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La guerra in Ucraina vista dal Medio Oriente. Turchia, Iran e Israele pensano di guadagnarci

Gli eventi dell’operazione militare russa in Ucraina, provocano reazioni diverse. Ci sono infatti coloro che li considerano una difesa della sicurezza e della sovranità russa e coloro che denunciano l’operazione russa considerandola un’invasione o un’occupazione.

Il problema non sta nella descrizione, ma nelle dimensioni e nei segreti che stanno all’origine del conflitto russo-ucraino, visto che dietro a ciascuno di essi si allineano diversi paesi e posizioni.

È chiaro che l’amministrazione statunitense vuole compensare la sua ritirata in molti paesi del mondo, soprattutto dopo il suo ritiro, fuga, dall’Afghanistan e il declino della sua influenza in Medio Oriente, sostenendo l’Ucraina per minacciare la Russia.

Gli Stati Uniti hanno anche rifiutato di dare garanzie ai russi sul fatto che l’Ucraina non avrebbe aderito alla NATO, così come hanno incoraggiato l’Ucraina ad aggirare gli accordi di Minsk, spianando la strada all’installazione di missili che minacciano la sicurezza nazionale russa.

È chiaro che questo abbia fatto infuriare il presidente Putin, che pensava di poter sfruttare la debolezza dimostrata dalla ritirata americana per ripristinare il ruolo di potere e influenza della Russia, che già si era fatta valere in Siria, aveva annesso la Crimea e aveva impedito che gli Stati Uniti estendessero la loro influenza sulla Georgia, ripristinandovi il controllo militare.

Gli Stati Uniti si sono resi conto che l’ingresso della Russia in Ucraina è sintomo di una nuova fase storica fondamentale, che si può intitolare: la fine del mondo unipolare controllato dagli Stati Uniti dopo il crollo dell’Unione Sovietica, nei primi anni Novanta del secolo scorso. Gli stati Uniti si sono anche resi conto che il nuovo mondo multipolare potrebbe portare la Russia, attraverso la sua alleanza con la Cina, potenza economica emergente e avanzata, a formare il nuovo ordine mondiale attraverso la porta dell’Ucraina.

Di conseguenza, gli Stati Uniti si sono mobilitati e hanno messo in campo il loro potere economico, finanziario, mediatico e militare per isolare e assediare la Russia. Le sanzioni economiche e finanziarie, senza precedenti come ammette lo stesso presidente Biden, imposte alla Russia dagli Stati Uniti e dai suoi alleati europei e occidentali, riflettono anche la portata della preoccupazione americana per la nuova trasformazione.

Gli Stati Uniti, hanno inoltre sfruttato l’operazione militare russa in Ucraina, per ripristinare il controllo sulla NATO e sull’Europa, ponendo fine a qualsiasi tentativo o ricerca europea di istituire un esercito europeo, indipendente dall’America e dalla NATO e riconfermare l’UE alle loro dipendenze. Con buona pace dei riarmi a livello delle singole nazioni europee.

Washington, afferma che non interverrà militarmente in Ucraina, poiché quest’ultima non è membro della NATO. Ma gli sviluppi sul campo indicano che sta interferendo sia attraverso l’invio delle armi fornite dai suoi alleati europei, sostenitori dell’Ucraina, sia mediante la mobilitazione di mercenari, già utilizzati nelle sue precedenti guerre in Afghanistan, Iraq, Siria e altri parti nel mondo.

Di fatto, quindi, gli Usa stanno conducendo, direttamente, una guerra totale contro la Russia, pure quella militare, ma indirettamente anche contro la Cina. La mobilitazione delle energie occidentali contro la Russia, malgrado gli sforzi di mistificazione disinformativa, è evidente che non sta affatto avvenendo su basi ideologiche a sfondo antisocialista, visto che la Russia non è assolutamente un paese socialista e Putin non ha nulla a che vedere con Lenin e/o il comunismo.

L’attuale conflitto mira, infatti, esclusivamente a limitare l’influenza della Russia e della Cina, come paesi capitalisti, che aspirano a un ruolo nel nuovo ordine mondiale all’interno di un quadro di libero mercato e di concorrenza capitalista globale.

La mappa delle relazioni internazionali è posizionata con cautela verso il nuovo sistema mondiale, in cui gli Stati Uniti cercano, disperatamente, di proteggere la loro posizione per restare, da soli, a capo di questo sistema e mantenere la capacità di controllarne unilateralmente le regole. Perdente in questa battaglia globale è l’Europa e i suoi interessi.

Gli ultimi vent’anni hanno dimostrato, soprattutto nell’era di Trump e dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, che l’Europa ha bisogno della Russia, poiché gli interessi economici dell’Europa sono intrecciati con essa, soprattutto in relazione al gas, agli scambi commerciali e alle sovrapposizioni geopolitiche dell’est e del centro Europa.

In questo contesto, i paesi arabi sono fuori dalla storia, perché, nonostante i tentativi di alcuni Stati del Golfo di interferire con la futura mappa degli interessi all’interno delle nuove relazioni economiche e politiche, permane il loro bisogno di rimanere dal lato della trincea americana, nonostante le finestre e le porte che gli si aprono davanti.

Va da sé che la Cina è il Paese con più possibilità di mediazione in mezzo a questo scambio di missili di guerra. E sa di essere il vero obiettivo degli Stati Uniti, se questi riusciranno a isolare e indebolire la Russia.

D’altra parte, è anche chiaro che Iran e Turchia sono le due potenze regionali che mirano a beneficiare di questa guerra.

La Turchia, membro della NATO, non ha tagliato i fili dei suoi contatti con Mosca e Kiev, e sta persino cercando di svolgere un ruolo di mediazione, sfruttando anche la sua posizione geopolitica. Lo fa a volte apertamente e a volte dietro le quinte.

Per quanto riguarda l’Iran, che presto otterrà un ritorno all’accordo nucleare, improvvisamente non è più lo “spauracchio” di Israele né una “minaccia esistenziale” per esso. Israele lo ha strumentalizzato nel tentativo di emarginare la questione palestinese dall’ordine del giorno dell’attenzione internazionale. E ci è riuscito, in una certa misura. Nonostante l’opinione pubblica, soprattutto in Europa, sia sempre più a favore della giusta causa palestinese.

Israele, nonostante le relazioni strategiche stabili, che l’hanno reso, sin dalla nascita, una componente essenziale della sicurezza nazionale statunitense e britannica, pone i suoi interessi al di sopra di ogni altra considerazione o interesse altrui.

Si rende conto di quanto abbia bisogno non solo delle relazioni con Russia o Ucraina separatamente, ma anche, strategicamente, non vuole precludersi le possibilità che possono scaturire dall’attuale cambiamento delle relazioni e dalle regole che deriveranno all’interno del nuovo ordine mondiale e che lo collegherebbero e lo collegano alla Cina, all’India e ad altri paesi che hanno preso le distanze dalla posizione dell’amministrazione americana in questa guerra.

Con questi paesi ha rapporti commerciali, tecnologici ed economici di scambio, e, inoltre, nel campo delle industrie militari e della sicurezza, questi rapporti sono cresciuti notevolmente negli ultimi anni.

Israele, che in questo conflitto si è trovato quasi distante dall’amministrazione Biden, sta cercando non solo di cristallizzare il suo ruolo, che gli conferisce un ampio margine di manovra, in coordinamento con gli Stati Uniti e i maggiori Paesi europei, soprattutto Francia, Germania e Gran Bretagna, come mediatore tra Russia e Ucraina, ma, piuttosto, sta cercando di assumere il ruolo di mediatore anche tra Russia e Occidente.

Prova così a presentarsi con un nuovo ruolo nella storia. Israele è l’ultimo stato razzista di occupazione coloniale in questo universo, ed è pienamente consapevole che l’altra faccia della guerra che l’Occidente sta conducendo contro la Russia si avvale dell’uso della guerra mediatica, del vocabolario del diritto internazionale e del rifiuto dell’occupazione e delle uccisioni di civili.

Tutti questi sono crimini di guerra che Israele commette quotidianamente e che sono stati già documentati da molte delle organizzazioni per i diritti umani più rispettate al mondo. L’ultimo esempio è il famoso rapporto di Amnesty.

La grande domanda che sembra difficile far passare nell’opinione pubblica internazionale è: può Naftali Bennett, il colono razzista e primo ministro d’Israele, che rifiuta di incontrare un palestinese o dialogare con la leadership palestinese, assumere il ruolo di un agnello ed interpretare il ruolo di una volpe mediatrice?!

La cosa triste è che tutte le parti internazionali, comprese quelle radicate su entrambi i lati di questa guerra, ignorano questo ruolo coloniale svolto da Israele e presentano la sua posizione come un impegno possibile per proteggere e garantire il futuro e la sicurezza di Israele, indipendentemente dai risultati di questa guerra e dalla natura delle relazioni internazionali e da qualsiasi sistema internazionale che ne risulterà.

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