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Cuba non è un “arcipelago” è un continente

Il tentativo di promuovere una marcha per il 15 novembre a Cuba da parte di sedicenti esponenti della società civile è stato un fiasco clamoroso.

Il popolo cubano, seppur strozzato da un blocco criminale che dura da più di 60 anni, ha potuto riassaporare quella normalità che la condizione pandemica gli aveva sottratto.

Gli studenti hanno completato il ritorno in presenza, gli aerei con i turisti internazionali sono atterrati sull’Isola dando un po’ di ossigeno all’economia ed è iniziata una importantissima manifestazione culturale come la Biennale dell’Arte, a l’Avana, nonostante il velleitario tentativo di boicottaggio promosso dai “dissidenti”.

Le creazione delle condizioni per un ritorno alla normalità è un prodotto dell’incessante sforzo cubano dedicato al contenimento dalla pandemia, di cui l’ultimo successo è la vaccinazione completa di più del 78% della popolazione, con un calo dei contagi del 98% rispetto a tre mesi fa, e che non ha avuto questo venerdì – per la prima volta da Aprile – alcun decesso per Covid-19.

Questa “Immunizzazione” è stata raggiunta attraverso l’uso di 3 vaccini prodotti in proprio, mentre altri due sono in via di sperimentazione.

Come ha dichiarato il segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista Cubano e Presidente della Repubblica di Cuba, Miguel Díaz-Canel Bermúdez, rispetto alla pandemia in un suo intervento del 12 novembre: “abbiamo detto che questa sarebbe stata una corsa di fondo. In quei momenti abbiamo descritto nel dettaglio una serie di situazioni che abbiamo previsto si sarebbero verificate.

Era anche una gara di resistenza. Se fossimo stati un popolo debole, ci saremmo arresi. Ma a Cuba non c’è spazio per la resa. Con un popolo come questo non c’è resa possibile”.

Certamente la stampa internazionale si è ben guardata di riportare questo successo che stride apertamente con la situazione che, anche molto vicino a noi, sta emergendo e lascia supporre il fatto che in Occidente la situazione sia tutto meno che sotto controllo rispetto alla pandemia.

Mentre il 15 novembre si svolgevano manifestazioni di solidarietà a Cuba in tutto il mondo, le mobilitazioni in appoggio ai gusanos sono state un flop anche nel nostro ridotto nazionale.

Poche persone e discorsi insulsi hanno caratterizzato i presidi dei “fascisti cubani” in Italia che non hanno guadagnato gli onori della cronaca, considerato che ha Cuba non stava succedendo alcunché.

L’esito della prevista marcha, tra il farsesco e tragicomico, è stata la partenza per la Spagna di uno dei suoi più celebri organizzatori, Yunior García Aguilera, dopo che le reti informative dei “dissidenti” lo davano per “scomparso”, alimentando l’ipotesi di una sua “tragico destino” con macabri scenari: ottenuto un visto turistico si è recato nella penisola iberica.

L’ipotesi di una sua “scomparsa” è stata presto smentita dai fatti, ma ha suscitato una certa ilarità. Una battuta a Cuba suggerisce al gruppo di Facebook “Archipelago”, organizzatore della protesta, di rinominarsi “Penisola Iberica”.

Miami e Spagna infatti sono i veri bastioni di questa “dissidenza” creata artificialmente dalla dittatura dell’algoritmo e dal flusso di dollari che alimenta questa bolla virtuale.

Lo smascheramento definitivo di Yunior García era avvenuto la settimana precedente della prevista marcha, quando una trasmissione televisiva – “les razones de Cuba” – aveva rilevato la vera identità di un cittadino cubano che per 25 anni si era infiltrato nelle reti di coloro che anelavano alla destabilizzazione del Paese.

Ma i collegamenti tra l’opposizione e Washington ed i flussi monetari erano già stati messi in evidenza dal certosino lavoro di decostruzione a tutto campo messo in piedi a vari livelli dalla società cubana, a cominciare dalla sua dirigenza comunista.

Un lavoro che è andato di pari passo con il tentativo di legare le dure condizioni di esistenza (tagli dell’energia elettrica, assenza di alcuni alimenti e mancanza di medicine) alla loro causa: il blocco economico.

Per questo, come Rete dei Comunisti, abbiamo deciso di tradurre e sottolineare il 5° ed ultimo nel tempo episodio di una serie di documentari co-prodotti da Oliver Stone e da Danny Glover “The War on Cuba”, frutto del lavoro investigativo della giornalista cubana Liz Oliva Fernández e del progetto basato a Cuba “The Belly of the Beast”.

Un progetto che mette assieme cubani e stranieri, quasi unico e praticamente ignorato dai media nostrani nonostante la fama dei produttori e le “visualizzazioni” che questi short videos.

Un lavoro che esplora le condizioni di vita a Cuba e mette in luce gli effetti del blocco.

Si può leggere nella presentazione al quinto episodio: “Ora è il momento di essere informati sugli impatti del Blocco statunitense contro il popolo cubano. Il Blocco ha continuato ad intensificarsi da presidente a presidente, includendo Trump e Biden”.

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