Emmanuel è sordomuto dalla sua nascita, il 23 agosto del 1983, a Ibadan, nello stato di Oyo in Nigeria. Ha dichiarato accettare l’aiuto offerto dal Servizio Sociale ‘Incontro e Sviluppo’ per un ‘ritorno volontario’ in Nigeria, la sua patria.
Arriva a Niamey da Algeri passando per Tamanrasset, la stazione del Niger sulla strada del Niger da Tamanrasset a In Guezzam. Da lì ha preso una 4 x 4 fino ad Agadez e infine a Niamey, che Emmanuele raggiunge col bus il giorno seguente la partenza da Agadez, la capitale regionale dei migranti.
Emmanuele non parla e non sente ma ha viaggiato, con un amico, dalla Nigeria natale fino all’Algeria. Da Lagos, la capitale economica del suo Paese, a Lomé nel Togo da dove raggiunge il Burkina Faso e poi Gao nel Mali prima di arrivare ad Algeri. Emmanuel è partito stamane alle 3 da Niamey alla volta di Cotonou, nel confinante Benin e da lì spera di raggiungere la città da cui era partito qualche mese fa.
I suoi genitori sono anziani e lui è sposato con tre figli che vivono con la madre a Lagos. Assieme all’amico, dal Marocco, volevano raggiungere l’Europa, che il suo compagno è riuscito a raggiungere passando la frontiera.
Ha informato i suoi una volta raggiunta l’Algeria e dopo poco ha iniziato a lavorare come piastrellista nella capitale Algeri. L’amico l’ha tradito e, per completare il tutto, Emmanuele è stato attaccato e derubato di quanto possedeva. Il passaporto, la carta d’identità, il cellulare e una somma di 11 mila dinari algerini che aveva in tasca.
Tutto ciò è accaduto il passato mese di giugno. Ad agosto Emmanuele decide di chiedere aiuto per tornare a casa e festeggiare in tempo con la famiglia i suoi 38 anni di utopia migrante. Per comunicare con lui bastava un foglio, una penna e il tempo per ascoltare il silenzio.
La sua signora lavora a Maza Maza alla periferia di Lagos. Maza Maza nella lingua houssa significa ‘fare le cose in fretta’, proprio come è accaduto a Emmanuele. Pensa di salutarla prima di raggiungere i suoi vecchi genitori a Ibadan.
Il suo primo nome, assunto dalla tradizione Yoruba, è Adediran, che significa ‘la corona arriva da me’ e il secondo è Aluwadare, ‘Dio mi ha reso giusto’. A questi nomi è stato aggiunto quello di Emmanuel, ‘Dio con noi’ nelle lingue semitiche, che completa la trilogia del suo intenso percorso migratorio.
La sua è stata una breve e regale corona di sabbia che si è formata attraversando il deserto del Sahara. Un re qualunque come, di nascosto, sanno di essere i migranti che inseguono mari, monti e deserti per una corona di sabbia invisibile che nessuno potrà loro portar via. Emmanuele, nel suo mondo assediato dal silenzio, torna a casa con una corona che ha custodito nell’unica borsa che lo accompagna.
L’altro suo nome Yoruba, Aluwadare, implica nientemeno Dio che lo ha giustificato. Dopo essere stato tradito dall’amico con cui ha viaggiato e poi attaccato e derubato a Algeri, attende da Lui una giustizia che arriva troppo spesso in ritardo.
Ciò che potrebbe salvarlo è appunto l’ultimo suo nome, Emmanuele, in ebraico ‘Dio con noi’, cosa che tutti i migranti sanno a memoria e non si stancano di ricordare. Lui stesso, prima di partire, scrive su un foglio, dietro richiesta, un ultimo messaggio che suona testualmente così…’Non saprei cosa dire…non ho i soldi per andare da Cotonou a Lagos e per questo vorrei tu pregassi per me, prima di lasciare questo paese. Grazie per aver preso cura di me, prego Dio di benedirti’.
Emmanuel, con una corona nella borsa, in attesa di una giustizia che verrà, torna a casa in tempo per il suo ormai prossimo compleanno che altri canteranno per lui.
Niamey, 15 agosto 2021
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