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La Corte Suprema degli Stati Uniti ha revocato il diritto all’aborto

La Corte Suprema americana ha cancellato la storica sentenza Roe v. Wade che per oltre 50 anni aveva protetto il diritto all’aborto. Ora gli Stati sono liberi di vietare l’interruzione di gravidanza.

Si tratta di un “terremoto costituzionale” che avrà conseguenze sugli anni a venire.

I tre giudici liberal – Stephen Breyer, Sonia Sotomayor e Elena Kagan – hanno votato contro: “Con dispiacere – per questa Corte, ma soprattutto per i molti milioni di donne americane che oggi hanno perso una fondamentale protezione costituzionale – dissentiamo“.

La cancellazione della sentenza è stata sostenuta da cinque giudici conservatori, tra cui i tre nominati dall’ex presidente Donald Trump.

Il presidente della Corte Suprema, John Roberts, non si è unito alla maggioranza, facendo presente di non volere il ribaltamento della sentenza Roe v. Wade, ma di sostenere la legislazione del Mississipi che vieta gli aborti dopo 15 settimane.

La Roe vs Wade è stata sbagliata fin dall’inizio in modo eclatante“, scrive il giudice della Corte Suprema Samuel Alito nel dispositivo con cui è stata annullata la storica sentenza con cui nel 1973 si stabilì il diritto costituzionale all’aborto negli Stati Uniti.

Il suo ragionamento – aggiunge – è stato eccezionalmente debole, e la decisione ha avuto conseguenze dannose“. “Ha infiammato il dibattito – continua – e allargato le divisioni“.

Con l’annullamento della sentenza storica ‘Roe v Wade’, più di metà dei cinquanta Stati americani potranno immediatamente vietare il ricorso all’interruzione di gravidanza, impattando la vita di decine di milioni di persone.

Storicamente la Corte Suprema, quando ribaltava una sentenza, lo faceva per ampliare i diritti, mentre stavolta li riduce. Ma troverà molti Stati conservatori pronti a raccogliere l’invito.

Ventisei sono quelli che aspettavano il via libera, di questi tredici sono in grado di dichiarare subito illegale l’aborto. In maggioranza sono Stati del Sud e del Midwest.

La Louisiana, per esempio, ha una legge che può entrare in vigore subito. L’Idaho, tra trenta giorni. Il Michigan ne ha una che, al momento, è ferma in tribunale. Un altro gruppo di Stati vuole vietare l’aborto nei primissimi stadi, quando ancora le donne non sanno neanche di essere incinte.

Uno è la Georgia, dove l’aborto verrà vietato al sesto mese di gravidanza. Il Texas ha messo in campo una serie di divieti su più livelli, con la costituzione di una sorta di ‘stato di polizia’ per denunciare chiunque aiuti una donna a procedere all’interruzione di gravidanza.

Per abortire, milioni di persone dovranno affrontare viaggi di migliaia di chilometri o fare a casa, da soli, di nascosto, come negli anni ’50. Secondo il Centro per i diritti riproduttivi, più del 58 per cento delle donne in età fertile – una percentuale equivalente a quaranta milioni di persone – vive in Stati che sono contrari all’aborto.

La decisione della Corte non significa che, automaticamente, c’è una legge nazionale che ne stabilisce il divieto. Quella spetterà al Congresso, con la possibilità che, se le previsioni per le elezioni di Midterm a novembre verranno confermate, sia alla Camera sia al Senato i repubblicani anti-abortisti saranno maggioranza. Ma bisogna vedere con quali numeri. 

Per essere approvata, una legge ha bisogno della maggioranza dei rappresentanti della Camera e di almeno 60 voti al Senato, e poi della firma del presidente degli Stati Uniti, in questo caso Joe Biden, un cattolico ma contrario a limitare i diritti delle donne. Al momento al Senato la situazione vede cinquanta Democratici e cinquanta Repubblicani.

I conservatori dovrebbero cercare di conquistare almeno una maggioranza di otto senatori, e poi puntare sull’appoggio di quei moderati incerti, tra cui Joe Manchin, che spesso ha oltrepassato il confine per votare assieme ai Repubblicani.

In ogni caso restano gli Stati in cui questo diritto persisterà, come California e New York. Rimane un dato statistico: con questa decisione gli Stati Uniti diventano una delle quattro nazioni al mondo ad annullare il diritto all’aborto dal 1994, e il più sviluppato.

L’unica possibilità che l’America progressista ha di salvare la ‘Roe v Wade’ è di farlo attraverso una legge, vincendo nettamente le elezioni di novembre. Missione quasi impossibile, ma di fatto da oggi l’aborto sarà il tema centrale su cui i Democratici punteranno per rianimare un elettorato meno motivato di due anni fa.

Ma è anche chiaro che gli Stati Uniti “trumpiani” del prossimo futuro non potranno gestire l’immagine dell’imperialismo anglosassone come un “faro di civiltà”, come straccamente stanno facendo ancora oggi.

Sul piano culturale, in generale, si tratta infatti di un clamoroso passo indietro di quasi un secolo, che riporta gli Usa a un livello ormai superato da tutta l’umanità. E diventa quasi un simbolo – o un sintomo – di quanto l’imperialismo ad egemonia statunitense sia diventato allo stesso tempo reazionario, retrogrado e pericoloso per la propria stessa popolazione, oltre che per il resto del mondo.

Un sistema che non sa più dove andare – avendo fatto del profitto il proprio unico faro-guida – e che perde anche l’ultimo straccio di “progressismo”.

Ricordiamo sommessamente che proprio i “diritti civili” sono stati la bandiera agitata scompostamente nel mentre venivano aboliti tutti i diritti sociali (sanità e istruzione pubblica, welfare, salari decenti, ecc). Caduto anche questo ultimo velo, non resta che la brutale realtà di un sistema – indifendibile – di sfruttamento dell’essere umano e del pianeta, disegnato per concentrare ricchezza e potere nelle mani di pochissimi.

Principalmente maschi, ma non solo…

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