La conferma avviene con una telefonata di Mumia Abu Jamal, dopo che ad un primo test era risultato negativo. Da giorni a causa di alcuni sintomi si supponeva che avesse potuto contrarre il Covid-19, alla fine di una conferenza stampa convocata ad inizio di questa settimana.
Mumia, sessantaseienne, ha passato più della metà della sua esistenza in prigione – poco meno di quaranta anni – dopo il suo arresto e la sua condanna ad inizio anni Ottanta per un omicidio che ha sempre affermato di non avere commesso, in uno dei più controversi casi giudiziari della storia contemporanea statunitense.
Un procedimento che numerosi osservatori hanno giudicato essere tutt’altro che conforme ai criteri di un “giusto processo”, con strascichi e “colpi di scena” che si sono susseguiti nel corso di questi anni e che sembrano dimostrare la sua innocenza senza ombra di dubbio.
Solo grazie alla pressione esercitata grazie ad una mobilitazione internazionale fece si che la pena capitale gli venne commutata in “carcere a vita” , non rispiarmadogli comunque un periodo di detenzione nel “braccio della morte” in attesa dell’esecuzione della pena capitale, da cui Mumia scrisse un diario che ha avuto notevole diffusione mondiale.
Ex membro delle Pantere Nere – aderì alle Panthers appena quattordicenne come scrive nella sua autobiografia Vogliamo la Libertà – e giornalista afro-americano, che fu tra i pochi a dare la parola alla comunità dei Move, negli anni Ottanta, duramente repressa dal razzismo sistemico delle autorità di Filadelfia.
A causa della lunga detenzione e della negazione dei trattamenti medici necessari per l’Epatite C – che ha contratto in carcere – ha una situazione di salute gravemente compromessa, con complicazioni al fegato e alla pressione sanguigna.
L’istituzione carceraria in questi anni ha provato a dar seguito di fatto alla sentenza di morte che giuridicamente non ha potuto applicare. Basta appunto pensare ai medicinali per l’epatite C, che gli sono stati somministrati solo dopo due anni di battaglia giudiziaria e mobilitazioni incessanti. Facendo sì che si complicasse il suo stato di salute, già minato dalle scarse cure ricevute dopo il suo arresto, e dalla semi-immobilità cui è costretto, visto che che, come gli altri prigionieri nel carcere di Stato della Pennsylvania, passa 23 ore su 24 in una cella di dimensioni ridotte.
Nelle prigioni statunitensi, sia statali che federali, ci sono 2 milioni e trecento mila detenuti, in buona parte neri e espano-americani che, a causa delle condizioni detentive, sono ad alto rischio di contagio e che ovviamente avrebbero grosse difficoltà a curarsi, come dimostrano il numero dei morti e dei contagi tra i detenuti.
L’ha ricordato l’avvocata di Mumia – Johanna Fernandèz – nella conferenza stampa convocata d’urgenza ad inizio di questa settimana: “teniamo in prigione incarcerati delle persone a cui le carceri non riescono a garantire la sicurezza“.
Le misure transitorie di scarcerazione approvate dalle autorità competenti per i prigionieri più anziani e a rischio sono state molto parziali, considerato appunto che il “distanziamento sociale” è di fatto in possibile nelle celle.
Gli attivisti che da anni seguono il caso di Mumia ne chiedono l’immediata scarcerazione, che rientrerebbe nella facoltà del governatore della Pennsylvania, dove è ubicato il carcere in cui è detenuto.
In questi anni, nonostante la detenzione e la censura sistematica a cui è stato sottoposto Mumia è diventata “la voce dei senza voce”, continuando ad intervenire puntualmente dal Ventre della Bestia con prese di posizione e studi illuminanti sulla condizione Afro-Americana e non solo, testimone diretto del processo di i carcerazione di massa e di sistematico razzismo istituzionale a cui sono stati soggetti i Neri.
Una condizione che non è di fatto cambiata nonostante i due importanti cicli di mobilitazione – quello di questa estate in seguito alla morte per mano poliziesca di George Floyd e quello precedente durante il secondo mandato di Obama.
La condizione Afro-Americana è aggravata dalla crisi pandemica e dalla catastrofe sociale che ha colpito particolarmente gli Afro-Americani. Una vulnerabilità sociale che il mancato innalzamento del salario minimo a 15 euro, a causa dell’ostracismo dei Repubblicani e di una parte dei Democratici, rende ancora piú gravosa.
Ma questa è l’AmeriKKKa!
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