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Elezioni politiche in Portogallo, un primo bilancio

Le elezioni anticipate che si sono svolte in Portogallo domenica 30 gennaio hanno “certificato” la fine di una ipotesi politica che vedeva le forze della sinistra radicale – il “Blocco di Sinistra” ed il Partito Comunista Portoghese – come attori di peso nei confronti di un governo socialista di “minoranza”, per cui di fatto continuavano a possedere – se non una sorta di potere di “veto” – almeno una certa forza contrattuale sulle scelte di fondo.

Questo ha permesso, al netto dei rapporti di forza, una parziale inversione di tendenza nelle politiche neo-liberiste attuate dai governi precedenti, anche se dentro le compatibilità fissate a Bruxelles e Francoforte.

La formazione socialista di António Costa ha sfiorato – in una elezione dove si è recato alle urne poco più della metà degli aventi diritto – il 42% dei voti, ottenendo la maggioranza assoluta alla Cámara, superando la soglia dei 116 deputati su 230, mentre le due formazioni che ne erano state alleate calano notevolmente sul piano dei consensi, più che dimezzando il numero dei parlamentari eletti.

Costa ha ora la maggioranza assoluta, ma risicata, e da navigato uomo politico qual è, ha lasciato intravedere la possibilità di non governare da solo affermando: “questa maggioranza assoluta non significa potere assoluto, né potere in solitario”.

Il PCP che si presentava in coalizione con i verdi, dimezza i suoi eletti passando da 12 a 6, mentre il Bloco che dal 2015 era la terza forza politica del Paese, ottiene il suo peggior risultato dal 2002, portando i suoi deputati a 5 dei 18 precedenti: insieme hanno ottenuto meno del 9%.

Se l’inedita alleanza a tre di stampo programmatico, la gericonça, stabilita nel 2015 era stata “messa in soffitta” dopo le ultime elezioni del 2019, la loro costante interlocuzione e contrattazione l’aveva di fatto protratta – anche se in forma non organica – fino ad ottobre dello scorso anno, quando i voti contrari del Bloco e del PCP avevano contribuito ad affossare l’ipotesi di “legge finanziaria” per il 2022, in cui una parte dei fondi per il bilancio sarebbe stata derivata dalle sovvenzioni (e dai prestiti) elargiti dall’UE.

Bruxelles aveva destinato 16.600 milioni di euro fino al 2026 al Paese; 13,9 in aiuti, il resto in prestiti.

Anche l’anno precedente il Bloco aveva votato contro, mentre i comunisti si erano astenuti.

L’ipotesi di bilancio proposta dai socialisti, per le due formazioni alla sua sinistra, era troppo insufficiente in materia di ridistribuzione della ricchezza; in particolare, ma non solo, rispetto ai soldi destinati al disastrato Sistema Sanitario Nazionale e per l’innalzamento del Salario Minimo.

Dopo la bocciatura si era fatta strada – e poi si è concretizzata – l’ipotesi delle elezioni anticipate, convocate dal Presidente della Repubblica Marcelo Rebelo de Sousa dopo lo scioglimento del Parlamento, per questo fine gennaio e in piena ondata pandemica.

Il conservatore Sousa aveva annunciato prima del voto sulla finanziaria che non ci sarebbe stata un’alternativa alle urne, ponendo quindi un secco aut-aut sull’ipotesi di bilancio dei socialisti, cui le formazione di sinistra criticavano una indisponibilità al dialogo ed una insufficienza nelle politiche sociali adottate.

La campagna elettorale, che date le condizioni pandemiche ha penalizzato chi ha uno stile più militante nella sua conduzione ed un maggiore radicamento sociale, ed è stata caratterizzata da una contrapposizione tra i socialisti ed il centro-destra del PSD, con a capo Rui Rio, reintroducendo di fatto una logica bipolare “artefatta”.

Costa, che non si è mai sottratto al confronto nei dibattiti televisivi e radiofonici, è stato assai abile a capitalizzare i risultati ottenuti in questi anni di governo, omettendo il fatto che questi sono stati anche e soprattutto l’opera del monitoraggio e del pressing delle formazioni alla sua sinistra.

Ma se i sondaggi hanno dato fino all’ultimo un testa a testa tra i due poli di centro-destra e centro-sinistra, le urne hanno certificato un differenziale di circa il 14% tra le due formazioni, beffando clamorosamente le previsioni: oltre i 734 mila voti in più per i socialisti rispetto ai conservatori.

Se il consenso alla formazione di Rio rimane stabile, ai livelli non certo ottimali delle scorse elezioni, l’estrema destra di Chega – con il 7% di voti – si conferma, dopo l’exploit delle presidenziali, la terza forza politica del Paese, passando da un solo deputato eletto nel 2019, aggiudicato al fondatore e leader André Ventura, a ben 12 deputati: più della somma dei deputati formazioni dell’estrema sinistra.

Se si sommano poi i voti della formazione dell’ex giornalista sportivo a quelli della formazione “a destra” del PSD, “Iniziativa Liberale” che conquista 8 deputati, si va oltre il 12%.

Un dato che sottolinea lo “smottamento” a destra dell’elettorato conservatore, mentre quello della sinistra si sposta, per così dire, al centro.

Le forze della sinistra radicale quindi escono “con le ossa rotte” dalle urne, perdendo consensi  – come nel caso dei comunisti – anche nei bastioni storici, come non era mai avvenuto dalla Rivoluzione dei Garofani in poi; mentre i consensi al Bloco vengono di fatto riassorbiti nella logica del “voto utile” per i socialisti.

È il risultato del tendenziale logoramento già visibile da tempo, dovuto all’inedita esperienza politica cui hanno partecipato, che non è riuscita a controbilanciare in maniera soddisfacente gli effetti della crisi sulle classi subalterne, né a far percepire il ruolo chiave avuto nel processo di decisione politica in quelli che comunque sono stati importanti misure contro l’austherity.

La loro coraggiosa e legittima presa di posizione rispetto all’ultima ipotesi di bilancio, presentata e bocciata, non ha cambiato la sostanza, ma ha certificato la crisi difficilmente reversibile di quella scommessa “a tre”.

Paradossalmente, mentre i socialisti hanno dimostrato tutta la loro rigidità nella discussione sul Bilancio, mettendo in pratica i desiderata di Bruxelles nel modus operandi con cui si decidono la destinazione dei fondi erogati dalla UE, e Sousa imponeva il suo aut-aut, le due formazioni si sono dette fino all’ultimo disponibili al dialogo, credendo in un margine di discussione che si era invece liquefatto.

Sfortunatamente, anche a causa delle condizioni pandemiche e del bombardamento mediatico, non sono riuscite a spiegare al proprio blocco sociale di riferimento che le loro scelte erano frutto proprio dell’inconsistenza delle politiche preconizzate dai socialisti, che non offrivano nemmeno un palliativo agli effetti della crisi che ha colpito duramente la popolazione.

Non si trattava di un “suicidio”, come hanno affermato con differenti sfumature gli organi di stampa, ma di una scelta coerente, ribadita anche durante una prima valutazione dell’esito elettorale.

Alle due formazioni rimane comunque una base non trascurabile di consenso ed una legittimità politica, oltre che un peso organizzativo – in particolare il Partito Comunista – tra le classi subalterne, che le dinamiche elettorali del voto utile tendono come sempre ad offuscare.

Sono elementi che, insieme al programma politico avanzato che portano avanti, risultano fondamentali per i passaggi politici a venire, specialmente in funzione dello sviluppo della lotta di classe che prenderà forma nel Paese contro i diktat dell’Unione Europea ed i venti di guerra di cui è portatrice la NATO: aspetti da sempre centrali per i compagni portoghesi.

Una battaglia comune che come Rete dei Comunisti appoggeremo e sosterremo nel nostro Paese, promuovendo il conflitto di classe organizzato, la lotta internazionalista e lo sviluppo di una soggettività comunista degna di questo nome.

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