, Spagna, Lussemburgo) a infoltire le file naziste.

Le armate hitleriane potevano contare sia su mezzi corazzati, artiglierie, aerei, veicoli e altri armamenti catturati nei paesi già invasi (Francia, Norvegia, Cecoslovacchia, Olanda, Danimarca, ecc.) sia sul potenziale dell’industria anche di paesi “liberi”: indicativo l’esempio della Svezia, neutrale, che continuò a fornire i famosi cuscinetti SKF e il prezioso minerale ferroso alle industrie del III Reich per tutta la durata della guerra, per non parlare delle aziende petrolifere statunitensi (venne in quell’occasione inquisito anche Prescott Bush, padre e nonno di due presidenti Usa, per “commercio con il nemico”).

Nei primi anni di guerra, circa la metà dei proiettili dell’esercito tedesco veniva fabbricata in Svezia; un quarto dei mezzi corazzati era ceco o francese. La Germania ottenne le prime vittorie grazie al metallo scandinavo e all’ottica svizzera.

Discorso a parte meriterebbero poi i collaborazionisti che operarono per lo più nei reparti di polizei, dai territori sovietici occupati: dal Baltico, al Caucaso, dalla Bielorussia all’Ucraina, responsabili di massacri di popolazione civile non inferiori a quelli perpetrati dalle SS.

Il punto, dunque, ci sembra sia quello del rapporto tra Germania e paesi europei, dei diktat imposti, coi vincoli “europeisti” alle economie cosiddette periferiche, con la condanna alla eliminazione materiale del tessuto produttivo delle aree più lontane di quelle periferie – ma non solo. L‘esempio della sorte della ex DDR ne è stata una tragica anticipazione – e la trasformazione delle aree più vicine al “cuore” europeista in appendici “contoterziste” della vera capitale europea.

Una capitale che richiama, dalle più lontane periferie, forza lavoro a basso costo, “a uso e consumo” del capitale centrale: da Polonia (qui, i posti di lavoro lasciati scoperti vengono occupati dai migranti ucraini), Repubblica Ceca, Italia, Spagna, Bulgaria, Romania, Croazia, fino alla bassa manovalanza dai Paesi in cui quel capitale è già penetrato con prepotenza, come alcune ex Repubbliche sovietiche.

Secondo quanto dichiarato a Deutsche Welle da Herbert Brücker, dell’Istituto di Norimberga per le ricerche sul mercato del lavoro, la Germania, «per mantenere competitiva la propria economia, necessita di 400.000 nuovi migranti ogni anno».

Mentre all’interno, prendono sempre più campo raggruppamenti neonazisti e si infittiscono le violenze contro quei lavoratori immigrati, rifugiati e profughi stranieri, sul fronte esterno – come scriveva un paio d’anni fa Unsere Zeit – «l’imperialismo tedesco punta sulla nuova alleanza militare della UE: la cosiddetta “PeSCo” (Permanent Structured Cooperation)», per la felicità di tali aziende “europeiste” quali Linde AG, Deutsche Bank, Allianz, Airbus, Krauss-Maffei-Wegmann, EnBW, in diretta concorrenza con i monopoli d’oltreoceano.

Al dunque: nel discorso del senatore leghista, ciò che ha turbato la candida armonia comunitaria liberal-democratica è il fatto che Bagnai non si sia immediatamente scusato «solennemente con milioni di vittime della violenza nazista».

Ma, al pari del becero razzismo fascio-leghista, i nostrani “antifascisti a intermittenza” non hanno trovato nulla da obiettare, un mese fa, per l’astensione italiana all’ONU sulla risoluzione contro la “eroicizzazione del nazismo”; né ricordano di aver convintamente votato (insieme a leghisti e “meloniani”) la risoluzione europeista del settembre 2019 che equipara nazismo e comunismo; né si vergognano di sostenere l’opposizione golpista bielorussa, che sventola le bandiere degli ex collaborazionisti nazisti; né, tantomeno, si sono vergognati di arringare la folla nazista nel 2014, a Kiev, e continuino a sostenere un regime nazi-golpista che bombarda tuttora quotidianamente la popolazione del Donbass.

Con questa ipocrisia “democratica”, al pari del putridume fascioleghista, anche basta.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *