Non c’è pace a est dell’Europa. Nella notte sono infatti ripresi i combattimenti al confine fra Armenia (filorussa) e Azerbaijan (filotruco). Dalle ultime notizie arrivate sembra che questa mattina sia stato raggiunto un cessate il fuoco.
Le autorità dei due Paesi si accusano reciprocamente di aver dato il via ai nuovi scontri armati che hanno provocato un numero imprecisato di morti e feriti.
Secondo quanto riferito dai media, questa mattina prima del cessate il fuoco il portavoce del ministero della Difesa armeno, Aram Torosyan, aveva affermato che “non ci sono cambiamenti significativi nella situazione al confine armeno-azerbaigiano” e sono ancora in corso dei “combattimenti” in alcune parti del confine. “Le forze azerbaigiane non stanno cessando i loro tentativi di avanzare”, ha detto il portavoce durante un briefing. “Il nemico continua a usare artiglieria, colpi di mortaio, Uav e armi di grosso calibro in direzione di Vardenis, Sotk, Artanish, Ishkhanasar, Goris e Kapan, prendendo di mira infrastrutture sia militari che civili”, ha aggiunto Torosyan, osservando che gli addetti militari del corpo diplomatico di stanza a Erevan sono stati informati sulla situazione e che la leadership politico-militare dell’Azerbaijan ha l’intera responsabilità degli sviluppi.
Le autorità dell’Azerbaijan respingono le accuse e parlano di nuova provocazione armena. “Le forze armate armene hanno commesso una provocazione su larga scala nelle aree di Dashkasan, Kalbajar e Lachin”, si legge in un comunicato del ministero della Difesa dell’Azerbaijan. Il governo di Baku riporta che le forze armate armene hanno utilizzato diversi tipi di armamenti, fra cui dei mortai. “Di conseguenza, ci sono vittime e feriti tra il personale delle nostre forze armate e danni alle infrastrutture militari”, si legge nel comunicato. L’Azerbaijan ha inoltre respinto le accuse su “presunti attacchi alla popolazione civile, edifici e infrastrutture” di vario genere: tali informazioni “non riflettono la verità e sono è un’altra disinformazione diffusa dalla parte armena”. Sia da Erevan, sia da Baku giungono informazioni non dettagliate sul numero di vittime e persone ferite a causa dei nuovi combattimenti.
In virtù del Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza tra Armenia e Russia, il Consiglio di sicurezza armeno ha già chiesto aiuto a Mosca, alle prese già con le sue operazioni militari in Ucraina.
Erevan ha fatto anche appello, ufficialmente, all’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (Csto) e al Consiglio di Sicurezza Onu, per l’aggravarsi della situazione, mentre il premier armeno, Nikol Pashinyan, ha sentito separatamente al telefono i presidenti russo e francese, Vladimir Putin ed Emmanuel Macron, e il segretario di Stato Usa, Antony Blinken.
Tutti e tre, secondo le note arrivate dalle rispettive capitali, hanno definito “inaccettabile” la nuova escalation.
Le tensioni mai sopite lungo la sensibile frontiera tra i due Stati si sono acuite la scorsa settimana, quando l’Armenia ha accusato l’Azerbaigian di aver ucciso uno dei suoi soldati, in uno scambio di colpi di artiglieria nell’Est del Paese; accuse respinte da Baku che le ha definite “una menzogna”.
Sul conflitto Armenia-Azerbaijan vedi anche:
Nagorno Karabakh. Bombardata la capitale, scontri lungo il confine
Escalation nel Nagorno Karabach. La Turchia rivendica l’intervento
Il Cremlino ferma la guerra nel Nagorno Karabach
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Gianni Sartori
NONOSTANTE LA REPRESSIONE CURDI E ARMENI ORGANIZZANO L’AUTODIFESA
Gianni Sartori
Sappiamo che la popolazione curda del Rojhilat (Kurdistan sotto amministrazione iraniana) detiene il record non invidiabile del maggior numero di giustiziati (in percentuale) del pianeta. Per non parlare di quelli morti sotto tortura. L’ultimo episodio di cui si è venuti a conoscenza riguarda Mehsa Emini, una giovane donna di origine curda arrestata a Téhéran perché non portava correttamente il velo (“hijab”) e deceduta dopo tre giorni di coma.
Sappiamo anche che in Turchia molti prigionieri politici curdi (e anche turchi della sinistra rivoluzionaria) vengono letteralmente spinti al suicidio. Pare che al rientro in cella dopo aver subito la tortura talvolta trovino un cappio già appeso…e in certe situazioni anche il suicidio può apparire preferibile ai maltrattamenti e alle umiliazioni a cui vengono sottoposti.
Ma almeno formalmente in Turchia la pena di morte era stata interdetta.
Verrebbe ora arbitrariamente reintrodotta nei territori curdi del nord della Siria invasi da Ankara (come in Afrin, sotto occupazione turco-jihadista ormai da quattro anni). Il tribunale militare di Azaz ha condannato alla pena capitale il ventiduenne curdo Hisên Yusif, sequestrato circa un anno fa da membri dei servizi segreti turchi (MIT).
Contemporaneamente almeno quattro dei suoi familiari sono stati condannati a pene variabili dai 24 ai venti anni di carcere.
Per tutti l’accusa è di essere stati in contatto con la precedente amministrazione autonoma.
Tuttavia, nonostante la repressione, nel Rojava la resistenza delle popolazioni non appare ancora annichilita. E non solo la comunità curda, ma anche gli armeni si organizzano per l’autodifesa.
In particolare le donne.
Il 31 agosto (a 107 anni dal genocidio armeno) decine di delegate si sono riunite a Hassaké, nel Rojava per costituire il Consiglio delle donne armene del nord e dell’est della Siria. Stando a quanto dichiarava in un’intervista (diffusa dall’agenzia di stampa Mezopotamya) la portavoce Anahit Qesebiyan “prima della conferenza erano state organizzate un’ottantina di riunioni in varie località allo scopo di raggiungere tutte le donne armene della regione”. Ovviamente non erano mancate le difficoltà a causa dei “continui attacchi aerei della Turchia”. Ma questi“non hanno potuto frenare il nostro entusiasmo” come ha confermato l’ampia partecipazione delle delegate (oltre 150), provenienti sia da Dêrîk che da Aïn Issa e Raqqa.
Anahit Qesebiyan ha ricordato come, a oltre un secolo dal genocidio, le conseguenze di quei massacri sono ancora visibili. Per esempio “durante la preparazione del congresso abbiamo toccato con mano l’elevato grado di alterazione culturale e linguistica che permane in molte donne armene. Donne che da anni vivono in comunità arabe, curde, assire…in contesti patriarcali e sotto l’influenza del regime”.
L’intento è quello di “riportare queste donne alle loro radici culturali, alla loro lingua, alla loro storia”. In sostanza sottrarle al lungo processo di colonizzazione subito. Ma anche “educarle all’autodifesa contro ogni genere di aggressione, sia fisica che ideologica, per evitare che le condizioni del genocidio e del massacro delle donne in particolare si riproducano”. Da questo punto di vista la Rivoluzione del Rojava rappresenta una fonte di incoraggiamento. “Rinforzando il nostro lavoro nell’amministrazione autonoma, vogliamo reagire sia alle conseguenza del genocidio di 107 anni fa che ad eventuali nuovi attacchi”. Con questa conferenza, ha concluso “abbiamo mostrato agli assassini che siamo sempre pronte, in piedi contro le aggressioni”.
Gianni Sartori
Gianni Sartori
TU QUOQUE, ARMENIA ?
Gianni Sartori
Cosa dire? Semplicemente uno schifo.
Il mese scorso (ma la conferma è solo di questi giorni) l’Armenia ha estradato Leheng e Alişer, due esponenti delle HPG (Forze di Difesa del popolo, braccio armato del PKK), verso la Turchia. Falsamente Ankara l’aveva mascherato come il risultato di un’operazione del MIT (i servizi segreti turchi) nel campo per rifugiati di Makhmour (nel Kurdistan del sud).
Nel comunicato delle HPG si legge che “i compagni Leheng et Alişer avevano incontrato i soldati dello Stato armeno nella zona di frontiera con l’Armenia nell’agosto del 2021 e avevano agito con prudenza per evitare situazioni negative”.
Quindi i due curdi venivano arrestati e imprigionati. A seguito di un contenzioso giuridico davanti alla Corte d’appello avevano ottenuto un verdetto favorevole alla loro rimessa in libertà il 23 febbraio 2022. Ma invece di essere liberati venivano prima prelevati e trattenuti dai servizi segreti armeni e poi, circa un mese fa, estradati in Turchia.
Secondo le HPGl l’Armenia avrebbe “violato le norme giuridiche internazionali e le stesse proprie leggi”.
Il comunicato prosegue denunciando che trattare in questo modo “dei rivoluzionari che lottano per l’esistenza e la libertà del loro popolo, consegnandoli allo Stato turco è una vergogna per l’Armenia”.
In precedenza, il 14 settembre, l’ufficio stampa delle HPG aveva già segnalato l’estradizione di altri due curdi dall’Irak verso la Turchia. Smentendo anche in questo caso la versione ufficiale di Ankara, ossia che si trattava di “brillanti operazioni esterne” del MIT a Makhmour.
Tali episodi risultano particolarmente disgustosi se pensiamo allo stillicidio di prigionieri politici curdi che in carcere perdono o si tolgono direttamente la vita. In molti casi ritengo si dovrebbe parlare di “suicidio indotto” se, come confermano diverse testimonianze, dopo aver subito maltrattamenti e torture, quando rientrano in cella i prigionieri rischiano di trovare un cappio già pronto.
A volte può sembrare una via d’uscita (o anche una forma estrema di protesta, l’unica consentita) per sfuggire alle sofferenze.
L’ultimo caso, per ora, è quello del venticinquenne Barış Keve, rinchiuso da una settimana in una cella di isolamento del carcere di tipo T di Malatya Akçadağ. Condannato a sei anni e tre mesi per “appartenenza a un’organizzazione terrorista”, Keve era stato arrestato a Edirne. Trasferito nella prigione di Malatya Akçadağ, veniva immediatamente posto in isolamento per “sanzione disciplinare”. Alla notizia della morte per presunto suicidio (arrivata dall’amministrazione penitenziaria nel cuore della notte il 18 settembre) il fratello del giovane defunto, ha dichiarato di avergli parlato per l’ultime volta (per telefono presumo) venerdì 16 settembre e di non aver colto nessun intento negativo in Barış.
Gianni Sartori
Gianni Sartori
IL TRADIMENTO DELL’ARMENIA NEI CONFRONTI DEI CURDI DURAMENTE STIGMATIZZATO ANCHE DA MOLTE ORGANIZZAZIONI ARMENE
Gianni Sartori
La notizia che l’Armenia aveva consegnato ai servizi segreti turchi (MIT) due militanti curdi arrestati nel 2021 è stata accolta prima con stupore e poi con indignazione da numerose organizzazioni armene, sia in Armenia che nella diaspora.
Per il deputato armeno Gegham Manukyan (esponente della Federazione Rivoluzionaria Armena) non si sarebbe “mai visto un tradimento di tale portata negli ultimi trent’anni”.
Parlando dei due curdi estradati ha detto che essi “avevano combattuto a Dersim, la regione dove molti nostri compatrioti sono stati soccorsi dai curdi all’epoca del genocidio armeno e hanno in seguito preso parte all’insurrezione di Dersim. Ora i due curdi si trovavano nel territorio della Repubblica di Armenia e sono stati prelevati e consegnati alle autorità assassine della Turchia. Uno stato – ha voluto sottolineare Manukyan – che ha attivamente preso parte alla guerra di 44 giorni contro di noi e sostiene tuttora l’aggressione dell’Azerbaigian”.
Protesta anche il Consiglio di coordinamento delle organizzazioni armene in Francia (CCAF). In un comunicato del 25 settembre si legge che il CCAF “ha preso conoscenza con stupore della consegna da parte dell’Armenia alla Turchia di due militanti curdi delle HPG che erano stati arrestati un
anno fa e poi rimessi in libertà per una decisione della Corte di cassazione”. Continua sostenendo che “niente può
giustificarequesta misura” e di attendere spiegazioni dalle autorità armene per questo atto definito “vergognoso”.
Ricorda anche che “le organizzazioni curde hanno fatto il loro dovere nei confronti della memoria storica riconoscendo e condannando il genocidio degli Armeni (a cui sotto la spinta dei Turchi parteciparono alcune tribù curde, come a suo tempo aveva onestamente riconosciuto il parlamento curdo in esilio nda) e hanno sempre manifestato la loro solidarietà nei confronti dell’Armenia e dell’Artsakh”.
Aggiungendo che le organizzazioni armene della Francia hanno sempre dato il loro sostegno “alla resistenza del popolo curdo e alla sua lotta contro lo Stato fascista turco”.
Non potrebbero inoltre mai “approvare delle misure così contrarie ai principi democratici, al diritto dei popoli e alla solidarietà che deve esistere tra popoli oppressi”.
Anche perché è facile prevedere quali conseguenze potrebbero esserci sul piano della violazione dei diritti umani, un terreno in cui la Turchia spesso si è resa responsabile di violazioni nei confronti dei prigionieri politici.
In conclusione il CCAF riafferma con forza il suo “sostegno totale alla lotta del popolo curdo”.
Da segnalare anche, da parte curda, la dura presa di posizione del KCK (Koma Civakên Kurdistanê – Unione delle comunità del Kurdistan) che qualifica la misura presa dal governo armeno di Pashinyan come “tradimento”, esortandolo a interrompere immediatamente i suoi rapporti di collaborazione con lo Stato turco, presentando le proprie scuse sia al popolo armeno che al popolo curdo.
Questo il comunicato del KCK:
“I nostri amici Leheng (Atilla Çiçek) e Alişer (Hüseyin Yıldırım) sono stati recentemente consegnati alla Turchia dallo Stato armeno. (…) Leheng et Alişer, nuovamente imprigionati dal governo armeno dal novembre 2021 (dopo che in primo tempo erano stati liberati nda) sono stati consegnati allo Stato turco con il tradimento. Con notizie false si è cercato di mascherare l’operato dello Stato armeno (inventando una cattura operata dal MIT in un campo profughi del Kurdistan del sud nda). E’ significativo che il governo armeno abbia consegnato due rivoluzionari curdi – che combattono per la libertà del popolo curdo e che si erano recati in Armenia all’interno di una operazione della resistenza – allo Stato turco nel momento in cui il territorio armeno è occupato con il sostegno della Turchia. Questo rivela chiaramente che il governo Pashinyan collaboracon lo Stato turco colonialista e genocida e con il governo fascista AKP-MHP.
Come Movimento curdo per la libertà, condanniamo fermamente il governo Pashinyan per il suo comportamento collaborazionista”.
Infatti appare evidente che – mentre le terre armene sono sotto occupazione anche grazie alla Turchia -invece di sostenere chi combatte la Turchia il governo armeno si rimette alla volontà di Ankara.
Questo gesto rappresenterebbe anche “un tradimento della lotta del popolo armeno contro il genocidio”.
In sostanza il governo Pashinyan avrebbe tradito sia la causa dei popoli in generale, sia quella del popolo armeno in particolare. Oltre a quella dei curdi ovviamente.
“La lotta per la liberazione del Kurdistan – prosegue il comunicato del Koma Civakên Kurdistanê – non è soltanto per la libertà del popolo curdo, ma anche per la libertà di tutti i popoli della regione, in particolare per quella del popolo armeno. Il popolo curdo considera il popolo armeno come suo prossimo e il paese in cui vive come una patria comune e sostiene la loro causa”.
Dopo aver evocato i reciproci “sentimenti positivi” tra i due popoli, il KCK garantisce che comunque l’operato dei collaborazionisti non potrà danneggiare l’amicizia e la fraternità tradizionali tra i due popoli. Al contrario consentiranno ai popoli curdo e armeno di “impegnarsi in una lotta comune ancora più vigorosa”.
Gianni Sartori