Un attacco missilistico contro una base aerea Usa nella regione curda dell’Iraq ha ucciso un “civile” e ferito sei contractors (di cui uno statunitense). Si è trattato di una raffica di circa 14 razzi lanciata lunedì sulla base che ospita le truppe statunitensi vicino all’aeroporto di Erbil, la città principale della regione curda del nord dell’Iraq. Secondo i testimoni i razzi provenivano da un’area a sud della città-
Tre “razzi da 107 mm” si sono abbattuti all’interno della base mentre altri sono caduti su aree residenziali vicine, uccidendo una persona identificata da un portavoce della coalizione statunitense come cittadino straniero, ma non cittadino statunitense, e ferendo un membro dei servizi di intelligence statunitensi. Almeno altri cinque “civili” sono rimasti feriti, di cui uno in condizioni critiche.
È stato l’attacco più mortale nell’ultimo anno contro le forze della coalizione guidata dagli Stati Uniti schierate in Iraq, dove le tensioni tra gli Stati Uniti, i suoi alleati iracheni e curdi da una parte e le milizie allineate con l’Iran dall’altra sono aumentate vertiginosamente.
I siti e il personale militare e diplomatico occidentali sono stati presi di mira dal 2019 da razzi Katyusha, con attentati esplosivi lungo le strade e talvolta con colpi di arma da fuoco. Gli Stati Uniti hanno attribuito questi attacchi alle forze irachene filo-iraniane, ma la maggior parte delle violenze fino ad ora aveva avuto luogo nella capitale Baghdad e non in un “santuario” delle truppe statunitensi come l’enclave curda nel nord dell’Iraq.
L’attacco ad Erbil è stato rivendicato da un gruppo sciita poco conosciuto che si fa chiamare Awliya al-Dam. Il gruppo ad agosto aveva precedentemente rivendicato la responsabilità per due attentati contro convogli militari statunitensi.
L’Iran ha negato di avere qualche collegamento con Awliya al-Dam. “L’Iran considera la stabilità e la sicurezza dell’Iraq una questione chiave per la regione … e rifiuta qualsiasi azione che disturbi la pace e l’ordine in quel paese”, ha detto ai media statali il portavoce del ministero degli esteri iraniano Saeed Khatibzadeh.
Come presidente, Donald Trump aveva detto che ulteriori morti di civili statunitensi sarebbero state una linea rossa che avrebbe provocato l’escalation degli Stati Uniti in Iraq, rendendo l’incidente di lunedì una delle prime sfide per l’amministrazione Biden, che deve ora decidere se riprendere l’accordo con l’Iran sul nucleare demolito da Trump nel 2018- L’amministrazione Trump nel dicembre 2019 aveva lanciato un attacco missilistico a Kirkuk e poi gli attacchi che hanno ucciso il generale iraniano Qassem Suleimani e il leader della milizia sciita irachena Abu Mahdi al-Muhandis.
L’ultimo attacco mortale contro le forze statunitensi e i loro alleati era avvenuto nel marzo 2020 al campo militare di Taji a nord di Baghdad, in cui sono stati uccisi una agente dei servizi di intelligence britannici, un “civile” e un membro dei servizi statunitensi. Insomma un brutto colpo per gli apparati Usa nella regione.
Secondo quanto riporta The Guardian, martedì mattina, il gruppo Awliya al-Dam ha detto che avrebbe effettuato nuovi attacchi alle forze statunitensi. “L’occupazione americana non sarà al sicuro dai nostri attacchi in nessun centimetro della patria, nemmeno in Kurdistan, dove promettiamo che effettueremo altre operazioni qualitative”, ha dichiarato questa organizzazione secondo quanto riporta il Site Intelligence Group, una organizzazione vicina ai servizi segreti occidentali che tiene traccia dell’attività online delle organizzazioni armate.
Da quando l’Iraq ha dichiarato la vittoria contro Isis alla fine del 2017, la presenza militare diretta delle forze della coalizione a guida Usa, è stata ridotta a meno di 3.500 soldati in totale, 2.500 dei quali statunitensi. La maggior parte di questi è concentrata nel complesso militare dell’aeroporto di Erbil.
Le autorità curde dell’Iraq del Nord hanno temporaneamente chiuso l’aeroporto di Erbil ed hanno ammonito i residenti della città a stare lontano dalle aree sensibili e rimanere a casa se possibile.
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