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Jonathan il falegname e il figlio di Dio

Di professione falegname, Jonathan non aveva avuto il tempo di aspettare. Finita la scuola professionale nella capitale del Togo Lomé, è partito in fretta in Algeria in cerca di lavoro fin dal 2016.

Si trovava in un cantiere edile e guadagnava il necessario per lui e la famiglia rimasta in patria. Espulso dal Paese torna in patria e cerca, inutilmente, un lavoro compatibile con la sua formazione tecnica. Senza conoscenze non è per nulla facile trovarlo ed è così che l’idea di ripartire ha cominciato di nuovo ad assediarlo.

Stavolta la destinazione era l’Europa dei tanti sogni raccontati da chi non è mai partito. Jonathan torna dunque in Algeria nel 2019. Malgrado tutta la sua buona volontà, non riesce neppure a raggiungere la frontiera col Marocco, militarizzata da tempo e lavora nell’inevitabile cantiere di Algeri, col legno delle armature per il cemento armato.

In Algeria ad essere armata è la società che, dopo aver sfruttato i migranti come mano d’opera a buon mercato, continua ad espellerli dal proprio territorio. Jonathan lascia definitivamente l’Algeria e percorre la strada a ritroso. Algeri, Tamanrasset, In Guezam, Assamaka, Arlit, Agadez e Niamey.

La madre di suo figlio, Eugenia, non era d’accordo col suo progetto di migrazione. Temeva di non rivederlo più, come sposo e come padre dell’unico figlio concepito sette anni or sono. Aveva sentito troppe brutte storie del mare e qualcuno le aveva suggerito che il Mediterraneo, a causa delle politiche restrittive sulla mobilità, si era trasformato in una sola grande ‘fossa comune’.

Lei temeva la sparizione del padre di suo figlio che chiede continuamente di lui, assente. “Papà tornerà presto e non andrà più via”, dice Eugenia all’unico figlio del falegname ancora senza lavoro e di ritorno al paese con due borse baciate di polvere.

Jonathan non rimpiange nulla del vissuto perché i suoi occhi hanno visto il deserto, sfiorato frontiere, accarezzato il mare e sognato un mondo troppo lontano dal suo. Nella borsa più piccola ha messo alla rinfusa i ricordi messi insieme nei viaggi di andata, espulsione e ritorno.

Nell’altra più grande ha messo con cura, assieme ad alcuni abiti nuovi per la signora e suo figlio, il futuro che non conosce nel Paese che lo ha buttato via. Le due borse sono la parabola del passato e del futuro consacrate dal sapore del vento.

Jonathan non ricomincia dal nulla. Di mestiere falegname in cerca di lavoro, nel suo spirito accarezzando paesaggi lontani e stato civile sposato con un figlio di sette anni che ha cominciato ad andare a scuola. Lui si è formato dai salesiani operanti nel suo Paese il Togo, ritagliato sulla costa atlantica della tratta degli schiavi.

L’attuale presidente del Paese, che continua la dinastia del padre, è riuscito nell’intento di ridurre il suo popolo in schiavitù. Jonathan, a modo suo, ha cercato senza riuscirci, un sentiero differente.

Lui, giovane falegname in cerca di lavoro, troverà suo figlio cresciuto ad attenderlo col nome che gli hanno dato prima di partire. L’hanno chiamato, per ispirazione o per promessa, Godson, figlio di Dio.

 Niamey, 8 ottobre, anniversario della liberazione di P. Gigi

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