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Salviamo Soulaiman Raissouni, giornalista marocchino

Dopo 108 giorni di sciopero della fame, il giornalista marocchino indipendente Soulaiman Raissouni, in detenzione preventiva nelle carceri del regime di Mohammed VI, versa in uno stato di salute psico-fisica drammatica, incapace ormai di muoversi. Insieme al giornalista d’inchiesta Omar Radi, Saoulaiman è il bersaglio di procedimenti giudiziari arbitrari e abusivi: ad entrambi è stata negata ogni richiesta di rilascio in attesa del processo, le loro udienze sono state ripetutamente rinviate e sono tenuti in isolamento.

Contro di loro, le autorità marocchine muovono accuse pesanti, la cui veridicità e fondatezza è tutta da provare, per screditarne l’immagine all’opinione pubblica e depotenziare l’azione e la solidarietà internazionale, che chiede la loro liberazione e la fine delle persecuzioni giudiziarie nei confronti degli oppositori per “reati d’opinione”.

L’attività di inchiesta militante di Omar Radi e le influenti critiche politiche di Souleiman Raissouni sono ovviamente “scomode” per il regime marocchino che prosegue la sua torsione autoritaria mentre continua ad intrattenere proficue relazioni economiche e commerciali con i paesi dell’Unione Europea, nel silenzio generale delle istituzioni europee a riprova del fatto che esiste una sorta di “geometria variabile” anche in materia di tutela dei diritti politici e sociali.

Da tempo denunciamo le vessazioni giudiziarie e gli abusi contro Omar Radi e Soulaiman Raissouni e, nel condividere questo appello del Comité de soutien à Maati Monjib, Soulaiman Raissouni et Omar Radi, riaffermiamo la nostra piena e massima solidarietà nei loro confronti, affinché possano riconquistare al più presto la loro libertà, e con chi lotta ogni giorno con determinazione militante per la verità e la giustizia sociale.

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Mentre i media internazionali mettono in luce l’ignominia del regime marocchino che si permette di mettere sotto sorveglianza non solo gli attivisti che si oppongono alla sua politica, i difensori dei diritti umani, i giornalisti, ma anche capi di Stato, ministri, parlamentari, ecc. (10.000 persone in totale, in Marocco e nel mondo), un’altra ignominia viene perpetrata, all’ombra di una cella buia della prigione di Oukacha, a Casablanca.

In questa cella, un uomo, giornalista di professione, sostiene da mesi di essere innocente di un reato di aggressione sessuale che gli è stato imputato, anche se nessuna denuncia è stata ancora presentata. Quest’uomo, un giornalista, ha certamente usato una penna critica e tagliente contro i leader del suo paese, e ha innalzato il giornale in cui ha scritto al vertice delle vendite. Non ha fatto altro che esercitare la sua professione di giornalista, un’attività rispettata in tutte le democrazie.

In Marocco, questo lo ha portato ad essere perseguito con il pretesto di un reato di diritto comune e condannato a cinque anni di prigione dopo un processo ingiusto in cui quest’uomo, Soulaiman Raissouni, non ha potuto nemmeno essere confrontato con la persona che avrebbe aggredito, né gli è stata data la possibilità di presentare la sua versione dei fatti e le sue risposte all’accusa. Non era nemmeno presente quando il verdetto è stato annunciato.

Soulaiman Raissouni, dopo 11 mesi di detenzione preventiva, ha iniziato uno sciopero della fame illimitato l’8 aprile.

L’8 aprile: 108 giorni di sciopero della fame!

Ora è pelle e ossa, non può muoversi e parla con una voce flebile. La Corte non ha avuto alcuna considerazione per questo imputato al quale non è stato autorizzato di venire al suo processo su una sedia a rotelle, incapace di camminare, ha rifiutato di chiamare i suoi testimoni e ha moltiplicato le irregolarità durante tutto il processo.

Il capo dell’amministrazione della prigione ha fatto numerose dichiarazioni vendicative contro quest’uomo – per vendicarsi di cosa? –, persiste nel rifiuto di trasferirlo in un ospedale, la sua famiglia e i suoi avvocati vengono ingannati negando il diritto di visita con il pretesto che il prigioniero non vuole vederli.

Nessuno ha potuto vederlo da quindici giorni, dopo più di 100 giorni di sciopero della fame, sua moglie è stata persino maltrattata quando ha insistito per vedere suo marito. La preoccupazione della sua famiglia, la nostra e di tutti i suoi amici è immensa, così come la nostra indignazione per tale disumanità.

Se Soulaiman Raissouni non sarà trasferito al più presto in un ospedale per ricevere le cure che le sue condizioni critiche richiedono, se non si farà nulla per permettergli di interrompere con dignità questo sciopero della fame che dura ormai da troppo tempo, lo Stato marocchino sarà ritenuto responsabile di un vero e proprio assassinio che ricorderebbe drammaticamente gli anni di piombo.

Noi, Comité de soutien à Maati Monjib, Omar Radi et Soulaiman Raissouni, assicuriamo ai parenti di Soulaiman Raissouni, e specialmente a sua moglie, Kholoud Mokhtari, la nostra solidarietà e la nostra presenza attiva al loro fianco per salvare la vita di Soulaiman e permettere al suo figlio di un mese di avere un padre.

Chiediamo alle autorità marocchine di mostrare un atteggiamento semplicemente umano ordinando il ricovero di Soulaiman Raissouni e di fare la cosa giusta annullando un verdetto pronunciato dopo un processo ingiusto.

Chiediamo a tutti coloro che hanno a cuore il diritto e la giustizia di unire la loro voce alla nostra per impedire che un’altra ignominia sia commessa dalle autorità marocchine e per esigere la liberazione di tutti i giornalisti e prigionieri d’opinione in Marocco.

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