Secondo il New York Times, il volume di scambi commerciali tra la Russia e una serie di paesi europei, a dispetto delle sanzioni, è cresciuto negli ultimi mesi, rispetto al triennio 2017-2020. È vero che una grossa parte delle esportazioni russe ha semplicemente cambiato rotta, dirigendosi verso Cina, Turchia, India e altri paesi, ma anche una serie di paesi occidentali non hanno completamente interrotto gli scambi con Mosca.
Soprattutto, le esportazioni dalla Russia non sembrano aver troppo risentito delle sanzioni, anche grazie a “eccezioni” autorizzate a Bruxelles e Washington per l’importazione di prodotti energetici russi, oppure con espedienti diversi che, per dirne solo una, trasformano il petrolio russo, attraverso miscelazioni, raffinamenti e altro, in “europeo” e quindi non più soggetto a sanzioni.
In ogni caso, se fino al 2019 il 25% del petrolio russo esportato via mare andava a India e Cina e il 55% verso l’Europa, allo scorso settembre le quote si erano invertite: 29% a paesi UE e 55% a Cina e India.
In sostanza, per un calo delle esportazioni russe (calcolate su base mensile fino allo scorso agosto) ad esempio, del 81% o del 86% verso Gran Bretagna o Svezia, o del 20% verso gli USA, sono cresciute del 430% quelle verso India, o verso Turchia (213%), Brasile (166%), Belgio (130%), Spagna (112%), Cina (98%), Olanda (74%), con un incremento del volume complessivo di scambi pari al 310% tra Russia e India, e 198% con Turchia, Brasile (106%), Belgio (81%), Cina (64%), Spagna (57%), ecc.
Il colpo più sensibile per l’Occidente, secondo il NYT, è quello dovuto alle importazioni di prodotti energetici dalla Russia – oltre 2/3 dell’export russo sono costituiti da petrolio, gas, metalli e minerali – senza i quali c’è qualche difficoltà per l’industria occidentale.
Il risultato è stato un discreto aumento dei prezzi di tali prodotti sui mercati mondiali, di cui Mosca sta beneficiando: ne è testimonianza, ad esempio, l’incremento degli scambi con Olanda o Belgio, in termini di valore, che riguarda però non solo prodotti energetici, ma nello specifico anche diamanti, nichel, rame.
Insomma, il lato “curioso” delle sanzioni occidentali contro la Russia – prendiamo di nuovo ad esempio il petrolio: nel 2020, il 12% mondiale del greggio esportato era russo, per 74,4 miliardi di dollari, oltre al 11% di derivati, per altri 48 mld $ nelle casse russe – è che se il prossimo dicembre scatteranno le sanzioni sul greggio e a febbraio 2023 quelle sui derivati petroliferi, si assisterà non a una diminuzione dell’export complessivo russo, ma semplicemente a un nuovo cambio di destinazione.
Si giungerà cioè a una situazione ridicola, osserva Komsomol’kaja Pravda, per cui, ad esempio, Emirati e Arabia Saudita acquistano con forti sconti greggio e derivati russi per il mercato interno, mentre esportano in Europa la propria produzione, a un prezzo quasi doppio di quello a cui comprano gli equivalenti prodotti russi.
In questa situazione, secondo l’americano Politico, Washington teme che un numero crescente di paesi europei rigettino le sanzioni antirusse. L’allarme sarebbe stato lanciato da funzionari yankee operanti in Europa: di fronte a sempre più ampi settori di popolazione di “sentimenti filo-russi”, infuriati per il costo sociale delle sanzioni, di cui accusano gli Stati Uniti, scrive Politico, alcuni governi europei potrebbero chiedere un’attenuazione o un ritiro delle sanzioni.
L’aumento dell’inflazione e gli alti costi delle materie prime, specialmente per riscaldamento, spingono le popolazioni a far «pressione sui governi affinché scelgano tra soluzione dei problemi interni e sostegno all’Ucraina»: dunque, la preoccupazione di Washington è quella di «spingere i leader europei ad attenersi alla strategia americana».
La segnalazione di anonimi funzionari yankee, citati da Politico, fa seguito a una analoga della CNN, basata su altrettanto anonimi funzionari UE e NATO, secondo cui, nel contesto di crisi energetica, inflazione, recessione, la compattezza UE a sostegno di Kiev potrebbe venir meno nel prossimo futuro.
All’inizio delle operazioni militari in Ucraina, osserva la CNN in riferimento alle forniture di armi occidentali alla junta di Kiev, «la reazione dell’Occidente era stata più aspra di quanto la Russia non si aspettasse».
Bontà sua, la CNN ammette che il mondo è però sempre più stanco del conflitto. A febbraio, dicono ancora gli anonimi funzionari NATO, era stato «facile allineare coloro che si oppongono a Putin»; ora, commenta la CNN, sullo sfondo di una minacciosa crisi energetica per l’Europa, i leader UE hanno difficoltà a giustificare le spese di «denaro ed energia per sostenere un paese lontano».
Tanto più che Washington, mentre impone agli “alleati” di spingere per le sanzioni, chiede alle banche statunitensi di non interrompere i rapporti con le imprese russe.
Secondo Bloomberg, Dipartimento di Stato e Ministero delle finanze avrebbero ufficiosamente invitato alcune delle maggiori banche, tra cui JPMorgan e Citibank, a mantenere legami con le compagnie russe.
In questo modo, l’Amministrazione yankee tenterebbe di minimizzare gli effetti negativi delle sanzioni; mentre una parte del Congresso, scrive Bloomberg, chiede un «inasprimento delle misure contro Mosca, la Casa Bianca tenterebbe di ostacolare l’avanzata della Russia, evitando una catastrofe economica globale».
Di nuovo, “anonimi” funzionari del Tesoro e del Dipartimento di Stato, invitano gli istituti di credito a non interrompere servizi di base, accordi, trasferimenti o finanziamenti commerciali alle imprese russe esenti da alcuni aspetti delle sanzioni, come Gazprom, Uralkalij o FosAgro, le cui produzioni di gas e fertilizzanti sono indispensabili a vari settori economici USA.
Fa da cornice a questo quadro il recente progetto di risoluzione, adottato a maggioranza dall‘Assemblea generale ONU, sul risarcimento a Kiev per i danni arrecati dalla Russia.
Sin dall’inizio delle operazioni militari, scrive Evgenij Umerenkov su Komsomol’skaja Pravda, l’Occidente ha cominciato a parlare di “risarcimenti e contribuzioni” che Mosca dovrebbe pagare a Kiev. Primo passo, era stato il «congelamento di quasi la metà delle riserve auree e valutarie russe, per 300 miliardi di dollari, nelle banche occidentali… Affinché però il vero e proprio furto apparisse come un “atto di giustizia”, era necessario creare una sorta di quadro giuridico internazionale pseudo-legale che trasformasse l’Occidente da un banale ladro in una specie di Robin Hood, che ruba a favore dei bisognosi».
Col voto all’Assemblea Generale – che, a differenza delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, ha carattere esclusivamente consultivo – Washington e Bruxelles elaboreranno un meccanismo che, camuffato da “opinione della comunità internazionale“, consenta di utilizzare i beni russi per rifornire Kiev di nuove armi, o coprirne i debiti per quelle fornite.
Sta di fatto, continua Umerenkov, che la risoluzione anti-russa redatta da quattro paesi, tra cui l’Ucraina, è stata sostenuta da 94 stati; 14 hanno votato contro, 73 si sono astenuti e 11 non hanno votato: vale a dire che 98 membri delle Nazioni Unite non hanno sostenuto la risoluzione.
Tra gli astenuti, ad esempio, l’India, che un paio di anni fa aveva calcolato in 45 trilioni di dollari (a prezzi correnti) il maltolto dell’Occidente in termini di tratta schiavistica, carestie, commercio dell’oppio, ecc.
Astenuti anche Vietnam e Iraq, che «ricordano troppo bene chi abbia cercato di “ripiombarli nell’età della pietra”. Hanno votato contro Cuba, Iran, Siria, anch’essi colpiti dagli attuali “zelanti della beneficienza”.
“Pertanto, questa novella, come i diplomatici chiamano il tema che apre la discussione, potrebbe avere un grande futuro. Avendo creato un precedente con la condanna della Russia, l’Occidente si è fatto da solo lo sgambetto».
O per dirla ancora una volta col grande Mao: i reazionari hanno sollevato una pietra…
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