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Le elezioni in Francia fanno precipitare una crisi politica inedita

Domenica 19 giugno si è svolto il secondo turno delle elezioni politiche in Francia. Con una battuta, potremmo dire che il quadro è chiaro, ma la situazione estremamente incerta.

L’unica cosa fuori di dubbio è che esce sconfitta la coalizione della maggioranza governativa, Ensemble, con tre membri del governo e figure storiche della macronie – come Castaner – che non vengono rielette, mentre il contestato ministro dell’istruzione Blanquer era uscito di scena già al primo turno.

Il partito del Presidente (LREM) perde quasi metà dei seggi, ne aveva 314 nel giugno del 2017, ne ha circa 160 oggi.

Per ottenere una maggioranza assoluta che gli avrebbe permesso di governare senza mediazioni, la coalizione di Macron avrebbe dovuto eleggere almeno 289 deputati, ma ne totalizza solo 247.

Mancano insomma ben 42 deputati per poter governare il Paese.

I gaullisti – se si vuole tenere fede alle parole del loro leader, Christian Jacob – si manterranno all’opposizione. La vecchia formazione di Nicolas Sarkozy – era il primo partito d’opposizione nel 2017, ora sono la quarta formazione politica – non andrà in soccorso di Macron con i loro 64 deputati per formare un “patto di coalizione”.

I quadri dirigenti della formazione dovranno discutere della questione in un “comitato strategico” che si annuncia cruciale.

Quella del presidente francese è una battuta d’arresto, che non ha per ora soluzioni all’orizzonte e che sancisce, allo stesso tempo, la fine dell’egemonia di quella oligarchia continentale di nazionalità francese di cui è espressione.

Una sconfitta che determina l’impasse del suo ruolo di pivot nel rilancio del processo di integrazione europeo attraverso la formula del Triangolo di comando (Francia, Germania ed Italia) e dei suoi piani di austerità per le classi popolari dell’Esagono.

Il primo partito di opposizione è la NUPES (Nuova Unione Popolare Ecologista e Solidale) con ben 142 deputati; un risultato storico per la coalizione della sinistra radicale che è riuscita a “ribaltare” il quadro emerso dal ballottaggio per le presidenziali, dove il presidente era stato rieletto solo grazie al barrage del fronte repubblicano contro la Le Pen, che comunque aveva superato il 40% dei voti.

Certamente è lontana da raggiungere la maggioranza parlamentare e fallisce l’obiettivo di far eleggere Mélenchon a capo del governo, ma la sua parabola ha comunque qualcosa di straordinario.

Anche senza avere ottenuto la maggioranza, sarà la “spina nel fianco” di un qualsiasi governo, se mai dovessero formarne uno in grado di legiferare, ed il “delegato politico” di un blocco sociale formatosi in questi anni di lotte a cui ha dato degna rappresentanza politica ed un programma – in 650 punti – che ne è la migliore sintesi.

In più, a livello parlamentare, la NUPES può pretendere di occupare posti importanti, cioè i principali posti chiave a Palais-Bourbon, attribuiti grazie agli scrutini interni, come la Presidenza della commissione delle finanze, la vice-presidenza dell’Assemblea Nazionale, ecc, e la possibilità di avere un peso notevole nell’influenzare alcuni testi importanti; sul potere d’acquisto, per esempio o sull’azione climatica, per fare solo alcuni esempi delle priorità elaborate dalla formazione.

Una cosa è fare la “guerriglia parlamentare” con i 17 deputati della LFI eletti nel 2017, tutt’altra è essere il primo partito d’opposizione con 142 deputati…

La sinistra radicale, dopo la capitolazione di Syriza e la scelta di governare con il PSOE fatta da Unidos-Podemos (di fatto in funzione “subordinata”), nonché la fine dell’esperienza portoghese dell’appoggio esterno al governo dei socialisti – sia del PCP che del “Blocco di Sinistra” – torna ad essere un soggetto politico assoluto rilievo in un paese, tra l’altro, del calibro della Francia, con una alleanza che è riuscita a combinare la formazione di un fronte ampio, radicalità dei contenuti ed un notevole consenso.

Il Rassemblement National, ex FN, di Marie Le Pen conferma il suo exploit elettorale, conquistando 89 deputati, moltiplicando per 10 il numero degli eletti rispetto al 2017, divenendo così la terza formazione nel quadro della rappresentanza politica istituzionale.

Una Francia, tripolare quindi, in cui le storture del sistema politico-istituzionale della V Repubblica raggiungono il loro punto più elevato – e forse di non ritorno – e dove per la prima volta dalla “sincronizzazione” del calendario elettorale tra elezioni presidenziali e politiche (stabilito una ventina di anni fa) la maggioranza uscita dalle urne non può governare.

Con una guerra in corso ed una crisi sociale galoppante, lo scenario politico in Francia è una sorta di “tempesta perfetta”.

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