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Potere e Contropotere nelle Filippine. I brogli nelle elezioni presidenziali

Nel fare il quadro della situazione non si può prescindere dal fatto che nelle Filippine agisce un partito comunista marxista, leninista, maoista, il cui braccio armato è il Nuovo Esercito del Popolo. Sia il Partito Comunista Filippino che il Nuovo Esercito del Popolo sono stati inclusi nelle liste delle organizzazioni terroristiche delle Filippine, degli USA e della Unione Europea.

Quindi, non solo alle elezioni non possono partecipare candidati del partito comunista ma tutti i candidati vicini ai ceti popolari vengono boicottati o minacciati, con l’accusa di essere simpatizzanti di una organizzazione terroristica.

D’altra parte, è assurdo considerare terrorista un movimento che si batte nelle campagne, anche con le armi, a fianco dei contadini e degli indigeni contro tutte le multinazionali che li cacciano dai loro campi e dalle loro terre ancestrali; in particolare, contro le multinazionali agricole, che sostituiscono i prodotti destinati al consumo locale con quelli destinati all’esportazione (piantagioni di ananas, banane ecc.); contro le multinazionali minerarie, che inquinano l’ambiente e distruggono le risorse di vita; contro i latifondisti, che impediscono la riforma agraria e difendono un sistema semi feudale; contro un regime fascista, che terrorizza e bombarda contadini, indigeni e minoranze mussulmane.

Nemici di questo movimento sono anche gli imperialisti americani, che hanno fatto delle Filippine una loro colonia fino alla fine della seconda guerra mondiale e che tuttora le occupano con basi militari, sulla base di “trattati ineguali”. Queste basi sono sia in funzione anticinese, sia per appoggiare la repressione delle truppe governative, là dove i contadini o gli indigeni si ribellano ai progetti delle multinazionali o al potere dei latifondisti.

Un vero contropotere si costituisce nelle campagne, fino ad avvolgere le città. Anche nelle città nascono lotte organizzate, come ad esempio quelle dei conducenti di jeepney. Quando la vita degli attivisti è messa a rischio essi trovano rifugio nelle campagne.

L’articolarsi di questo contropotere riveste una importanza fondamentale e richiede un primo approccio a parte.

Con questo contro potere vari governi filippini tendenzialmente più democratici hanno intavolato negoziati di pace. Il parlamento dell’Unione Europea, a testimonianza di un orientamento politico all’epoca ben diverso, aveva approvato nel 1997 e nel 1999 due risoluzioni in cui promuoveva lo svolgimento di colloqui di pace fra il governo filippino ed il National Democratic Front of the Philippines (l’insieme delle 18 organizzazioni democratiche guidate dal Partito Comunista, di cui fa parte anche il Nuovo Esercito del Popolo).

Il governo di Oslo aveva patrocinato varie sessioni di questi colloqui. L’ultima si tenne a Roma, nel gennaio 2017, ma fu interrotta per volontà di Duterte, che si era illuso di porre fine con le armi alla insurrezione comunista entro la fine del suo mandato. Il Partito Comunista ed il Nuovo Esercito del Popolo furono dichiarati organizzazioni terroristiche, contro cui ogni metodo di lotta era lecito. Così fece pure la Unione Europea.

Ora, di fronte ad un attacco sempre più duro, che unisce il dittatore uscente Duterte con quello entrante Marcos Jr., i compagni filippini hanno costituito l’associazione internazionale Amici del Popolo Filippino in Lotta / Amici del Fronte Democratico Nazionale delle Filippine (FRIENDS OF THE FILIPINO PEOPLE IN STRUGGLE / FRIENDS OF THE NDFP), con lo scopo generale di sostenere, nel mondo, la lotta per la realizzazione del programma del NDFP e quello immediato di far cadere la dittatura e di ottenere la cancellazione del Partito Comunista Filippino e del Nuovo Esercito del Popolo dalla lista delle organizzazioni terroristiche.

Il potere delle “grandi famiglie”.

Le elezioni nelle Filippine hanno avuto sempre esiti molto discutibili. In quelle del 1986 si scontrarono Ferdinand Marcos Senior, presidente in carica, e Corazon Aquino. Cory Aquino, proveniente da una ricca famiglia di agrari, era la moglie di Benigno Aquino Jr., di idee socialisteggianti, imprigionato sotto l’amministrazione di Ferdinand Marcos Senior, poi esiliato ed assassinato da agenti militari al suo ritorno in patria.

Gli evidenti brogli della amministrazione Marcos provocarono la rivolta popolare, cui man mano si affiancarono personalità importanti della chiesa (la chiamarono “la rivoluzione del rosario”) e una parte determinante delle forze armate.

Dopo la rivoluzione del 1986, gli Stati Uniti organizzarono la fuga di Marcos e della sua famiglia verso le Hawai, portando con sé quanto potevano delle ricchezze accumulate.

Ma i Marcos non si rassegnarono a perdere il loro potere nelle Filippine.

Rincominciarono conquistando, grazie ai grandi fondi a loro disposizione, il potere politico locale a Ilocos Norte e Leyte. Poi si candidarono e conquistarono seggi nel Congresso e ristabilirono lealtà politiche e legami finanziari con la grande borghesia compradora e le banche straniere. La loro marcia verso il potere è stata favorita dai regimi reazionari che si sono succeduti dal 1988 e che, su pressione degli USA, hanno avuto l’obiettivo di appianare i conflitti per il potere fra le grandi famiglie.

Il piano dei Marcos per tornare alla presidenza è stato favorito negli ultimi sei anni dal presidente uscente, Rodrigo Duterte, che ha autorizzato una sepoltura da eroe per Marcos, ha ripetutamente elogiato il suo governo dittatoriale, ha affermato che i Marcos non hanno ricchezze illecite e infine ha fatto di tutto per truccare le elezioni.

Così, le famiglie dei Marcos e dei Duterte intrecciano le loro fortune. Non solo Duterte considera un eroe il dittatore Ferdinand Marcos Sr., ma farà in modo che le ricchezze che egli aveva rubato al popolo filippino, ora in parte sequestrate, vengano completamente consegnate alla sua famiglia. In compenso Ferdinand Marcos Jr. farà in modo che Rodrigo Duterte sfugga alla condanna della Corte Penale Internazionale per le 14.000 persone uccise durante il suo mandato.

I brogli nelle elezioni presidenziali del 9 maggio sono andati molto oltre quanto già si temeva.

Essi sono stati determinanti per assegnare la presidenza a Ferdinand Marcos Junior. Dati parziali, ma relativi al 98,38% dei seggi, gli assegnano il 58,74% dei voti. Marcos si presentava col il Partito Federale delle Filippine, anche se in realtà nelle Filippine non contano i partiti ma le famiglie.

Leni Robredo, avvocatessa per i diritti umani, si presentava come indipendente per raccogliere i voti di tutta l’opposizione democratica. Era stata accusata di avere il sostegno anche dei comunisti, di voler fare la pace con il National Democratic Front of the Philippines, di cui fa parte il partito comunista, e addirittura di voler fare un governo con loro. Lei, che era la vera antagonista di Marcos, avrebbe ottenuto solo il 27,99% dei voti.

Nelle Filippine le elezioni per la presidenza sono distinte da quelle per la vice presidenza. Può così accadere che presidente e vice presidente provengano da partiti in contrasto e si trovino su posizioni opposte. E’ quanto è accaduto nelle precedenti elezioni, vinte da Rodrigo Duterte, come presidente, e da Leni Robredo, come vice presidente. Lo scontro fra i due è stato netto, soprattutto quando Leni Robredo ha voluto indagare sulla sanguinaria “lotta contro la droga”.

Duterte è incriminato davanti alla Corte Penale Internazionale per aver provocato le esecuzioni sommarie di più di 14.000 Filippini, con il paravento della lotta contro la droga, la guerriglia comunista ed il terrorismo islamico. Temendo per la propria sorte, Duterte la ha privata di ogni incarico.

Così non sarà per Sara Duterte, figlia di Rodrigo Duterte, che correva in tandem con Marcos Jr. ed avrebbe ottenuto il 61,29% dei voti, davanti a Francis Pangilinan cui viene assegnato il 17,93%.

La Duterte è una donna autoritaria, che ha governato Davao City, di cui era sindaca, con il potere dell’esercito e della polizia.

Tornando alla sfida principale Marcos – Robredo, ai Filippini appare evidente il contrasto fra la presenza di milioni di persone nelle piazze che acclamavano la Robredo e la piccola percentuale elettorale che le viene assegnata.

Da febbraio, una Missione Internazionale di Osservazione (OIM) della International Coalition for Human Rights in the Philippines (ICHRP) raccoglie documentazione sulla gestione antidemocratica delle elezioni. I risultati di queste indagini sono stati pubblicati nel Rapporto intermedio dell’OIM, scaricabile dal sito delle ICHRP.

La campagna è stata condotta, grazie alle enormi disponibilità finanziarie della famiglia Marcos, da grandi agenzie di pubbliche relazioni che hanno gestito campagne mediatiche e troll farm sui social media, scatenando potenti attacchi informatici contro gli oppositori.

Inoltre, il governo ha dispiegato tutta la forza del suo controllo sull’apparato dello Stato.

Il sistema di conteggio automatico dei voti è stato manipolato dalla Comeelec (la Commissione Elettorale designata da Rodrigo Duterte), con la programmazione delle macchine Smartmatic per conteggio dei voti.

Le forze armate e la polizia sono intervenute pesantemente con il pretesto della “contro-insurrezione”, facendo campagna elettorale attiva, specie nelle zone rurali, essendo presenti nei seggi, intimidendo gli elettori, impedendone il voto o falsificandolo.

La NTF – ELCAC (National Task Force per porre fine al conflitto armato comunista nelle Filippine), ampiamente sovvenzionata dal governo, ha fatto un uso generalizzato del red tagging, “etichettatura rossa”, vere liste di proscrizione legalizzata, che colpiscono tutti i democratici, accusati di essere simpatizzanti dei comunisti. Gli attivisti ed i candidati colpiti dal red tagging diventano vittime di ogni abuso e molti di loro sono stati uccisi.

Per dare un’idea del clima politico nelle Filippine, gli osservatori dell’OIM riferiscono che la NTF – ELCAC ha qualificato il sindaco di Baguio come simpatizzante dei comunisti per il suo divieto di affissione dei cartelli rossi (le liste dei presunti simpatizzanti per i comunisti), “in diretta violazione degli ordini del presidente Duterte”.

Attualmente, per la proclamazione di Marcos Jr. a presidente, si aspetta il verdetto della Corte Suprema di fronte ad un ricorso presentato da un gruppo di vittime della legge marziale durante la dittatura di Ferdinand Marcos Sr.. Tale appello si basa sulla non eleggibilità di Marcos Jr. per aver nascosto condanne che comportavano l’esclusione dai pubblici uffici.

Contro questa proclamazione si sono attivati i democratici filippini, in patria e nel mondo.

In Italia, a Roma, domenica 22 maggio il Comitato di Amicizia Italo Filippino ha indetto una manifestazione a piazza della Repubblica, cui per la prima volta hanno aderito, oltre alle organizzazioni filippine, molte organizzazioni politiche italiane. Tutti i compagni hanno partecipato con al polso un nastro rosa, simbolo di Leni Robredo. Questo vuol dire che tutta l’opposizione democratica, compresi i comunisti, ritiene che la presidenza della Repubblica spetti a questa avvocatessa dei diritti umani.

Alla manifestazione hanno aderito:

Umangat Migrante, Gabriela, Potere al Popolo, Rifondazione Comunista, Rete dei Comunisti, OSA – organizzazione studentesca di alternativa, CAMBIARE ROTTA – Organizzazione giovanile comunista, Immigrati in Italia (International Migranti Alliance), JVP SRI LANKA Comitato in Italia, Cred Centro Ricerca e Documentazione per la Democrazia.

L’unione di queste forze consentirà, in Italia, di dare adeguato sostegno alla lotta dei compagni filippini.

* Comitato Italo Filippino per i diritti umani nelle Filippine (IPFA)

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