Pochi giorni fa, al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, è stata presentata una mozione per la cessazione delle sanzioni economiche unilaterali applicate nei confronti di alcuni Paesi durante il periodo della pandemia.
La mozione avanzata da Cina, Palestina e Azerbaigian a nome dei Paesi non allineati era finalizzata, tra le altre cose, a permettere alle nazioni schiacciate dal peso insostenibile degli embarghi di riprendere fiato e accedere sui mercati internazionali a merci essenziali per affrontare la crisi.
La mozione non vincolante – un mero strumento di pressione – è passata con 30 voti a favore, 2 astenuti e 15 contrari, tra cui, tristemente, tutti quelli appartenenti all’Unione europea, Italia compresa. Tra i paesi più duramente colpiti da queste sanzioni, figura certamente Cuba (oltre a Venezuela, Siria, Iran), colpevole di non essersi mai allineata alle politiche internazionali perseguite dagli Stati Uniti.
L’UE e l’Italia appoggiano così fedelmente una logica di subalternità e attiva complicità rispetto alla politica estera statunitense, basata da sempre sul sistematico annichilimento militare o economico delle nazioni che sfidano gli interessi americani, soprattutto se queste sviluppano politiche di stampo socialista che sfidano apertamente il paradigma economico dominante.
Per comprendere l’enorme importanza del problema cerchiamo di capire quali sono le conseguenze economiche delle sanzioni. Un sistema di sanzioni – spesso definito embargo, dall’uso estensivo della parola spagnola che indica un blocco navale – è costituito da una serie di misure che possono penalizzare gravemente la vita economica di un Paese: divieti alle importazioni ed esportazioni di merci e servizi; sospensione delle attività di cooperazione e assistenza tecnica; boicottaggio economico di Stati o imprese di Stati terzi che commerciano con il Paese soggetto a sanzioni; restrizioni finanziarie, compreso il blocco ed il sequestro di conti bancari, partecipazioni aziendali e fondi di investimenti esteri; divieto di trasferimento delle rimesse finanziarie da parte dei cittadini emigrati; e infine restrizioni al movimento di persone con divieti di visto o di viaggio.
Si tratta di un potente strumento di pressione finalizzato a imporre una linea di politica economica e di relazioni internazionali allineata con la volontà della potenza di turno. Comminate spesso dietro la risibile scusa del rispetto dei diritti umani, in un lampante esercizio retorico fondato sulla prassi dei due pesi e due misure, le sanzioni economiche arrivano ad annichilire un Paese portandolo ad una situazione di tale difficoltà da costringerlo spesso a modificare la propria linea politica, aderendo ai diktat altrui.
Si tratta di un sistema alternativo all’intervento militare che, da parte di chi lo attua, ha il grande pregio di non dover scontare forme di opposizione popolare interna e di comportare un esborso economico più contenuto rispetto a un’operazione militare vera e propria.
Le conseguenze economiche e umanitarie di un embargo possono essere drammatiche. Per fare un esempio, secondo un tristemente celebre rapporto dell’Unicef, le sanzioni all’Iraq introdotte nel 1991 dopo la guerra del Golfo causarono la morte di oltre mezzo milione di bambini a causa di malattie curabili, rese letali dall’impossibilità di importare medicinali e strumenti sanitari di prima necessità.
Le sanzioni colpirono infatti non soltanto ogni tipologia di bene d’uso militare, ma centinaia di beni essenziali di uso civile: farmaci salvavita, vaccini, macchinari a raggi X e molti altri beni di prima necessità.
Altrettanto emblematico è il caso cubano. La storia dell’embargo contro Cuba è tristemente nota. Tutto ebbe inizio a seguito della rivoluzione socialista del 1959, che trasformò l’isola caraibica da bordello nord-americano a Paese indipendente ed impegnato a costruire con dignità un futuro di giustizia sociale, sviluppo economico e solidarietà internazionale.
Una sfida che gli Stati Uniti non potevano accettare a poche centinaia di chilometri dalle proprie coste. Ne seguì l’introduzione di un micidiale sistema di sanzioni economiche che colpiva l’intero complesso di scambi commerciali tra l’isola e gli Stati Uniti.
La prima nel 1960, con il divieto di importazione negli Stati Uniti della canna da zucchero (coltura agricola fondamentale per l’economia cubana), adottata come ritorsione contro le nazionalizzazioni di imprese di proprietà nord-americana effettuate dal governo di Fidel Castro. Seguì nel 1962 l’approvazione da parte del presidente Kennedy di un embargo totale su tutte le importazioni ed esportazione tra Cuba e Stati Uniti.
Nel 1963 vennero inoltre congelate tutte le attività finanziarie cubane negli Stati Uniti e vennero emanate forti restrizioni per i viaggi verso Cuba da parte di cittadini statunitensi.
A trent’anni di distanza, dopo la fine della guerra fredda e il collasso dell’Unione sovietica, anziché ammorbidirsi il regime sanzionatorio statunitense si fece più feroce. Ciò avvenne in una fase di gravissima crisi economica per Cuba, dovuta alla perdita del partner commerciale sovietico che causò nell’Isola caraibica una caduta del PIL del 37% nel periodo 1989-1994.
Proprio in quel difficile frangente, mentre la comunità internazionale auspicava la fine dell’embargo su Cuba, il presidente Bush senior approvò nel 1992 la legge Torricelli: quest’ultima stabilì il divieto di commercio con Cuba per tutte le filiali estere di imprese statunitensi, il divieto assoluto di viaggiare a Cuba per i cittadini nord-americani e il divieto di versare rimesse a Cuba per gli emigrati cubani residenti negli Stati Uniti.
Inoltre, impose un sistema di ritorsioni dirette a tutti quei paesi impegnati in programmi di aiuti economici verso Cuba, privandoli di ogni forma di sostegno finanziario o di cooperazione economica e tecnica. Pur esentando dai divieti di esportazione medicinali e farmaci, la legge Torricelli sottoponeva anche quel tipo di beni a strettissimi controlli, impedendone di fatto l’ingresso nell’isola.
Dall’embargo unilaterale si passava così all’accerchiamento economico ottenuto con una forzata internazionalizzazione delle sanzioni verso Cuba.
La successiva legge Helms-Burton del 1996 approvata sotto la presidenza di Bill Clinton, giunse all’apice della durezza criminale del sistema sanzionatorio: si previde l’applicazione di ritorsioni economiche rivolte,a tutte le imprese straniere che commerciassero con Cuba e la promozione di un boicottaggio della presenza di Cuba nell’alveo delle istituzioni finanziarie internazionali (FMI, Banca mondiale), nonché ritorsioni da parte degli Stati Uniti verso queste ultime in caso di varo di programmi di aiuti verso l’Isola caraibica.
Provvedimenti estremi, finalizzati a fare terra bruciata a livello internazionale attorno a qualunque Paese o soggetto privato che intrattenga rapporti economici con Cuba.
La situazione dell’embargo contro Cuba, malgrado 24 risoluzioni ONU di condanna votate quasi all’unanimità (con l’eccezione di Stati Uniti, Israele e pochi altri) non ha visto alcun cambiamento apprezzabile, ad eccezione di un modesto allentamento delle restrizioni relative al commercio di prodotti agricoli nei primi anni 2000. Al di là dei proclami sulla necessità di superare ‘el bloqueo’, la stessa presidenza Obama non ha proceduto in tal senso, se non tramite limitate misure di parziale allentamento dei divieti di mobilità dei cittadini statunitensi verso Cuba.
Nel 2016 Trump ha invece riacutizzato alcuni effetti dell’embargo con più strette limitazioni al versamento di rimesse economiche dagli Stati Uniti a Cuba, nuove restrizioni per i viaggi verso l’isola e un blocco integrale delle transazioni finanziarie cubane, che erano in parte “tollerate” nei circuiti internazionali.
Naturalmente l’insieme di queste misure draconiane nei decenni successivi alla rivoluzione ha provocato incommensurabili danni economici e sociali a Cuba. Le gravi limitazioni al commercio con l’enorme economia statunitense e la pressione compiuta dagli USA sugli altri Paesi affinché non abbiano rapporti commerciali con l’isola, hanno implicato gravissime difficoltà d’approvvigionamento di beni anche di prima necessità, specie dopo la caduta dell’Unione sovietica.
Le gravissime conseguenze dell’embargo dopo 60 anni sono lampanti in tutti i settori dell’economia ivi compresi i più delicati, come la sanità l’istruzione e il settore alimentare. La carenza di forniture sanitarie, farmaci, sementi e macchinari per l’agricoltura e l’allevamento, apparecchiature e mezzi per i trasporti e per i servizi di telecomunicazione e informatici è stata una tragica costante degli ultimi 30 anni.
Eppure, l’economia cubana è rimasta in piedi e il suo sistema sociale di impronta socialista basato su un’equa distribuzione delle risorse, su una estesa produzione pubblica e sulla piena garanzia dei fondamentali diritti sociali di tutti i cittadini è stato preservato, nonostante gli effetti devastanti dell’embargo, mantenendo peraltro un indice di sviluppo umano elevatissimo in particolare grazie agli eccellenti sistemi sanitario e di istruzione universalistici.
Per di più Cuba, malgrado tutto, è stata in grado di costruire un sistema nazionale pubblico di biotecnologie, il cui stato di avanzamento ha consentito all’Isola di sviluppare diversi tipi di vaccino contro il Coronavirus, al momento a vari stadi di sperimentazione.
Un concreto contributo alla causa della salute pubblica internazionale, consapevolmente ignorato dal sistema politico internazionale, poiché estraneo al sistema farmaceutico capitalistico, orientato innanzitutto al perseguimento sistemico del profitto.
Le sanzioni economiche contro Cuba, esacerbate in una fase storica in cui il Paese non poteva più rappresentare una minaccia diretta per gli Stati Uniti, si sono sempre più rivelate mero strumento di guerra finalizzato a strangolare una nazione che non soltanto non si è mai piegata al capitalismo e all’imperialismo nord-americano, ma ha per decenni continuato a praticare forme di solidarismo internazionalista, che trovano il loro apice nelle missioni sanitarie che lo Stato cubano promuove da anni in 50 Paesi del mondo.
Missioni che proprio nei mesi recenti si sono moltiplicate nella fase della pandemia da Covid19 quando Cuba, nonostante le proprie difficoltà, ha volontariamente inviato in 25 paesi, tra cui l’Italia, 3.500 medici per assistenza nella lotta all’epidemia. Proprio il nostro Pese, nelle drammatiche settimane del marzo del 2020, ha beneficiato di una missione di 52 medici cubani nelle città di Crema e Torino duramente colpite dalla circolazione del virus.
Mentre Cuba ci invia medici, gli Stati Uniti tengono chiuse nel cassetto decine di milioni di dosi di vaccino, che potrebbero salvare vite in tutto il mondo.
Per di più, in questo contesto di crisi sanitaria ed economica, l’amministrazione statunitense non ha fatto altro che indurire gli effetti economici del boicottaggio sistematico contro Cuba arrivando persino a classificare le missioni mediche cubane come una forma di lavoro forzato che lo Stato imporrebbe al personale medico, quindi classificabili come fattispecie di “tratta di esseri umani”, inserendo Cuba nella lista nera dei paesi che promuovo suddetta tratta.
Nell’ottobre del 2020 si è giunti alla presentazione di una legge (in discussione) che condannerebbe tutti i Paesi che beneficiano delle missioni mediche cubane all’inserimento nella lista nera delle nazioni che favoriscono la tratta di esseri umani con tutte le conseguenze del caso.
Questo scempio giuridico e morale si consumava proprio mentre a livello internazionale si cercava di favorire un allentamento delle sanzioni che colpiscono vari paesi del mondo limitandone la capacità di adottare politiche di contenimento degli effetti della pandemia.
Il Segretario generale dell’ONU Guterres, pochi giorni dopo la proclamazione dello stato di pandemia globale dichiarava l’urgenza di eliminare i sistemi delle sanzioni, in particolare i più duri contro Cuba, Siria, Venezuela e Iran, definiti come lesivi dei diritti umani fondamentali.
Poco dopo, all’Assemblea Generale dell’ONU, l’UE ha votato assieme a Stati Uniti, Regno Unito, Georgia e Ucraina per respingere una risoluzione proposta dalla Russia che avrebbe sospeso le sanzioni durante l’emergenza Coronavirus.
Qualche giorno fa si arriva all’ultimo triste epilogo, che vede nuovamente i paesi europei e l’Italia schierati nel Consiglio dei Diritti umani contro i tentativi di porre fine ai criminali regimi sanzionatori che mietono diritti e vite umane. L’Italia ha ricevuto l’aiuto dei medici cubani nei suoi giorni più difficili e oggi ha scelto di ricambiare votando perché le sanzioni unilaterali continuino ad essere una pratica tollerata nel mondo.
Una scelta di cui vergognarsi, figlia di una logica spietata e chiarissima. Milioni di vite umane e la dignità e il benessere di intere nazioni, ree di voler difendere un modello economico solidale fondato sulla giustizia sociale e l’internazionalismo tra i popoli, devono essere sacrificate sull’altare del dominio capitalistico del mondo ricco.
* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org/
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