Amineh Kakabaveh ha una storia che parla da sé: nata nel 1970 nel Rojhilat, Kurdistan iraniano, ha aderito al movimento guerrigliero marxista-leninista Komala che era ancora un’adolescente. A 19 anni ha cercato rifugio in Svezia: si è laureata mantenendosi come collaboratrice domestica. Fino all’ingresso in parlamento con il Left Party.
Il suo è uno dei nomi che dieci giorni fa l’ambasciatore turco a Stoccolma, Hakki Emre Yunt, ha indicato come prede degli appetiti di Ankara: deportazioni in cambio del sì all’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato, un cambio di paradigma rispetto a una neutralità storica sulla spinta della guerra in Ucraina, che Erdogan ha saputo subito intercettare.
Yunt ha poi ha ritrattato, ma tant’è: al cuore della narrazione turca sta l’idea che quelli scandinavi siano Stati-santuario del Pkk, il movimento di liberazione curdo di cui – in ogni caso – Kakabaveh non è mai stata parte. L’abbiamo raggiunta al telefono.
Ankara ha ipotizzato la sua estradizione, seppur non sia cittadina turca. Qual è stata la reazione della Svezia?
È scandaloso che il governo turco e il suo ambasciatore chiedano la mia deportazione in un paese di cui tra l’altro non sono cittadina. Si sono permessi di attaccare la parlamentare di un paese democratico europeo e chiederne l’estradizione.
È terribile che abbiano il potere di farlo e di non subire alcuna conseguenza: Stoccolma non ha detto quasi nulla, non vuole perdere la possibilità di entrare nella Nato. Alcuni partiti svedesi hanno condannato la richiesta della Turchia, ma non il governo.
Una richiesta illegale che potrebbe avere conseguenze nell’ambito del negoziato tra Stoccolma e Ankara?
È del tutto illegale, è impossibile che la Svezia lo permetta. Detto questo, quel negoziato porta con sé pericoli ben più probabili, a partire dallo stop all’embargo militare contro la Turchia. È inaccettabile che si negozi con regimi fascisti come quello turco, è una dittatura. Nella Nato ci sono paesi autoritari, ma il livello di democrazia in Turchia è pressoché nullo.
Il governo della Turchia la accusa di essere parte del Pkk.
Non sono né sono mai stata parte del Pkk, Ma non è importante: chiunque lavori per i diritti umani dei curdi, a favore dell’autodeterminazione curda o contro Daesh è chiamato da Erdogan «terrorista».
I curdi hanno combattuto contro l’Isis, in prima linea. Come curdi chiediamo il rispetto dei nostri diritti in tanti paesi diversi.
Il problema è che la Turchia è nella posizione di poter esprimere la propria narrazione nel consesso internazionale ed europeo. I leader europei negoziano con Erdogan, lo hanno fatto sulla questione dei rifugiati siriani riconoscendo ad Ankara molti soldi.
Il prossimo anno Erdogan si trova ad affrontare le elezioni e ha bisogno di vendicarsi dopo la sconfitta a Istanbul e Ankara nelle amministrative passate (nel marzo 2019, ndr). È la politica interna a guidare le sue scelte internazionali. È debole e attacca i curdi, in Kurdistan e nella diaspora. È nazionalismo fascista.
La Svezia ha aperto la porta a molti rifugiati curdi, ma allo stesso tempo è stato il secondo paese dopo la Turchia a inserire il Pkk nella lista del terrorismo. Qual è oggi la posizione di Stoccolma?
In Svezia vivono decine di migliaia di curdi, sono presenti da decenni, hanno famiglie, lavoro, imprese. È la diaspora curda più ampia dopo la Germania. La posizione del governo, sfortunatamente, è la stessa della Ue: il Pkk è nella lista del terrorismo. Ma finché sarà in quella lista, la questione curda non sarà risolta. È importante dunque che il Pkk sia rimosso da quella lista.
Va ricordato che Erdogan ha negoziato con il Pkk fino al 2015: ha abbandonato il tavolo e iniziato un’offensiva contro ogni movimento curdo quando ha cominciato ad avere problemi interni, economici, elettorali.
Lei è contraria all’ingresso della Svezia nella Nato.
Sono completamente contraria. Sono contro la guerra e sono contro l’invio di armi all’estero. Non voglio che la Svezia invii armi ad altri paesi perché questo incrementa solo morte e guerra. Le armi inviate in Medio Oriente ci uccidono.
La posizione neutrale della Svezia era una voce per la pace e la solidarietà, almeno sulla carta. Oggi, all’improvviso, ha cambiato la sua posizione dopo duecento anni di neutralità. È un grande dolore.
* da il manifesto
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