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Palestina. Si lavora al cessate il fuoco a Gaza. Sciopero generale nei Territori

A fronte dell’empasse in sede di Consiglio di Sicurezza dell’Onu per il boicottaggio opposto dagli Usa ad una risoluzione comune, a lavorare a una mediazione per un cessate il fuoco è soprattutto l’Egitto, coadiuavato da altri Paesi come Giordania e Germania. Il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, ha avuto un colloquio con il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, il quale ha sentito anche l’omologo saudita, Faisal bin Farhan al Saud.

A Parigi si sono incontrati il presidente francese, Emmanuel Macron, e l’omologo egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, a margine di una conferenza sugli aiuti internazionali al Sudan che vede la partecipazione di diversi leader africani, arabi ed europei. Ci sono anche Josep Borrell, responsabile della politica estera di Bruxelles, e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

Chiediamo agli Stati Uniti di assumersi le proprie responsabilità, prendere una posizione giusta e, insieme alla maggior parte della comunità internazionale, sostenere il Consiglio di sicurezza per alleviare la situazione“, ha detto il ministro degli Esteri cinese Wang Yi che, in qualità di presidente di turno, ha presieduto la riunione di domenica del Consiglio di Sicurezza.

Di cessate il fuoco e di misure per una de-escalation si è discusso anche nella videoconferenza dei rappresentanti speciali del cosiddetto Quartetto per il Medio Oriente (Nazioni Unite, gli Usa, l’Ue e la Russia), un organismo tanto pomposo quanto inerte da anni.

Si muove anche il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che ha avuto un colloquio telefonico con il Pontefice, sottolineando “la necessità che non solo il mondo islamico, ma che anche il Vaticano intervenga per porre fine ad attacchi diretti a colpire la coscienza dell’intera umanità“. La Turchia, spiega Ankara, “sostiene il processo di pace, rimane al fianco dei palestinesi e continuerà a difendere lo status di Gerusalemme“.

Il direttore dell’Associated Press ha chiesto un’indagine indipendente sull’attacco aereo israeliano che ha distrutto l’edificio di Gaza City che ospitava l’AP, l’emittente Al-Jazeera e altri media, con la motivazione che il pubblico merita di conoscere i fatti.

Anche Reporter senza frontiere, separatamente, ha chiesto alla Corte penale internazionale di indagare sul bombardamento.

Per Sally Buzbee, direttore esecutivo di Ap, il governo israeliano deve ancora fornire prove a sostegno del suo attacco, che ha raso al suolo la torre di 12 piani di al-Jalaa. L’esercito israeliano, che ha dato ai giornalisti di Ap e agli altri inquilini circa un’ora per evacuare prima dell’attacco, ha affermato che Hamas aveva nell’edificio un ufficio di intelligence militare e per lo sviluppo di armi. Ricorda il generale Powell con la boccetta in mano sulle “armi di distruzione di massa” di Saddam…

Sul fronte di Gaza intanto le forze armate israeliane hanno annunciato di aver ucciso lunedì pomeriggio Hasam Abu Harbid, uno dei comandanti della Jihad Islamica palestinese. Dopo la sua uccisione, per ritorsione è partita una raffica di razzi verso le città israeliane, sia le più vicine al confine con Gaza, sia più lontane come Ashdod, Ashkelon e Beersheba. Ad Ashdod è stata colpita una palazzina ferendo diversi civili israeliani.

Un tentativo di colpire le navi militari israeliane al largo di Gaza è stato compiuto dalle organizzazioni palestinesi con un sottomarino esplosivo telecomandato che però è stato intercettato e distrutto.

Intanto il Comitato dei cittadini arabi di Israele, una coalizione di forze che rappresenta a livello nazionale i cittadini arabi residenti in Israele, ha annunciato per oggi, martedi, uno sciopero generale nel primo giorno lavorativo successivo alla festa di Shavuot, ed ha invitato l’ONU e e gli altri diplomatici stranieri presenti in Israele a chiedere di porre fine alle violenze contro gli arabi israeliani.

La motivazione – è stato spiegato – è la difesa della Moschea al Aqsa a Gerusalemme e degli abitanti del quartiere arabo di Sheikh Jarrah nella parte est della città contro la pulizia etnica messa in campo dai coloni e dalle autorità israeliani

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