La mattina del 23 febbraio hanno avuto luogo rivolte carcerarie in Ecuador, nei tre istituti penitenziari della Penitenciaría del Litoral a Guayaquil e dei Centros de Rehabilitación di Turi, a Cuenca, e Cotopaxi, a Latacunga.
In una conferenza stampa nel pomeriggio, il direttore del Servizio Nazionale di Attenzione Integrale agli Adulti Privati della Libertà (SNAI), Edmundo Moncayo, ha affermato che gli eventi sono stati coordinati e realizzati da gruppi criminali che operano all’interno delle prigioni e che cercano di contestare la leadership esercitata dietro le sbarre dalla banda de Los Choneros.
Inoltre, Moncayo ha prima riferito di 67 morti tra i detenuti, per poi rettificare la cifra a 62, e ha confermato che non ci sono agenti di polizia tra le vittime. La Procura e dalla Scientifica della Polizia nazionale ha prelevato i cadaveri dalle tre carceri, confermando 62 decessi: 21 morti e due feriti gravi nella Penitenciaría del Litoral, 33 morti nell’ala di massima sicurezza del carcere di Turi ed infine 8 morti nel Centro de Rehabilitación di Cotopaxi.
Il Posto di Comando Unificato, composto da polizia e personale militare, è entrato in azione per sedare le rivolte e riprendere il controllo delle prigioni. I parenti di alcuni detenuti hanno detto alla stampa che sono stati la polizia e le guardie carcerarie a generare il maggior numero di morti nel voler “riportare l’ordine”.
Alcuni video dell’intervento delle forze speciali qui, qui e qui. La Polizia Nazionale ha dispiegato unità in tutte le prigioni del Paese per prevenire nuovi incidenti e per collaborare con lo SNAI.
Dal canto suo, il Presidente Lenín Moreno ha detto che si tratta di una lotta tra bande criminali organizzate e ha chiesto che si usi la forza per garantire la sicurezza dei detenuti.
Tuttavia, dalle immagini degli interventi della polizia nelle carceri, non suona molto credibile che da parte del governo ci sia l’intenzione di garantire la sicurezza dei detenuti: qualsiasi tipo di azione – brutale, aggressiva, violenta – è giustificata nei confronti di quelli che vengono considerati “scarti”, “feccia” della società, e contro i quali il pugno di ferro è autorizzato dal loro stesso comportamento criminale o sovversivo.
Resta incontestabile il fatto che nella giornata del 23 febbraio si sia consumato un massacro senza precedenti a seguite dei tumulti nelle carceri dell’Ecuador. Di fronte a questa drammatica tragedia, di cui bisognerà indagare a fondo cause e responsabilità, il Presidente Moreno ha approfittato della situazione per attaccare senza alcun fondamento le forze correiste.
Infatti, definendo “strano” il tumulto nelle prigioni, ha affermato che “ad ottobre (2019), il correismo ha assoldato dei criminali che erano fuori dalle prigioni per provocare le rivolte e distorcere la legittima aspirazione del popolo indigeno. Non saremmo sorpresi se ora la loro mano è presente. Dopo tutto, sono ben noti”.
“Questo pover’uomo è davvero fuori di testa”, è stata la forte risposta dell’ex presidente Rafael Correa. Da parte sua, il candidato correista della Unión por la Esperanza (UNES), Andrés Arauz, ha chiesto a Moreno di “assumersi la responsabilità e proteggere la vita degli agenti di polizia, delle persone private della loro libertà e di tutti i cittadini”. Inoltre, in un Tweet, Arauz ha sottolineato che “mai prima d’ora il paese aveva conosciuto un così grande disastro nel sistema carcerario”.
Decisamente diversa è stata la reazione del suo rivale al ballottaggio, l’ex banchiere Guillermo Lasso, che ha semplicemente espresso il suo “pieno sostegno” alla polizia dell’Ecuador “di fronte alla nuova crisi che si sta soffrendo nelle prigioni del Paese”.
Oltre alle strumentalizzazioni della giustizia elettorale per creare le condizioni per un prolungamento ad interim del suo mandato al governo del Paese, il Presidente Moreno sta deliberatamente gettando benzina sul fuoco con l’obiettivo di propagandare un clima di insicurezza diffuso nel Paese e quindi “agire di conseguenza”, ovvero proclamare lo Stato di emergenza ed impedire lo svolgimento del secondo turno delle elezioni secondo il regolare calendario elettorale prefissato dal Consiglio Nazionale Elettorale.
Non è la prima volta che le autorità attribuiscono le rivolte dei detenuti – in genere determinate dal sovraffollamento carcerario e dal mancato rispetto delle condizioni igienico-sanitarie – alle guerre tra bande criminali.
Negli ultimi due anni, il governo ha decretato due volte lo “stato di eccezione” per riprendere il controllo nelle prigioni: nel maggio 2019, tre rivolte nell’arco di un mese e mezzo hanno lasciato 10 detenuti morti e immagini crude di corpi inceneriti, portando alla dichiarazione dello stato di emergenza per 90 giorni; appena un anno dopo, nell’agosto 2020, nel bel mezzo della pandemia, ad altre rivolte legate alla condizione sanitaria e pandemica è conseguito un nuovo stato di emergenza di 90 giorni.
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