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La Spagna in piena crisi politica

Lunedì 15 marzo, Pablo Iglesias, numero tre del governo e fondatore di Podemos ha annunciato la sua uscita dall’esecutivo, per candidarsi alle elezioni anticipate  di quest’anno a Madrid, il 4 maggio.

Le elezioni sono state convocate dopo che la governatrice del Partito Popular, Isabel Diaz Ayuso, ha sciolto l’assemblea regionale madrilena a causa della frattura apertasi tra i Popolari e Ciudadanos, che governavano insieme in 4 delle 17 regioni dello Stato iberico.

Un vero e proprio terremoto politico ha scosso le relazioni tra questi due attori della destra spagnola quando Ciudadanos, dopo un accordo con i socialisti del PSOE, ha promosso una mozione di sfiducia nei confronti dei Popolari con cui governavano, nella regione meridionale di Murcia, per un affare di corruzione.

La leader di Ciudadanos, Inés Arrimadas, ha detto che il cambiamento di direzione del suo partito era dovuto al fatto che non era riuscito a convincere il PP regionale a firmare un accordo per “combattere la corruzione e lo scandalo delle vaccinazioni irregolari”.

Per la cronaca, la mozione non è passata nella Murcia grazie al fatto che in 48 ore metà degli eletti nelle fila del partito della Arrimadas (3 in tutto) hanno rifiutato la mozione di votarla; una delle tante defezioni dalla formazione che ad un certo punto sembrava aver egemonizzato lo spazio politico alla destra dei socialisti, ma che ora rischia seriamente l’estinzione.

Anche tre membri espulsi dal partito da Vox si sono uniti ai popolari per difendere lo storico bastione conservatore, segno che nemmeno l’estrema destra è immune agli smottamenti politici in tempo di crisi.

Due dati su Ciudadanos dànno la cifra del suo inesorabile declino.

Nelle recenti elezioni catalane hanno perso 30 dei 36 deputati che avevano conquistato. Erano il partito con più voti e, ai tempi, non hanno trovato il modo di formare una maggioranza,  lasciando libera la strada alle formazioni indipendentiste e di fatto aprendo la propria crisi sul ruolo da svolgere.

Alle elezioni politiche del novembre 2019, il suo numero di parlamentari eletti tra le proprie fila si era ridotto dai 57 precedenti ai 10 attuali;  uno dei quali ora è entrato nel “gruppo misto”.

Questa “Podemos di destra” sembra essere giunta al capolino, mentre i suoi voti saranno probabilmente cannibalizzati prevalentemente dal PP.

Le relazioni ed i rapporti di forza all’interno della geografia politica della destra spagnola stanno velocemente cambiando, ed anche gli equilibri interni degli stessi partiti.

Ciudadanos ed il PP – che ha perso un deputato regionale – sono usciti con le ossa rotte dalle elezioni catalane del 14 febbraio.

Inoltre – rispetto alla strategia dei Popular, in particolare nei confronti di Vox – vi è uno scontro sempre più acceso tra la Ayuso e l’attuale leader del partito, Pablo Casado.

La ex-governatrice della regione di Madrid fa parte di quell’ala che non disdegna i voti dell’estrema destra per governare e vuole lasciarsi, senza rimpianti, il “moderatismo” alle spalle.

Per comprendere la visione del mondo della Ayuso, che vuole usare le elezioni a Madrid come trampolino di lancio per le sue aspirazioni politiche, che vanno oltre il 4 maggio e si proiettano verso le politiche del 2022, bisogna leggersi il tweetComunismo o libertà”, da lei postato dopo la notizia della candidatura di Iglesias. Prima era comunque “socialismo o libertà”.

Come ha affermato domenica: “quando qualcuno ti dà del fascista sai che stai facendo bene, che sei dalla parte giusta della storia”. Non male, per una “moderata”.

Sia detto per inciso, il PP fa parte integrante della famiglia politica più importante a Bruxelles, quella democristiana…

Nel 2019, il PP fu il secondo partito più votato a Madrid dopo i socialisti e poté formare un governo con Ciudadanos, grazie all’appoggio della formazione di estrema destra di Santiago Abascal, sorta nel 2013.

Quello attuale è una specie di boomerang considerando che l’ascesa dei neo-franchisti in funzione anti-indipendentista, durante l’“autunno catalano” del 2017, e alla testa del “fronte anti-immigrazione”, si è ritorta contro a chi l’aveva di fatto assecondata, accelerando lo sfarinamento della rappresentanza politica a destra ed imponendo una sua radicalizzazione.

Sia a Madrid che nella Murcia i popolari governano da 26 anni, e se le elezioni nella regione meridionale sono state scongiurate, nella capitale i popolari si giocano il “tutto per tutto”, forti del fatto che i sondaggi sembrano premiarli, anche in virtù delle restrizioni meno pesanti imposte nella regione dalla Ayuso  a causa della crisi sanitaria.

Il governo nazionale “di minoranza” presieduto dal PSOE e da Podemos invece sembra navigare sempre più a vista. Il posto di Iglesias è stato ora preso da Yolanda Díaz, titolare del ministero del Lavoro e dell’Economia Sociale, con ha una lunga esperienza di collaborazione con il PSOE maturata in Galizia, dove è stata per tre volte capolista di Esquerda Unida (2005, 2009, 2012), per poi partecipare alle evoluzioni successive della sinistra galiziana. E’ una fautrice della concertazione “a tre” con le parti sociali.

Iglesias non ha nascosto il desiderio di vederla come capolista di Podemos alle prossime elezioni politiche.

Il governo, si diceva, “naviga a vista in un mare in tempesta”, vista la crisi economica e sociale del Paese, soprattutto dopo che le elezioni catalane del 14 febbraio hanno dato la maggioranza alle tre maggiori formazioni indipendentiste (ERC, JxC e CUP), rendendo impossibile qualsiasi alchimia per un governo con a capo i socialisti, anche se sono il primo partito nella regione.

ERC, JxC e CUP si avviano ora alla formazione di un nuovo esecutivo della Comunità Autonoma, il terzo a maggioranza indipendentista.

La Comunità Autonoma avrà come governatrice la capolista di Junts, Laura Borràs. Si tratta della formazione dell’ex governatore esiliato in Belgio, Carles Puigdemont, a cui è stata da poco tolta dalla Camera Europea l’immunità di euro-deputato, insieme ad altri due politici catalani.

Proprio lunedì, il movimento indipendentista – comprendente le tre formazioni, più PDeCat – ha presentato al parlamento iberico la proposta di amnistia per le circa 3.000 persone condannate o sotto processo per la lotta indipendentista; il PNV, Bildu e Compromis hanno dato il loro sostegno alla proposta.

Il rifiuto di questa ipotesi – che unisce PSOE, PP e Ciudadanos, oltre a Vox, e lo “Stato Profondo” – farebbe mancare qualsiasi presupposto per una soluzione politica alla crisi catalana e riaprirebbedunque con forza la strada ad una ipotesi più “unilaterale” da parte del governo della Comunità Autonoma.

Tornando alla mossa del leader di Podemos…

La partita giocata da Iglesias ha già conosciuto la sua prima cocente sconfitta, considerato che Más Madrid – la scissione madrilena di Podemos, che alle precedenti elezioni era stata appoggiata dalla ex sindaca della capitale spagnola – ha declinato il suo invito, depotenziando quindi sin dal suo nascere l’ipotesi di un “fronte” di sinistra contro la Ayuso.

Il “no” secco alla proposta è arrivato da Mónica García, una delle figure più popolari dell’opposizione a Madrid, dottoressa in prima fila per le lotte contro la privatizzazione della sanità ed ex membro di Podemos, eletta nel 2015 tra le sue fila, seguì Errejón da subito. nel 2019, quando si è allontanato da Podemos, in seguito divenuta una figura di spicco anche grazie alla crisi pandemica.

La campagna elettorale a Madrid, storico bastione dei popolari, è iniziata quindi in un clima di forte polarizzazione, e potrebbe comportare l’ulteriore marginalizzazione politica per Podemos – se non dovesse raggiungere la soglia del 5% necessaria per entrare nell’assemblea regionale – e/o Ciudadanos, finora i due principali attori “populisti” sorti dalla crisi dal bipartitismo spagnolo.

In particolare bisogna ricordare come Unidos-Podemos abbia dilapidato il suo capitale politico, stando ai deludenti risultati elettorali ottenuti dalle sue articolazioni regionali prima nei Paesi Baschi, poi in Galizia e non ultimo in Catalogna.

Stiamo attraversando una fase di ridefinizione del corso politico iberico, che vede comunque il PP ed il PSOE convergere su alcune questioni di fondo, dall’acceso anti-indipendentismo alla difesa a spada tratta dell’istituzione monarchica, nonostante la sua palese corruzione; concordi infine nell’usare i fondi europei, di cui la Spagna è per dimensione la seconda “beneficiaria”, per riconfigurare l’assetto del sistema paese.

Una fase che vede il crepuscolo delle due varianti populiste di destra e di sinistra, entrambi incapaci di realizzare una svolta radicale una volta arrivate alle leve di comando.

È in atto una polarizzazione, di cui la “battaglia per Madrid” è un esempio, frutto della politicizzazione delle contraddizioni sociali e delle storture del “regime del 1978”, cooptato organicamente dall’Unione Europa, ma che si trova a sua volta in una impasse evidente.

Come hanno dimostrato le mobilitazioni per Pablo Hasel, si è aperta una breccia che rompe la pacificazione sociale, ed è destinata ad ampliarsi nella generale incapacità di tenuta del quadro politico, e per la debolezza di quegli attori su cui le élite europee contavano per garantire la governance del pesante processo di ristrutturazione e “riforme” che vorrebbero imporre in Spagna.

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