Si è ormai conclusa anche quest’anno la settimana organizzata dall’associazione “Per non dimenticare” svolta in Libano per ricordare e denunciare pubblicamente dopo 40 anni, l’impunibilità per i mandanti del massacro di Sabra e Chatila. Una richiesta di giustizia per tutte quelle vittime ormai scomparse e che nessuno Stato occidentale vuole ricordare.
Forse perchè esiste un legame profondo che collega quella strage a tutte le lotte per la libertà, indipendenza e dignità condotte in tutti questi anni dal popolo palestinese. Dentro e fuori i territori occupati. Dentro e fuori la terra di Palestina.
Il viaggio si è svolto alternando le visite presso i principale campi profughi palestinesi con conferenze di approfondimento sulla questione palestinese ed incontri con intellettuali ed esponenti politici locali. Un lavoro condotto dall’Associazione, da oltre 18 anni, con l’obiettivo politico di rivendicare, in quella terra Libanese, il “diritto al ritorno”, all’esistenza e ad una vita dignitosa del popolo palestinese.
Stefania Limiti con il suo scritto, oltre ad annunciare la nostra partenza, ha ricordato le specifiche che hanno caratterizzato quel massacro, le motivazioni e il contesto politico in cui si è compiuta quella mattanza di civili. Soprattutto giovanissimi uomini, donne e bambini inermi a cui era stata garantita protezione dalle forze occidentali.
Gli stessi Stati che pur di nascondere le proprie responsabilità nei confronti dell’Olocausto continuano a tollerare le violazioni dei diritti civili e del regime di apartheid installato da Israele nei territori occupati di Palestina.
Al di là delle celebrazioni ufficiali che come tutti gli anni hanno una sua importanza e specifica ritualità, sono emersi alcuni elementi politici importanti che vanno valorizzati e che non possono esimerci dal mantenere ed organizzarci affinché si possano concretizzare.
In particolare si fa riferimento alla possibilità di realizzare un “luogo della memoria” permanente, nell’area attualmente occupata per commemorare le uccisioni e l’istituzione di un Museo di ricordo delle vittime della Strage di Sabra e Chatila.
E’ stato proprio il Sindaco della municipalità di Gobheiry, Haj Ma’an Alkhalil ad annunciare finalmente la decisione di avviare una raccolta fondi volta ad acquisire l’area dove, non solo ogni anno si svolgono le celebrazioni del ricordo ma anche, è bene ricordarlo, sono stati sepolti, proprio ad opera di quegli aguzzini, le vittime del massacro. Una fossa comune chiusa con le ruspe e dove alcune persone ancora vive, in quei giorni di sangue, hanno visto il buio intorno a loro diventare eterno.
Erano almeno sei anni che, venuti a conoscenza della richiesta della proprietà del terreno di volerne tornarne in possesso, insieme al nostro referente locale, Associazione Assomoud, avevamo cercato d’interagire con la municipalità locale, l’ambasciata palestinese e le organizzazioni politiche locali affinché si potesse concretizzare quel progetto. Ed è forse per questo che speriamo che non sia solo un annuncio fatto per dominare le celebrazioni per il 40° della Strage.
Ci rincuora anche il fatto che tra gli obbiettivi vi è anche quello d’indire un concorso internazionale volto a coinvolgere importanti scultori per la realizzazione di un opera unica che possa rappresentare quell’orrenda strage.
Un altro importante evento è stato l’inaugurazione del Museo delle vittime e degli scomparsi della Strage di Sabra e Chatila allestito a Beirut nel quartiere di Gobheiry, presso la sede dell’Associazione AMEL.
Grazie alla volontà del titolare dell’associazione, il filantropo Dott.Kamel Mohanna, annunciata proprio a Roma nel novembre scorso durante il Premio internazionale Stefano Chiarini, che si è cominciato ad allestire un piano di quel palazzo.
E’ proprio lo stesso Dott. Kamel, durante l’inaugurazione svolta alla nostra presenza che ha definito che:
“Questo è il primo passo per realizzare un luogo dove possano essere raccolti indumenti, documenti, testimonianze di tutte quelle persone che sono scomparse o che sono state trucidate in quei giorni. Penso anche che l’obiettivo dovrebbe essere, oltre ad ingrandire questo luogo, anche quello di poter rendere itinerante questa esposizione in modo da poterla trasferire anche in Europa e altrove per rivendicare il diritto alla giustizia del Popolo palestinese”.
Lasciamo il Libano sapendo che l’inflazione galoppante ed assurda che sta letteralmente impiccando una società tanto da indurre i correntisti a compiere delle rapine per poter entrare in possesso dei loro risparmi, non renderà facile la vita ai profughi palestinesi privati di ogni diritto e relegati ai campi da oltre 75 anni.
Una situazione esacerbata anche dalla diatriba scoppiata tra Israele e Libano, con l’intermediazione degli USA, per l’estrazione del gas al largo della sua costa. L’ennesima prepotenza israeliana che è in grado di poter provocare un’ulteriore guerra tra i due paesi. La stessa che da anni è in atto in terra di Palestina.
Territori occupati dove, proprio in questi giorni, la tensione e gli scontri sta salendo in modo preoccupante. E forse non è un caso se nel campo di Beddawi, dopo anni ci riceve anche il Segretario Generale dall’Organizzazione Liberazione della Palestina (OLP) in Libano, da tempo assente nei nostri incontri.
Sempre più nascono e si sviluppano delle rivolte di tanti giovani palestinesi che la repressione senza senso delle forze di polizia ed esercito israeliano, non fa che aumentare. Compreso, purtroppo, anche il numero delle giovanissime vittime.
Figli dei figli, dei figli, di quella Nakba che ha costretto molti di quel popolo a lasciare le loro terre e finire in campi profughi o restare e subire l’umiliazione di veder quotidianamente tentare di cancellare la propria cultura. A partire dal cambiare il nome ai loro stessi paesi ed essere poi considerati esseri inferiori ed estranei a casa propria.
Una situazione che anche attraverso la nostra attività quotidiana abbiamo il dovere di tentare di cambiare, anche contro i nostri stessi Governi filo israeliani. Perché il Diritto degli uomini deve essere considerato come questione principale. Prima di ogni organo di Stato costituito, qualunque esso sia.
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