Domenica 28 febbraio, una carovana di più di un centinaio di biciclette e automobili – imbandierate con cartelli e striscioni, luci intermittenti che lampeggiavano e altoparlanti a tutto volume – si apriva il passo per le strade di Miami, esigendo la fine del bloqueo statunitense contro Cuba. Questa è stata l’ottava azione, l’ultima organizzata tra quelle che si sono realizzate l’ultima domenica di ogni mese, che è passata dalle undici biciclette dello scorso luglio a quello che è oggi, raggiungendo una risonanza sempre più forte e un maggior livello d’organizzazione.
Il messaggio centrale della mobilitazione è rimarcato una volta dopo l’altra da Jorge Medina, il promotore iniziale di questo impegno all’azione; è uno youtuber che in rete si fa chiamare El Proteston Cubano. Questo è ciò che ha dichiarato in una conferenza stampa all’inizio della carovana di questo mese:
“Siamo cubani, siamo contrari a questa misura ingiusta e crudele che il nostro governo, il governo degli Stati Uniti, ha promulgato contro la nostra isola, contro le nostre famiglie sull’isola, e per questo abbiamo levato le nostre voci, i nostri corpi, le nostre gambe, per dimostrare che in questa città non tutti la pensiamo allo stesso modo. Apparteniamo a differenti tendenze politiche. C’è gente di sinistra, di centro e di destra, ci sono persone di ogni genere qui. Speriamo che si uniscano ancora più persone, per continuare a marciare insieme a noi – proviamo a dimostrare un principio – che è quello che in questa città c’è molta gente che la pensa in modo diverso, che non è d’accordo con queste misure… Siamo un movimento che al suo interno ha molte opinioni differenti. Non ci interessa se sei repubblicano o democratico, capitalista o socialista, quello che ci unisce è l’amore per la famiglia cubana che ci spinge a esigere la fine del blocco contro Cuba, la fine di politiche che limitano il nostro diritto a viaggiare, che impediscono l’invio di rimesse economiche che aiutano le nostre famiglie”.
Medina si è ispirato originalmente a Carlos Lazo, un veterano cubano-statunitense della guerra in Iraq, ora professore di scuola, che compiendo un viaggio in bicicletta da Seattle a Washington manifestava a favore della costruzione di “ponti d’amore” per porre fine al blocco contro Cuba.
Nato a Cuba, attraversò lo stretto della Florida su di una zattera trent’anni fa, quando lui ne aveva ventisei. Il sito web Cuba Edactional Travel riferisce che precedentemente aveva passato un anno in carcere a Cuba. Successivamente si unì alla Guardia Nazionale e fu mandato in guerra in Iraq come medico in zona di combattimento a Falluja.
In seguito Lazo si sorprese, riferisce lo stesso sito web, quando: “subito dopo sette mesi di missione in Iraq, dove la sua vita fu sotto constante minaccia e la sua anima distrutta, gli fu impedito di salire a bordo di un aereo per L’Avana per incontrare i suoi familiari, questo grazie alle ultime disposizioni promulgate all’epoca da Bush. Leggi, emanate da quella amministrazione, che limitavano le visite dei cubano-americani sull’isola a una ogni tre anni, e di soli quindici giorni. Senza che si potessero esprimere dubbi, lamentele o obiezioni… eroe di guerra? Non ebbe nessuna importanza”.
Medina, che se ne andò da Cuba undici anni dopo Lazo, anche lui, per un periodo, finì in una prigione cubana.
Nel suo primo viaggio di ritorno a Cuba, nel 2012, dopo aver vissuto dieci anni negli Stati Uniti, andò a una manifestazione delle Damas de Blanco[1], conobbe Antonio Rodiles (noto “dissidente” oppositore del governo cubano)… voleva familiarizzarsi con l’opposizione. Il viaggio gli fece scoprire, tra le altre cose, “che quel discorso non lo rappresentava, che la sua voce era differente”.
Come per molti altri immigrati cubani, la vita che trovarono negli Stati Uniti risultò essere differente dai miti che, in un primo momento, lo avevano motivato a venire qui. Questi immigrati diventarono studenti della dura scuola dell’Università dello Zio Sam, si laurearono sì, ma diventarono persone differenti! Persone che non solo videro il loro nuovo paese sotto una luce diversa, ma lo fecero anche con la patria che avevano lasciato.
Le vecchie mitologie stavano per essere abbattute da nuove realtà. Una politica estera degli Stati Uniti nata dall’odio per la Rivoluzione Cubana del 1959 (e la paura che dal suo esempio scaturisse una messa in discussione della dominazione di Washington su tutti i Caraibi e l’America Latina), ricevette l’avallo di cui aveva bisogno, nell’infame Memorandum Mallory. Questo documento del Dipartimento di Stato riconobbe, a denti stretti (e in privato), la popolarità di cui godeva il governo di Fidel e tracciò la politica per la quale, per sgretolare questo appoggio popolare, l’unica forma era quello di imporre una severa sofferenza per ragioni economiche sull’isola, tale da provocare rivolte sociali contro il regime.[2]
L’annientamento dell’invasione della Bahía de Cochinos (la baia de Porci) grazie a una mobilitazione popolare delle forze cubane confermò l’analisi di Mallory e diede inizio al Blocco. Per sessant’anni Washington ha adottato più e più misure di asfissia economica “per far sì che Cuba torni ad essere sicura per gli Stati Uniti”.
Ma per sessant’anni Cuba ha resistito.
Adesso, però, la guerra economica e politica bipartisan di dodici differenti amministrazioni statunitensi si trova di fronte a una resistenza indesiderata e che non si aspettava, in un luogo dove nessuno l’avrebbe immaginato: le strade dei quartieri a maggioranza cubano-americana di Miami!
Non dovrebbe sorprendere nessun osservatore attento che il movimento delle carovane che sta nascendo qui (e che ha avuto eco durante questo mese con manifestazioni simili nelle città di New York, Ottawa, Montreal, Minneapolis, Seattle e Los Angeles), inevitabilmente incontrasse la partecipazione tra le nuove generazioni di immigrati cubani.
Una mafia di destra è stata allestita e spronata, amministrazione dopo amministrazione, con privilegi (migliorie nelle prestazioni sociali, e speciali leggi d’immigrazione che non sono utilizzabili, ad esempio, dai rifugiati di Haiti e di altri paesi dove furono istaurate dittature con il favore di Washington), con l’obiettivo di strutturare Miami come base del sentimento anticomunista. Privilegi che furono rapidamente sostituiti dal terrore degli scagnozzi dei mafiosi e dall’intimidazione sociale nei confronti di chiunque rifiutasse di mettersi in riga (solo per fare un esempio, tre mesi dopo che Medina ebbe aperto il suo canale di Youtube, nell’agosto del 2015, qualcuno tirò una bottiglia incendiaria contro la sua automobile).
I think tank delle università ricevettero finanziamenti per creare una matrice ideologica addomesticata funzionale a questo disegno, dove i banchieri e i padroni, di origine cubana, delle imprese dello sfruttamento più selvaggio, potessero esaltare il loro odio per Fidel, mentre la gran maggioranza dei migranti cubani lavorava senza garanzie sindacali e in quartieri poveri.
Il mito di Miami come un unico blocco unito della politica reazionaria, base d’appoggio per Trump, Rubio, Scott e altri soggetti del genere, si è visto rafforzato in qualche modo dai risultati delle elezioni del 2020. Un osservatore superficiale potrebbe notare, e sarebbe corretto, l’aumento nel numero di voti per Trump, la destituzione della democratica Donna Shalala e altri colpi inferti all’apparato elettorale democratico, qui, nel luogo, che aveva portato la contea di Miami-Dade a favorire l’elezione della Clinton nel 2016.
Il movimento delle carovane, però, ha cominciato a muovere i suoi primi passi esattamente nel mezzo di quella campagna elettorale, quando tutte le attività, secondo il costume della politica statunitense, si penserebbe siano subordinate alle esigenze elettorali, e invece il movimento vedeva raddoppiare ogni mese la sua partecipazione proprio nel momento in cui si avvicinavano le elezioni.
Per quanto i numeri dei suoi partecipanti siano ancora ridotti, se si comparano con la politica la cui contabilità si basa su milioni di voti, le carovane contro il bloqueo affondano le proprie radici nello stesso tipo di realtà materiali che diedero impulso alla rapida crescita e al grande impatto di movimenti precedenti, come quello abolizionista, quello delle suffragette, o come quello guidato da Martin Luther King, o al vasto movimento contro la guerra degli Stati Uniti contro il Vietnam. Allo stesso modo che per questi altri movimenti, se si lotta efficacemente contro le forze dell’establishment e i poteri costituiti dello status quo, questi non potranno mantenere il loro controllo, né sulla mitologia, né sulla realtà concreta.
I sondaggi di opinione mostrano come le carovane riflettano una polarizzazione dell’opinione pubblica e una forte divisione tra i cubano-americani. Una ricerca, che si svolge annualmente, realizzata nel 2019 dall’Università Internazionale della Florida ha riscontrato che, “per quanto la stragrande maggioranza dei cubano-americani che hanno partecipato al sondaggio concordino che ‘l’embargo’ non ha funzionato, più dell’ottanta percento rimane divisa sul se si debba mantenerlo”.
Non sorprende che, sotto una alluvione di propaganda di estrema destra dell’amministrazione Trump, “le opinioni siano cambiate significativamente in comparazione con quando l’ex presidente Barak Obama ristabilì le relazioni diplomatiche con il governo dell’isola nel 2015”, questo secondo quanto riferito dalla ricerca.
Dei 1001 cubano-americani che vi hanno preso parte a Miami-Dade, il 45% è a favore di mantenere “l’embargo”, il 44% si oppone (nel 2016 erano il 54%), e l’11% ha dichiarato di non saper o non voler rispondere.
È da qui che si acuisce la polarizzazione per cui “l’opposizione all’embargo è più forte tra i giovani, i cubano-americani di seconda e terza generazione e quelli che sono arrivati negli Stati Uniti dopo il 1995…”
In altre parole, esattamente la tipologia di persone che stanno scendendo in strada, in numero sempre maggiore, da quando hanno avuto inizio le carovane nel luglio scorso.
L’allentamento delle restrizioni ai viaggi e alle rimesse ai familiari a Cuba realizzate dall’amministrazione Obama ebbero una grande approvazione. Il Miami Herald scrisse all’epoca che, “secondo fonti cubane, il numero di cittadini statunitensi che ha viaggiato a Cuba tra il 2015 e il 2016 è aumentato da un anno all’altro del 75%”.
Successivamente l’Herald aggiunse nuovi dati su come proseguiva questa tendenza, “a metà del 2016, i viaggi dei cubani residenti all’estero – per la maggior parte residenti negli Stati Uniti – e di altri turisti statunitensi in viaggio a Cuba, hanno raggiunto il secondo e il terzo posto nella graduatoria del turismo internazionale verso l’isola, solamente dietro il turismo canadese che detiene il primo posto. Da gennaio a giugno, i viaggi non relazionati con visite a familiari sono aumentati da 76.183 a 136.913, e questo prima che si desse avvio ai voli regolari da città statunitensi verso Cuba, cosa che non avveniva da più di cinquant’anni”.
“Ancora non sono disponibili i dati completi del 2016, però Josefina Vidal, capo negoziatrice di Cuba nelle trattative con gli Stati Uniti, ha affermato recentemente che il totale dei viaggi dei cubano-americani e di altri cittadini statunitensi lo scorso anno corrisponde a 614.433, questa cifra segna un incremento del 34%”.
Solamente dall’aeroporto internazionale di Miami, nel 2016, sono partiti 588.433 passeggeri con destinazione Cuba, mentre erano 444.667 l’anno precedente. Nel calcolo si includono i cubani che ritornano sull’isola dopo aver visitato gli Stati Uniti. I passeggeri in arrivo e diretti a Cuba via Miami hanno raggiunto la cifra di quasi un milione e duecentomila lo scorso anno in comparazione con i 907.263 del 2015”[3].
Anche le nuove misure introdotte da Obama, sull’ampliamento della possibilità di invio delle rimesse dei cubano-americani di Miami ai loro familiari a Cuba, hanno goduto di un appoggio popolare maggioritario. L’amministrazione di Donald Trump le ha impedite totalmente, affermando che queste rimesse erano intascate da imprese dirette dall’esercito cubano, “stiamo parlando di 3,7 miliardi di dollari all’anno che i militari amministrano a loro piacimento” dichiarò al Miami Herald Emilio Morales, membro della società di “consulenza” Havana Consulting Group.
Invece, sono risultate molto impopolari le 240 misure coercitive messe in atto dal governo di Trump, finalizzate a cambiare la politica della precedente amministrazione. Per più di mezzo milione di cubano-americani negli Stati Uniti, sono state avvertite come un attacco doloroso e personale al loro diritto a poter viaggiare, a poter incontrare e aiutare le proprie famiglie sull’isola.
Allo stesso tempo non bisogna ignorare l’impatto politico della pandemia del Covid-19, che ha fortemente colpito i cubano-americani più poveri, allo stesso modo che i poveri delle altre comunità negli Stati Uniti.
I principali mezzi di comunicazione statunitensi hanno dato scarsissima copertura a temi che i cubani di Miami sanno basarsi su elementi reali per le informazioni che ricevono dai loro familiari sull’Isola. Nonostante il rafforzamento senza precedenti del blocco nei suoi aspetti più brutali, che attacca sistematicamente, tra le altre cose, il sistema medico cubano – e questo rende una sfida per il paese acquisire forniture e strumentazione medica e mantenere l’infrastruttura della sanità pubblica – Cuba ha limitato la propagazione del virus, ha ridotto il costo umano della pandemia, e ha mantenuto ed esteso la sua assistenza medica in molte nazioni del mondo[4].
Il tasso di letalità a Cuba è dello 0,6%, uno dei più bassi al mondo. Una persona che si ammala con il Covid-19 nella contea di Miami-Dade ha il doppio di probabilità di morire di una persona che soffra della stessa malattia a Cuba.
Presto, i vaccini[5] che si stanno mettendo a punto a Cuba saranno disponibili in grande scala sull’isola e per la loro distribuzione ad altre nazioni, a cominciare dai paesi poveri che non hanno la possibilità di competere sul mercato mondiale nell’acquisto di vaccini prodotti dalle case farmaceutiche private, e che puntualmente finiscono iniettati nelle braccia di statunitensi ed europei.
Il pretendere di mettere fine al blocco coincide con la urgente necessità di dare avvio alla collaborazione medica con Cuba, una nazione che è disposta a condividere con il mondo la sua esperienza e il suo personale medico scientifico altamente qualificato.
È nella materialità dell’insieme di questi avvenimenti che il movimento delle carovane inizia il suo processo di maturazione. A partire dall’esempio di una manciata di persone che hanno agito come ispirazione iniziale, i partecipanti alle carovane hanno iniziato a sviluppare un loro processo organizzativo e decisionale. Hanno organizzato un comitato di autodifesa delle proprie iniziative, per prevenire qualsiasi tentativo da parte delle forze della potente estrema destra di Miami di disturbare, provocare o attaccare con la violenza il loro movimento.
Hanno costituito un comitato per lavorare con i mezzi di comunicazione. Per troppo tempo, i giornali, le televisioni e le radio, qui a Miami, non hanno voluto dare una copertura informativa obiettiva a questi avvenimenti che hanno una rilevanza giornalistica. I risultati iniziali di questa organizzazione del lavoro comunicativo sono incoraggianti. Univision, CBS2 TV e Mega TV (Canale 22), per la prima volta hanno fornito informazioni sulla carovana dello scorso mese (febbraio, n.d.t.).
Nella comunità di Miami, c’è una vecchia guardia di organizzazioni storiche che hanno lottato contro il bloqueo, resistendo per decenni alla violenza, violenza spesso omicida, agli attacchi terroristici, le calunnie dei politici e di una stampa foraggiata.
Quello che sì, è diventato notizia adesso a Miami, è che c’è una nuova generazione di cubano-americani che si sta opponendo al bloqueo, a partire dall’esperienza di vita delle loro famiglie, ora, a Cuba, e delle loro esperienze di vita, ora, negli Stati Uniti. Non si tratta solamente di un processo di allontanamento dalla destra, ma di un processo di polarizzazione di maggior complessità, che apre eccezionali opportunità per ampliare e rafforzare la lotta contro il blocco.
La carovana di febbraio a Miami si è conclusa ballando allegramente nel parcheggio da cui era partita e a cui aveva fatto ritorno. Gli attivisti contro il bloqueo con molti decenni di esperienza si sono uniti alle persone che partecipavano alla loro prima manifestazione, alcuni dei quali erano andati lì con i loro figli. El Proteston è stato visto saltare per la gioia.
Alcuni lo hanno descritto come un momento d’amore, per la comunità cubana e dentro di essa, per i risultati che si stanno raggiungendo. Anche se non tutti gli attivisti possono ballare come i cubani, tutti i nostri cuori possono cantare di gioia, per quello che si sta sviluppando per le strade di Miami!
*Pete Seidman è uno statunitense militante comunista contro il Bloqueo e un dirigente dell’organizzazione: “US Hands Off Cuba and Venezuela”, (Stati Uniti Giù le Mani da Cuba e dal Venezuela).
Note:
[1] Gruppo controrivoluzionario composto principalmente da mogli e sorelle di criminali comuni assoldate e dirette dalla CIA, per far passare i loro congiunti come prigionieri politici (n.d.t.).
[2] Memorandum Mallory, citazione: “La maggior parte dei cubani appoggiano Castro […] bisogna impiegare rapidamente tutti i mezzi possibili per debilitare la vita economica di Cuba […] provocare fame e disperazione e l’abbattimento del Governo”. Fonte Ecured (n.d.t.).
[3] Durante l’amministrazione di Donald Trump sono stati interrotti prima tutti i voli di linea regolari dagli Stati Uniti verso gli aeroporti cubani nelle varie città dell’Isola, successivamente anche i voli charter sono stati soppressi, lasciando un solo collegamento aereo con l’Avana (n.d.t.).
[4] La Brigata Medica d’Emergenza Henry Reeve -a favore della quale è in corso una campagna perché venga premiata con il Nobel per la pace 2021/2022- sono intervenute dall’inizio della pandemia ad oggi in 40 paesi del mondo con 57 Brigate composte da migliaia di medici e personale medico sanitario, (n.d.t.).
[5] Ci sono attualmente cinque candidati vaccinali cubani, più uno frutto della collaborazione scientifica tra la Cina e Cuba. Due dei cinque candidati vaccinali, Soberana 2 e Abdala, stanno per terminare la fase 3, la fase finale dei test clinici che coinvolge circa centomila volontari in varie città. Per i risultati estremamente incoraggianti finora ottenuti, le autorità scientifiche e sanitarie cubane contano di poter vaccinare da qui all’estate circa la metà della popolazione cubana; prima della fine del 2021 si calcola che tutta la popolazione dell’Isola verrà vaccinata (n.d.t.).
*da Diario Latinoamericano
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa