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L’accordo russo-cinese sul gas

È già stato scritto su questo giornale della dichiarazione congiunta russo-cinese del 4 febbraio, in cui si indicano «rapporti di tipo nuovo» tra i due Paesi, che superano le alleanze politico-militari dell’epoca della guerra fredda; si è detto della «amicizia tra i due Stati che non conosce frontiere», del «rafforzamento della cooperazione strategica bilaterale non diretta contro paesi terzi».

È stato ricordato come Russia e Cina si esprimano contro ulteriori allargamenti della NATO, come Pechino appoggi le proposte russe per garanzie di sicurezza a lunga scadenza in Europa, mentre Mosca e Pechino chiedono a Washington di rinunciare ai piani di dispiegamento di missili a corta e media gittata, sia in Europa che nella regione Asia-Pacifico e di come denuncino «i tentativi di alcuni Stati a imporre “standard democratici” ad altri Paesi».

È il caso di soffermarsi però anche sugli accordi economici che hanno accompagnato l’incontro Putin-Xi a Pechino, in particolare per quanto riguarda l’approvvigionamento di idrocarburi russi e il contratto sul gas per la fornitura alla Cina di dieci miliardi di mc l’anno, per 25 anni, a partire dall’estremo oriente russo.

È dal 2019, in base a un contratto trentennale stipulato nel 2014, che la russa “Gazprom” esporta gas in Cina attraverso il gasdotto “Sila Sibiri” (Forza della Siberia); ora, l’accordo siglato con la CNPC (China National Petroleum Corporation), prevede che si arrivi gradualmente a un volume di 38-44 miliardi mc annui. “Gazprom” ha discusso con la parte cinese anche la fornitura di gas attraverso “Sila Sibiri-2” che, una volta collegato al gasdotto “Unione Oriente” in Mongolia (la realizzazione potrebbe prendere il via nel 2024 e concludersi nel 2027-2028), sarà in grado di fornire 50 mld mc l’anno.

Per quanto riguarda il petrolio, l’accordo tra “Rosneft” e CNPC prevede forniture di 100 milioni di tonnellate (dal 2005 a oggi, il totale delle forniture è stato di 442 milioni di t.), attraverso il Kazakhstan, in dieci anni.

Si è parlato di un’affare da 80 miliardi di dollari: questo, a prezzi correnti; in realtà, “Rosneft” ha specificato che «il volume finanziario dell’accordo non è definito, dal momento che il prezzo di ogni fornitura dipenderà dalle quotazioni di mercato del greggio in lunga prospettiva».

All’annuncio dell’accordo, scrive Kommersant, le azioni di “Rosneft” sono aumentate del 2,4%. Anche quelle di “Gazprom” sono cresciute del 2%, dopo che, da inizio 2022, avevano perso circa il 10%, a causa della situazione internazionale.

Al 21 gennaio scorso, scrive quote.rbc, erano ferme a 312 rubli, mentre ora, dopo l’accordo con la CNPC, una serie di analisti finanziari russi si attendono una crescita fino a 423 rubli, nel corso dell’anno, e altri azzardano addirittura un prezzo di 550 rubli.

È il caso di ricordare che “Gazprom”, al 50% statale, è il maggiore produttore mondiale di gas naturale, con una quota del 16% nelle riserve mondiali e il 70% in quelle russe, con 175.000 km di gasdotti. Nel terzo trimestre del 2021, le entrate di “Gazprom” sono cresciute del 71%, raggiungendo i 2,4 trilioni di rubli, con un utile netto di 582 miliardi di rubli.

Nei primi nove mesi del 2021, i profitti hanno raggiunto il record di 1,55 trilioni di rubli. Per inciso, tanto per ricordare ciò che i comunisti russi, di tutte le organizzazioni, ripetono da anni: quanto di quei trilioni va alle necessità sociali?

Tornando all’accordo sul gas, ancora Kommersant scrive che la scarsità di informazioni in merito, può spiegarsi forse col fatto che il gas potrebbe essere fornito attingendo anche dai giacimenti di Južno-Kirinskoe, sulla piattaforma continentale di Sakhalin, dal 2015 sotto sanzioni USA.

In ogni caso, il nuovo contratto consente a “Gazprom” di diversificare il proprio portafoglio, viste le tensioni geopolitiche con l’Europa. In Cina, la domanda di gas nel 2021 è aumentata di oltre il 12%, raggiungendo i 370 miliardi mc, arrivando a 395 miliardi di mc nel 2022 e i 430-450 miliardi entro il 2025.

Così che, per la fine del decennio, le forniture di gas russo alla Cina potrebbero raggiungere i 100 miliardi mc; per fare un confronto, quelle di “Gazprom” a tutti i paesi UE negli ultimi sei anni sono state in media di circa 155 miliardi all’anno.

Per cercare di calcolare il valore monetario dell’accordo russo-cinese, considerando che nel 2020 le entrate di “Gazprom” dalla Cina sono state di 44,3 miliardi di rubli – con un volume di 4,1 miliardi di mc di gas, si ha un prezzo medio di circa 150 $ per 1.000 mc – con l’attuale prezzo del petrolio di 90 $ a barile, il prezzo previsto dal contratto cinese potrebbe essere di circa 325 $ ogni 1.000 metri cubi.

Ora, come sanno i lettori di Contropiano, non siamo particolarmente teneri nei confronti delle oligarchie sorte dopo  il disfacimento dell’Unione Sovietica (per la verità, diverse fortune avevano cominciato ad accumularsi anche prima), né tantomeno coi nomi specifici di persone (tanto per rimanere al tema di gas e petrolio, limitiamoci a quelli di Leonid Mikhelson e Gennadij Timčenko, di “Novatèk”, “Sibur”, “Transojl”; Vaghit Alekperov e Leonid Fedun di “Lukojl”; la stessa “Sila Sibiri”, gli appalti di alcune centinaia di km della quale sono andati – si dice senza gara – a Timčenko e Rotenberg; agli azionisti privati e pubblici, russi e stranieri, della “Rosneft” del “patron” Igor’ Sečin) più o meno legate al Cremlino e che sembrano dettare molta della politica, anche sociale, di Mosca.

Tutti loro, insieme a tanti altri, da oltre 30 anni stanno vendendo e svendendo (vedi la questione delle foreste siberiane: un tema sollevato non solo dalla “opposizione” liberale) le ricchezze naturali russe, con i ricavi che solo in minima parte vanno ad alimentare le necessità pubbliche – ad esempio: sanità, istruzione, pensioni, ecc. – straziate da “ottimizzazioni” e privatizzazioni.

Ciononostante, non possiamo non notare come le diverse traiettorie del «ordine mondiale entrato in una nuova era», insieme ai loro risvolti, dovrebbero esser considerate nella loro interezza, soprattutto da certi governi “dei migliori”.

Non foss’altro per alcune “sciocchezze contingenti” legate a volumi e prezzi dei prodotti energetici, senza ridursi alle lamentazioni della routine euro-atlantica su «Putin che strangola l’Europa col prezzo del gas».

Solo due esempi, a prima vista di portata strategica non così elevata come l’accordo russo-cinese: lo scorso novembre, “Gazprom” ha concordato il prezzo del gas da fornire nel 2022 alla Bielorussia in poco più di 127 dollari per 1.000 mc. Sempre a novembre, il prezzo concordato con la Serbia è stato di 270 $, nel momento in cui il prezzo medio internazionale oscillava tra i 650 e i 1.200 €.

Fate due conti.

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