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Mariupol, cartoline dall’inferno

A due mesi e mezzo dall’inizio dall’attacco russo in Ucraina, Mariupol è la città che ha subito le maggiori devastazioni. Il nome della città evoca il suo retaggio greco e la devozione mariana dei suoi fondatori: qui, prima del 24 febbraio scorso, viveva circa mezzo milione di persone.

Benché all’interno del complesso siderurgico Azovstal si trovi ancora asserragliato un certo numero di militari dell’esercito ucraino e dei reggimento neonazista Azov, la battaglia di Mariupol può considerarsi conclusa.

Già alla fine di marzo, nel centro portuale e siderurgico affacciato sul Mare d’Azov le forze ucraine si trovavano completamente circondate senza la possibilità di ricevere sostegno o rifornimenti. Nonostante l’oltranzismo da parte ucraina, l’intera area urbana e suburbana di Mariupol si trova sotto controllo delle forze di Donetsk e delle forze russe: l’unica area in cui stanno proseguendo gli attacchi — artiglieria e attacchi aerei — è appunto quella dell’Azovstal.

Mosca avrebbe avuto la possibilità di distruggere in toto l’impianto siderurgico, costruito in epoca staliniana ed oggi proprietà dell’oligarca ucraino Rinat Akhmetov, radendo al suolo l’Azovstal ed i suoi sotterranei con i bombardamenti dal cielo, magari sin dall’inizio dell’assedio di Mariupol.

Da una parte, il tentativo di minimizzare i danni arrecati all’impianto si può spiegare con la volontà di rendere possibile una sua almeno parziale riattivazione post-bellica.

Tuttavia, la ragione fondamentale per cui Mosca ha verosimilmente preferito temporeggiare riguarda la probabile presenza di militari provenienti da Paesi Nato rimasti bloccati all’interno dell’impianto.

Nelle scorse settimane due militari britannici sono stati catturati dalle forze russe e si trovano attualmente detenuti a Donetsk: come prevedibile, i media russi non hanno mancato di dare al caso la massima rilevanza, diffondendo gli appelli dei due prigionieri al primo ministro britannico Boris Johnson. Evidente l’intento di sollevare un caso politico e di mettere in difficoltà lo schieramento atlantico.

Nelle ultime settimane gli attacchi russi all’Azovstal sono stati di tanto in tanto interrotti per permettere di evacuare i civili presenti nei sotterranei dell’acciaieria insieme ai militari ucraini.

Dopo l’incontro tra Vladimir Putin ed il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, all’evacuazione dei civili presenti all’interno dell’Azovstal hanno partecipato anche la Croce Rossa e degli incaricati dell’Onu.

Secondo il vice primo ministro ucraino Iryna Vereshchuk ed il presidente Volodymyr Zelensky i civili presenti all’interno dell’Azovstal sarebbero stati tutti evacuati, anche se ad oggi manca la possibilità di avere la certezza di questo.

Il naufragio di ciò che rimaneva degli accordi di Minsk ha prodotto immani sofferenze per la popolazione civile di Mariupol. I numeri delle persone rimaste bloccate in città all’inizio dell’attacco russo sono incerti, ma comunque nell’ordine delle decine di migliaia. Anziane molte di loro, spesso con acciacchi e problemi di salute pregressi.

«Ho 85 anni – dice un’anziana signora coperta di stracci — e vivo in uno scantinato da due mesi». Come lei, migliaia di persone hanno vissuto sottoterra sin dell’inizio dell’attacco russo, epilogo di una guerra fratricida cominciata nel 2014, nella regione del Donbass. Mentre i tecnici sono già al lavoro per ripristinare le linee elettriche e telefoniche, l’acqua corrente, l’energia elettrica ed il gas, mancano in tutta l’area urbana dallo scorso 24 febbraio.

Le persone si sono ormai abituate a cucinare per strada, spesso insieme a parenti, amici e vicini di casa. I più fortunati hanno disposizione un generatore che di tanto in tanto viene avviato per permettere di ricaricare i telefoni: questi stanno gradualmente riprendendo a funzionare almeno în alcune aree della città: intanto i primi autobus urbani hanno ripreso a circolare.

Insieme agli anziani, sono rimasti a Mariupol bambini e adolescenti: alcuni di loro, ormai senza genitori, sono stati adottati da altre famiglie che hanno aperto loro i propri scantinati: ambito in cui dalla fine di febbraio si è svolta la vita delle persone dal tramonto all’alba, così come durante il giorno nei momenti più intensi della battaglia.

Un detto russo vuole che l’inverno sia particolarmente duro ogni volta che si combatte una guerra: nelle lunghe settimane di marzo ed aprile la temperatura ha raggiunto picchi minimi di anche 15 gradi sotto lo zero.

Oggi il sole di maggio dona tutt’altro aspetto a Mariupol, anche in quei quartieri in larga misura distrutti. Il gelido inverno è ormai un ricordo soppiantato dai colori della primavera e dal profumo dei fiori: un profumo che lenisce le narici rassegnate da settimane all’odore acre degli incendi e quello lugubre dei cadaveri rimasti a lungo sotto le macerie o ai margini delle strade.

Fare un bilancio serio delle vittime militari e civili della battaglia è difficile: di certo che non potrà che essere tragico, e certamente nell’ordine delle migliaia di vittime.

Alcune di queste sono state sepolte nei parchi, nei giardini condominiali, altre già nei cimiteri di Mangush e Stary Krim, insieme ai militari ucraini caduti in battaglia: in questi due luoghi, non lontani dalla città, secondo l’ormai de facto ex sindaco di Mariupol, Vadim Boycenko, si troverebbero delle presunte fosse comuni dove l’esercito russo avrebbe occultato migliaia di corpi.

Recandosi in loco, come chi scrive ha fatto, è stato possibile constatare che i luoghi in questione sono anzitutto due aree cimiteriali, che le sepolture in questione sono sepolture individuali, che tra le persone sepolte ci sono anche militari ucraini caduti in battaglia; che non c’è stata alcuna esecuzione di massa deliberata connessa con queste sepolture, che non c’è alcun indizio che indichi l’intento di occultare le vittime sepolte, che i numeri delle sepolture sono ben diversi da quelli – 9.000 morti – di cui ha parlato l’ormai ex sindaco di Mariupol Vadim Boychenko: numeri ben inferiori – all’inizio del mese di maggio – alle 1.000 sepolture complessive, tra il cimitero di Mangush e quello di Stary Krim.

In alcune aree della città, come quella dell’ex centro commerciale Metro si svolge quotidianamente la distribuzione di pasti caldi e di beni di prima necessità sotto l’insegna del partito «Russia Unita», evidentemente preoccupato del proprio consenso. Poco lontano, autocisterne di Donetsk distribuiscono gratuitamente acqua potabile e, a pagamento, benzina.

Lo scorso marzo ogni negozio è stato preso d’assalto, con una sorta di permesso accordato dalle forze russe per i prodotti alimentari. La distribuzione di beni di prima necessità da parte russa è cominciata con l’ingresso a Mariupol delle prime truppe di terra: nonostante questo, la gente ha sofferto a lungo fame e sete. Oggi lungo viale Shevchenko c’è ogni mattina un mercato autorganizzato dai residenti: molti arrivano qui anche da fuori città per vendere uova, verdura, came e frutta.

Si vende, si compra e si scambia ogni genere di merce, utilizzando in prevalenza ancora la grivna (la moneta ucraina): nessuno a Mariupol percepisce per il momento lo stipendio o la pensione. Nessuna banca è attiva. Non pochi hanno terminato o perso tutto il denaro in contanti che avevano: a questi non resta che il baratto per procurarsi il necessario. Qualche chiosco, risparmiato dalla furia della battaglia, ha gia ripreso a funzionare.

La data del 9 maggio, anniversario della vittoria sovietica sul nazifascismo, ha assunto una valenza simbolica enorme nel presente contesto di scontro, anche e soprattutto a Mariupol: qui, nel 2014. ha avuto luogo una delle numerose stragi consumatesi all’alba del conflitto del Donbass.

La polizia di Mariupol si era rifiutata di intervenire per sciogliere, come ordinato dal governo salito al potere dopo il Maidan, la commemorazione del 9 maggio, evento legato al retaggio sovietico e volano delle mobilitazioni che avrebbero portato la regione del Donbass allo scontro con il governo di Kiev.

All’esercito ucraino era stato dato l’ordine di assaltare il comando cittadino di polizia: l’edificio che lo ospitava fu completamente distrutto – con un bilancio di circa 40 vittime – rimanendo tale fino ad oggi.

La celebrazione del 9 maggio è avvenuta a Mariupol, così come negli altri territori conquistati dalle forze russe, per la prima volta dopo otto anni: in questo periodo in Ucraina le celebrazioni del 9 maggio erano state disincentivate o proibite anche con la violenza. Quest’anno in alcune città del Paese è stato addirittura imposto un coprifuoco diurno per impedire di celebrare la giornata: una settimana prima, il 2 maggio, lo stesso provvedimento è stato preso a Odessa, per impedire la commemorazione della strage avvenuta nella Casa dei Sindacati nel 2014.

Tra la gente di Mariupol la voglia di parlare e di raccontare è spesso incontenibile, per avere notizie, informazioni di qualunque genere, sostegno. O più semplicemente, per dare sfogo al nervosismo, alla frustrazione, al dolore.

Qualcuno abbraccia i militari russi e li ringrazia: qualcuno li maledice. Altri, con gli occhi asciutti, fissano il vuoto. Alcuni hanno lasciato la città e non contano di farvi ritorno: altri sono invece già rientrati o contano di farlo a breve. In città la situazione degli ospedali continua a essere pesante, seppur in lento miglioramento, con una condizione igienica precaria, carenza di certi farmaci e di personale, esausto: anche di fronte all’ospedale «2», pesantemente danneggiato dai combattimenti, vengono distribuiti acqua e beni di prima necessità.

Nel corso della battaglia, la presenza di migliaia di civili in città ha aumentato esponenzialmente sia le vittime civili sia le vittime militari tra le forze russe, trovatesi talvolta a dover rinunciare ai bombardamenti a tappeto in favore dei combattimenti strada per strada. Mezzi pesanti e autobus, anziché essere utilizzati per evacuare i civili prima dell’attacco, sono stati usati dalle forze ucraine per costruire barricate e bloccare le strade.

L’utilizzo di scuole, complessi residenziali e centri commerciali come posizioni di tiro per contrastare l’avanzata russa ha di fatto trasformato ogni struttura civile in un obiettivo militare, determinando una situazione tragica per la popolazione.

Come decine di testimonianze di civili confermano, l’evacuazione preventiva della città è stata impedita da parte del reggimento Azov, formazione che aveva a Mariupol il proprio quartier generale: le testimonianze attribuiscono alla formazione anche la responsabilità di aver deliberatamente aperto il fuoco contro alcuni civili che provavano ad allontanarsi dalla città prima che le forze russe assumessero il controllo del settore nordoccidentale ed organizzassero qui un corridoio di evacuazione per la popolazione civile.

Su viale Mir – in russo: pace – nelle scorse settimane chi scrive ha documentato la presenza di decine di cadaveri di civili uccisi da colpi d’arma da fuoco. A poche centinaia di metri, verso il lungomare ed il porto, si trovavano ancora le forze ucraine.

Secondo alcuni residenti del quartiere, le persone in questione sarebbero state uccise dai cecchini ucraini nell’intento di far desistere dalla fuga i civili rimasti nella zona e complicare di conseguenza l’avanzata russa.

Migliaia di profughi sono stati smistati quotidianamente dalle forze russe verso altri centri del Donbass, dove hanno trovato un riparo temporaneo in scuole, palestre, strutture amministrative: da qui sulla base delle proprie preferenze hanno potuto raggiungere con bus o mezzi propri Rostov sul Don o Taganrog, città della Russia meridionale a poca distanza. Nelle ultime settimane molti residenti hanno fatto rientro in città, cercando di cominciare, pur lentamente, a ricostruirsi una vita.

Nessuna traccia delle presunte deportazioni che, secondo l’ormai ex sindaco di Mariupol, Mosca avrebbe perpetrato contro i civili della città: al contrario, una parte dei residenti di Mariupol ha scelto di recarsi nella vicina Russia, considerandola un luogo più sicuro della turbolenta Ucraina.

Nella direzione opposta i convogli di profughi hanno potuto attraversare il fronte e raggiungere Zaporozhe e altre città sotto controllo ucraino solo quando Mosca e Kiev sono riuscite a concordare dei cessate il fuoco ad hoc.

Le centinaia di cani sopravvissuti e rimasti randagi hanno oggi un aspetto meno scheletrico: la fame feroce delle scorse settimane ha portato molti di loro a nutrirsi della carne dei cadaveri rimasti ai margini delle strade. Tanta è voglia di voltare pagina nelle piacevoli giornate di maggio c’è addirittura chi ignora i rischi di aggirarsi in luoghi almeno in parte minati pur di concedersi una passeggiata sul bagnasciuga e un bagno.

Mentre Mariupol si chiede quanto tempo sarà necessario per riattivare in città i servizi essenziali, sul tutto il fronte del Donbass, e non solo, si continua a combattere: mentre la controffensiva ucraina tarda a palesarsi, le forze russe lentamente avanzano con elevati costi umani. Un reale accordo di pace per l’Ucraina sembra oggi ben più lontano di quanto non lo sia stato negli ultimi otto anni: Joe Biden e Jens Stoltenberg non hanno mancato di ricordarlo.

* pubblicato su Panorama – testo e foto di Maurizio Vezzosi

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