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Canada: il genocidio dei bambini nativi

Nel corso del 2010 il manifesto è stato il primo e unico giornale italiano a pubblicare degli ampi articoli che denunciavano il genocidio di almeno 50mila bambini indigeni fra i circa 150mila che, tra il 1863 e il 1998, vennero internati nelle scuole residenziali religiose del Canada, delle quali 79 dipendevano direttamente dalla Santa Sede.

Le leggi razziali – alcune ancora in vigore – che permisero la sottrazione coatta di bambini indigeni alle loro famiglie, le torture, gli stupri e le uccisioni denunciate 12 anni fa su queste pagine, vennero snobbate dall’intero mondo mediatico nazionale e considerate esagerazioni giornalistiche, se non addirittura delle vere e proprie bufale infondate.

Più recentemente, soprattutto da quando nel giugno dello scorso anno sono iniziate a saltar fuori, a ridosso degli ex istituti religiosi canadesi, delle fosse comuni con migliaia di corpi occultati, si è presa un po’ più sul serio questa tragica vicenda, iniziandola a valutare nelle sue reali dimensioni.

Gli ultimi sviluppi dei giorni scorsi hanno finalmente indotto il governo di Justin Trudeau a intraprendere un accordo di principio che prevederebbe un risarcimento record di 40 miliardi di dollari canadesi (circa 28 miliardi di euro).

Lo ha annunciato la ministra dei Servizi indigeni, Patty Hajdu, che ha spiegato come metà dell’ingente somma servirà a risarcire i bambini nativi tolti alle loro famiglie e affidati alle cure statali, mentre l’altra metà sarà destinata alla riforma del sistema dei servizi all’infanzia.

La causa con la richiesta dei risarcimenti era stata intentata nel 2007 dalla First Nations (associazione che riunisce 634 comunità native del Canada) ed aveva avuto un primo verdetto favorevole nel 2016. Dopo che, lo scorso settembre, Trudeau si è visto respingere i ricorsi contro gli indennizzi da una corte federale, è arrivata l’attuale rinuncia del governo canadese a intraprendere un ulteriore appello, rinuncia che ha permesso l’accordo per ottenere il sostanzioso risarcimento, nella speranza che si possa davvero realizzare.

 

I siti di sepoltura certificati sino ad oggi sono 13 nella British Columbia, 4 in Alberta, 3 a Manitoba, 6 in Ontario ed 1 nel Quebec. Dopo il ritrovamento di più di mille tombe anonime ora si è smesso di scavare, non perché non ci siano altri siti da indagare, ma perché durante l’inverno il terreno è ghiacciato ed è impossibile svolgere queste operazioni.

Tuttavia il genocidio dei bambini indigeni nelle Residential School ha proporzioni molto più ingenti di quelle suggerite dai ritrovamenti delle loro salme. Già nel 1907 infatti la testata canadese Montreal Star denunciava che almeno il 40% degli internati indigeni aveva perso la vita in quei lager istituzionali, quindi la stima di 50mila vittime è stata fatta per difetto .

Nel 2019, dopo una meticolosa ricerca durata quasi 10 anni, molti bambini nativi deceduti sono usciti dall’anonimato e i loro 2.800 nomi sono stati riportati su un lungo striscione rosso di 50 metri, poi pronunciati uno ad uno durante una commovente cerimonia tenutasi al Canadian Museum of History di Gatineau.

Ad oggi sono più di 6000 i corpi ritrovati, ma non sarà mai possibile risalire al numero esatto perché da una parte i registri che attestavano la frequentazione dei bambini indigeni negli istituti religiosi sono stati distrutti o fatti sparire, mentre dall’altra molte delle salme sono finite in fondo ai laghi canadesi, cremate nei forni degli istituti o fatte a pezzi e date in pasto ai maiali.

Nonostante le scuse pubbliche del governo canadese, seguite dai risarcimenti e dalla revisione di alcune leggi, non sono però mai giunte notizie in merito all’apertura di eventuali inchieste giudiziarie, tese a stabilire le responsabilità dei crimini avvenuti nelle 119 Residential Schools.

Vale a dire che, pure se nella sostanza si ammettono i crimini, non sembra ci siano le intenzioni di perseguire coloro che li hanno commissionati e materialmente eseguiti, coinvolgendo le alte sfere politiche, religiose, militari, giudiziarie e persino medico-scientifiche, dato che era diventata una norma comune quella utilizzare i bambini indigeni come cavie da laboratorio, spesso per le sperimentazioni più inutili e crudeli.

La prassi consolidata sembra quindi riconoscere il peccato ma assolvere il peccatore, anche se in verità i vertici ecclesiastici coinvolti attivamente in questa vicenda non si sono degnati nemmeno di fare le dovute e necessarie scuse ufficiali.

Proprio lo scorso anno il premier canadese Trudeau usò toni drastici verso la Santa Sede, ricordando un suo viaggio in Vaticano nel maggio 2017 durante il quale chiese a Papa Francesco scuse formali per i bambini indigeni, nonché l’accesso ai registri della Chiesa per fare chiarezza sugli abusi e sulle morti.

«Stiamo ancora aspettando risposte e assistendo a reticenze da parte della Chiesa», ha affermato senza mezzi termini. Tranne un pilatesco «profondo rimorso» dei vescovi cattolici canadesi arrivato nei mesi scorsi, e una generica promessa di recarsi in Canada del Pontefice, null’altro si è smosso dai muri di gomma della Santa Sede.

L’odiosa pratica dell’assimilazione forzata, dove imperava la parola d’ordine «uccidi l’indiano, salva l’uomo», si era però già materializzata anche fuori dal Canada, nelle 367 boarding school sparse negli Stati uniti. Già nel 1875 il vescovo Vital Grandin, riferendosi alle bambine e i bambini indigeni, affermava senza alcun pudore: «Instilliamo in loro un pronunciato disgusto per la vita nativa in modo che vengano umiliati quando viene ricordata la loro origine. Quando si diplomano nelle nostre istituzioni, i bambini hanno perso tutto dei Nativi, tranne il loro sangue».

A quando, vien da chiedersi, ci saranno delle serie indagini anche sui delitti compiuti nelle boarding school statunitensi? Per ora le vittime scoperte nelle fosse comuni delle ex scuole Usa, in 15 diversi stati, ammonterebbero a circa 1500, ma è difficile credere che gli eredi del succitato vescovo Grandin siano stati più rispettosi e meno cruenti dei loro cugini canadesi.

Dopo il capitolo delle scuole residenziali, ce ne sarebbe da aprire un altro altrettanto grave e terribilmente attuale, che vede un ingente numero di bambine e ragazze indigene vittime di sparizioni, stupri e omicidi, sia in Canada che negli Stati uniti. Chiuse le scuole, i cacciatori cercano altrove le loro facili prede, certi di restare nell’impunità.

 * da il manifesto

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2 Commenti


  • Manlio+Padovan

    Da tempo non compro più il manifesto per il suo appoggio alla chiesa.
    Ricordo bene però come la sua linea fosse in riga con la difesa degli interessi del Vaticano tanto che in una lettera scrissi di “suor Norma Rangeri”. Poi come dimenticare la pubblicità senza alcuna critica la libro di sua banalità il gesuita su casa , lavoro e terra? Ed una mia lettera non pubblicata che faceva notare l’ipocrisia nella storia della chiesa proprio su casa , lavoro e terra? E quel “quotidiano comunista” tanto irrispettoso priprio del comunismo?


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