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Sánchez va alla guerra (della NATO). Anticapitalisti e indipendentisti catalani, no

Il presidente del governo spagnolo Pedro Sanchez, ha annunciato ieri davanti al Congresso la decisione di inviare direttamente “materiale militare offensivo alla resistenza ucraina“: un impegno che va ben oltre la partecipazione della Spagna al riarmo ucraino già deciso dalla Commissione Europea e che proietta l’ombra della guerra sulla coalizione PSOE – Unidas Podemos.

Di fatto l’annuncio ha aperto una nuova crepa non solo nel governo ma anche all’interno della formazione fondata da Pablo Iglesias: se da un lato la ministra del lavoro Yolanda Díaz (astro nascente di Unidas Podemos) e Jaume Asens (presidente del gruppo al Congresso) hanno appoggiato la decisione di Pedro Sánchez, dall’altro Ione Belarra, segretaria generale di Podemos, l’ha giudicata inadeguata e insufficiente.

L’atteggiamento davanti alla guerra della “sinistra radicale” spagnola al governo è solo l’ultima delle questioni che hanno sollevato non poche critiche e perplessità (dall’autodeterminazione dei catalani alla recente riforma del lavoro).

Contrari alla decisione annunciata da Sánchez si sono dichiarati anche altri sostenitori del centrosinistra spagnolo. Gabriel Rufian, deputato di Esquerra Republicana de Catalunya al Congresso, ha chiesto che la misura venga votata in aula e ha dichiarato “il fatto che Putin sia un satrapo non converte la NATO in un esercito di liberazione“.

Ma il presidente della Generalitat, Pere Aragonès (anch’egli di ERC), si è invece mostrato favorevole all’invio di armi in Ucraina, fatto che ha rimescolato le carte all’interno dei repubblicani.

Sul fronte dell’indipendentismo basco, Mertxe Aizpurua, portavoce di EH-Bildu ha avvertito Pedro Sánchez: “non conterà sul nostro appoggio per inviare armi letali“.

Dello stesso avviso gli indipendentisti del Bloque Nacionalista Galego. Dopo la riforma sul lavoro, ERC, EH Bildu e BNG si smarcano ancora dai socialisti e si trovano in sintonia con la Candidatura d’Unitat Popular.

La formazione degli indipendentisti e anticapitalisti catalani ha infatti opposto un netto rifiuto all’invio di armi in Ucraina, denunciando sia le responsabilità della NATO e degli Stati Uniti che la mossa di Putin, sottolineando la presenza di gruppi neonazisti nello schieramento ucraino e ribadendo la necessità di lavorare per la pace.

Convinto sostegno alla decisione annunciata da Pedro Sánchez è invece venuto dal Partido Popular e dai liberali di Ciudadanos, che hanno parlato di Zelensky come di un eroe in lotta per la libertà.

In Catalunya si sono registrate diverse manifestazioni contro la guerra: a Barcellona e a Lleida le più numerose, caratterizzate anche dalla controversa presenza della comunità ucraina. A Barcellona i manifestanti ucraini hanno polemicamente abbandonato la piazza quando David Fernandez (ex deputato della CUP alla camera catalana) ha letto un manifesto nel quale si condannava non solo l’aggressione di Putin, ma anche il ruolo svolto dalla NATO.

Al di là dell’episodio, le piazze di questi giorni sembrano contenere sensibilità differenti destinate ad allontanarsi l’una dall’altra: i fatti si incaricheranno di risolvere l’ambiguità di concentrazioni nelle quali alcuni settori sbandierano il no alla guerra senza una altrettanto decisa condanna della NATO.

Anche perciò vale la pena leggere il breve comunicato della CUP del 25 febbraio:

No alla guerra, no alla NATO

Esigiamo l’interruzione immediata della guerra, l’inizio della distensione, la smilitarizzazione e la pacificazione della regione a partire dalla indispensabile ritirata delle truppe e degli equipaggiamenti militari della NATO dalle frontiere . Esigiamo il rispetto degli impegni sul disarmo, incompiuti dagli Stati Uniti dagli anni ’90 fino ad oggi.

Condanniamo le azioni militari del governo russo e della NATO che subisce il popolo dell’Ucraina così come condanniamo il ruolo tenuto dall’Unione Europea, in particolare a partire dalla crisi del Maidan del 2013. Invochiamo l’interruzione immediata del dispiegamento delle truppe nella zona e la loro ritirata nei rispettivi territori.

Facciamo un appello al dialogo e al ritorno allle vie diplomatiche a tutte le parti al fine di cercare una soluzione. È necessario stabilire una cornice di relazioni internazionali, basata sui criteri dell’Accordo di Minsk (opposta alla cornice che impone la NATO), che si basi sul rispetto e la sovranità dei popoli, sulla solidarietà, la cooperazione e la pace.

È necessario anche denunciare le responsabilità degli Stati Uniti e della NATO come forze imperialiste che promuovono la guerra, con conseguenze disastrose per le popolazioni. L’Afganistan, l’Iraq, la Siria o la Libia ne sono solo gli esempi più recenti.

Condanniamo la scela del governo spagnolo di allinearsi con la NATO invece di contribuire alla risoluzione del conflitto rafforzando la via diplomatica e il dialogo.

Invitiamo le nazioni senza stato presenti in Spagna e in Francia a lavorare in una cornice anti imperialista, lontana dalle posizioni belliche della NATO. Madrid e Parigi non possono decidere per noi. Non vogliamo le loro basi e i loro eserciti nelle nostre nazioni.

Denunciamo ancora una volta che chi patisce la guerra è la popolazione civile, non coloro i quali la provocano per i loro interessi economici. No alla guerra!No alla NATO! 

(Comunicato della CUP del 25 febbraio 2022)

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

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3 Commenti


  • ambrita50

    Approvo completamente il comunicato della CUP ed è quello che pensavo ma non sapevo esprimere. Purtroppo in Italia nessuno parla in questo senso, ho ascoltato ora un esponente del PD dire che la nostra costituzione rifugge la guerra, ma non ci consente di assistere inermi.


  • Gianni Sartori

    RIMANE IN COMA IL MILITANTE INDIPENDENTISTA CORSO YVAN COLONNA

    Gianni Sartori

    Nonostante ieri wikipedia l’avesse già tumulato (riportando la presunta data – 2 marzo 2022 – di morte, oggi tolta) Yvan Colonna, se pur in coma post atossico, è ancora vivo.

    Le condizioni del militante indipendentista (un DPS: “détenu particulièrement signalé”) comunque restano gravissime e si dispera per la sua sopravvivenza. Ieri, 2 marzo, è stato aggredito dentro al carcere di Arles (Bouche-du-Rhone) dove scontava l’ergastolo per l’assassinio del prefetto Claude Erignac (delitto di cui si è sempre professato innocente). L’aggressore, dopo averlo colpito alle spalle, ha tentato di strangolarlo, sia a mani nude che premendo col piede sulla trachea mentre Colonna era a terra. Il killer avrebbe agito mentre il prigioniero corso si esercitava da solo in palestra e sarebbe, condizionale d’obbligo, un altro detenuto condannato per terrorismo jihadista.

    Il ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha dichiarato che “verrà fatto tutto il possibile per fare chiarezza su questa aggressione” aggiungendo di aver apprezzato le reazioni “moderate” dei politici corsi.

    In realtà non tutte le reazioni in Corsica sono state “moderate”. Soprattutto perché da tempo si chiedeva il trasferimento di Colonna in un carcere dell’Isola di Granito.

    Così hanno commentato i suoi familiari: “Lo Stato era giuridicamente responsabile della sicurezza di Yvan Colonna. Se muore, l’amministrazione penitenziaria e l’intera gerarchia politica dovranno renderne conto”. Va anche detto che – nella cerchia degli amici e compagni – non si sa nemmeno cosa augurarsi visto che il cervello, rimasto per troppo tempo senza ossigeno, potrebbe risultare irreparabilmente danneggiato.

    Il presidente del consiglio esecutivo della Corsica Gilles Simeoni si è spinto oltre affermando che “lo Stato porta una responsabilità schiacciante” in questa vicenda.

    Nato ad Ajaccio nel 1960, da padre corso e madre bretone, Yvan Colonna era in seguito vissuto per alcuni anni a Nizza. Rientrava definitivamente in Corsica nel 1981 per diventare pastore e militante del FLNC. Arrestato dopo quattro anni di latitanza, veniva condannato definitivamente nel 2007.

    Inevitabile qualche analogia con la morte, in circostanze mai definitivamente chiarite, di Mark Frechette (quello di “Zabriskie Point” e di “Uomini contro”) nel settembre 1975 (stesso giorno della fucilazione del Txiki e di altri quattro antifascisti in Spagna, coincidenza). L’attore-carpentiere-ribelle era in carcere per una rapina (con armi scariche) con cui intendeva finanziare una Comune di Boston a cui si era aggregato insieme a Daria Halprin (che poi se ne andò per sposare Denis Hopper). Comune dove Mark aveva già versato tutto il denaro ricevuto per la partecipazione al film di Antonioni.

    Venne trovato in palestra soffocato dal bilanciere di 70 chili con cui su stava allenando.

    Altra analogia con l’accoltellamento subito dai brigatisti Moretti e Fenzi nel luglio 1981 per mano del mafioso Salvador Fare Figueras. Già responsabile dell’uccisione di due carabinieri (Tonino Gubbioni e Giuseppe Terminiello) nel maggio 1979 e del militante libertario Salvatore Cinieri nel settembre 1979 (ops! 27 settembre: altra coincidenza sincronica?) alle Carceri Nuove di Torino.

    Gianni Sartori

    .


  • giancarlo+staffolani

    Vergogna Podemos

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