Menu

In Medio Oriente si apre il “terzo fronte” di guerra?

Guerra sul campo in Ucraina. Guerra ibrida nel Mar Cinese. E adesso venti di guerra anche sul terzo fronte: il Medio Oriente.

Con gli attacchi aerei israeliani (e Usa) sull’Iran e in Siria e l’escalation guerra sul fronte interno in Palestina, il governo fascista di Netanyahu, in coordinamento con gli USA, si è assunto la responsabilità di aprire un “terzo fronte” di questa guerra mondiale a pezzi che ormai è cominciata. Occorre cominciare a leggere gli eventi bellici in Medio Oriente nel loro insieme e non più come episodi separati legati “alla sicurezza di Israele” come recitano a mo’ di litanìa le autorità di Tel Aviv e i governi occidentali.

Secondo il Wall Street Journal, è stata Israele ad effettuare sabato l’ attacco con i droni contro un complesso della difesa in Iran a Isfahan. Il WSJ cita dirigenti statunitensi e fonti a conoscenza dell’ operazione. Il raid ha colpito una fabbrica di munizioni nella città di Isfahan, proprio accanto a un sito appartenente all’Iran Space Research Center.

Il quotidiano statunitense che cita fonti interne all’amministrazione Usa, rileva che il direttore della Cia, William Burns, avrebbe fatto un viaggio in Israele la scorsa settimana proprio per discutere di queste operazioni.

L’attacco con un drone a una struttura di difesa nella città iraniana di Isfahan è stato condotto da Israele per proteggere i propri interessi di sicurezza e non per impedire le esportazioni di armi verso la Russia, secondo quanto riportato domenica dal New York Times. L’attacco di sabato è stato effettuato dall’agenzia di intelligence Mossad, secondo il quotidiano, che ha citato alti funzionari dell’intelligence statunitense. Il rapporto ha sottolineato che Isfahan è un hub per l’industria missilistica di Teheran dove viene assemblato il missile a medio raggio Shahab, che ha una gittata in grado di colpire Israele. Secondo lo statunitense Institute for Study of War “Questo attacco probabilmente aumenterà ulteriormente le preoccupazioni iraniane sulla presunta presenza dei servizi di intelligence israeliani in Azerbaigian e nel Kurdistan iracheno”.

Il sito militare iraniano ha subito danni minori a seguito dell’attacco dei mini-droni ma non ci sono state segnalazioni di vittime e feriti. I media iraniani riferiscono che uno dei droni è stato abbattuto dal sistema di difesa aerea e altri due dispositivi sono stati intercettati dai militari e fatti saltare in aria. Ma secondo agenzia Nova i raid sono avvenuti in sei diverse città iraniane e più volte è entrata in funzione la contraerea iraniana. L’ISW riferisce che esplosioni sono state sentite a Karaj, nella provincia di Alborz; Dezfoul, provincia del Khuzestan; e Hamedan City, provincia di Hamedan, nelle ore successive all’attacco dei droni.

L’agenzia di stampa iraniana IRNA ha descritto i droni come “quadcopter equipaggiati con proiettili”. I quadricotteri, il cui nome deriva dal fatto di avere quattro rotori, operano tipicamente a breve distanza con un controllo remoto. La televisione di Stato iraniana ha poi mandato in onda un filmato dei detriti dei droni, che assomigliavano a quadricotteri disponibili in commercio.

La scorsa settimana, gli Stati Uniti e Israele hanno condotto la loro più grande esercitazione militare congiunta coinvolgendo più di 7.500 militari in una serie di scenari nel Mediterraneo orientale per testare la loro capacità di eliminare i sistemi di difesa aerea e rifornire jet, operazioni che potrebbero essere elementi chiave di un importante attacco militare contro l’Iran. Ma secondo il Times of Israel, l’obiettivo dell’esercitazione congiunta era anche di mostrare agli avversari come l’Iran, che “Washington non è troppo distratta dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e dalle minacce della Cina“.

In Cisgiordania un altro palestinese è stato ucciso dai soldati israeliani questa mattina nella città di Hebron. Il Ministero della Salute palestinese ha identificato l’uomo come Nassim Abu Fouda. Secondo l’agenzia di stampa ufficiale palestinese WAFA, Abu Fouda è stato colpito mentre era alla guida della sua auto nei pressi della Tomba dei Patriarchi a Hebron. Un altro palestinese è stato ucciso ieri nei pressi della colonia di Kedumin a ridosso della città palestinese di Nablus.

La tensione in Cisgiordania è ormai schizzata alle stelle.  Le operazioni  militari israeliane hanno provocato la morte di 171 palestinesi nel 2022 e di altri 35 solo dall’inizio dell’anno., 2500 palestinesi sono stati arrestati. Nel 2022 sono stati uccisi 31 israeliani.

In Siria sette persone sono state uccise nei raid aerei di ieri sera in Siria contro un convoglio di camion che attraversava la parte orientale del Paese dall’Iraq. Un convoglio di 25 camion appartenenti a milizie anti USA, è stato attaccato nei pressi della città siriana orientale di Al-Bukamal mentre attraversava il confine con l’Iraq, ha riferito domenica sera la rete televisiva saudita Al Arabiya. Secondo il rapporto, almeno tre forti esplosioni hanno scosso l’area. Nell’area dell’attacco, secondo l’agenzia Ynet News,  sono stati osservati aerei presumibilmente appartenenti alle forze della coalizione statunitense.

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

1 Commento


  • Gianni Sartori

    Alleati dell’esercito statunitense quanto si tratta di combattere l’Isis sul terreno, i curdi siriani finiscono poi nelle “liste nere” di Washington.

    Mentre la prevista riconciliazione tra Ankara e Damasco ne mette in pericolo l’autonomia conquistata nel Rojava.

    CURDI TRA L’INCUDINE E IL MARTELLO

    Gianni Sartori

    Forse dire che i Curdi potrebbero tra breve cadere dalla padella direttamente nelle braci sarebbe eccessivo. In realtà ci stanno già da tempo.

    Il diritto legittimo, non solo alla sopravvivenza, ma anche all’autodeterminazione giustifica (a mio avviso perlomeno) alcune alleanze (presumibilmente provvisorie e solo militari) con soggetti talvolta poco presentabili (vedi gli USA). Anche perché siamo comunque in quello che magari impropriamente viene detto “Medio-Oriente” dove alleanze transitorie e rovesciamenti di fronte sono pane quotidiano.

    Tuttavia ci sarebbe da aspettarsi un po’ già di coerenza, linearità, se non proprio stabilità.

    Vedi la recente notizia (la denuncia del ricercatore Matthew Petti è stata pubblicata sul sito di Kurdish Peace Institute) secondo cui alcuni  comandanti curdi siriani delle FDS (Forze democratiche siriane) e dirigenti del PYD (Partito dell’unione democratica) come Salih Muslim e Asya Abdullah che nella lotta contro l’Isis agiscono in sintonia con i soldati statunitensi, contemporaneamente sono stati inseriti dal FBI nella lista delle persone sorvegliate per terrorismo.

    In particolare il nome di entrambi sarebbe reperibile nella lista Selectee, quella che elenca le persone a cui non è consentirò salire su un aereo statunitense.

    Per i curdi interessati si tratterebbe di una grave convergenza da parte del FBI con le richieste del MIT (il servizio segreto turco). Una contraddizione lampante. Nella migliore delle ipotesi, un cedimento alle richieste di Ankara.

    E non si tratta di figure sconosciute.
    Uno dei principali “sotto sorveglianza speciale”, Asya Abdullah, nel 2015 aveva incontrato il presidente francese mentre il figlio di Muslim è caduto nel 2013 combattendo contro al-Qaeda. Entrambi inoltre si sono incontrati con autorità, politiche e militari, statunitensi per concordare operazioni contro le milizie jihadiste.

    Almeno per Muslim, di cui la Turchia ha richiesto a più riprese l’arresto in quanto presunto membro del PKK (tuttavia nel 2013 era stato inviato ad Ankara per i colloqui di pace, poi sfumati), c’era un precedente. Nonostante le ripetute richieste del Congresso per concedere all’esponente curdo di poter entrare negli USA e poter parlare a Washington, tale permesso (un visto) gli era stato ripetutamente negato dall’ufficio immigrazione. 

    Ulteriore incongruenza. Mentre Muslin che ha sempre negato di avere legami con il PKK (definendo il PYD come una organizzazione distinta) si trova inserito nella lista di sorveglianza speciale e di interdizione al volo, dei nomi di due comandanti delle FDS come Mazlum Abdi e Ilham Ahmad i cui trascorsi nel PKK sono noti, non c’è traccia (almeno ufficialmente).

    Altri nomi curdi inseriti nella lista Selectee, quelli di Remzi Kartal e Zübeyir Aydar, ex membri del Parlamento turco (costretti forzatamente a lasciare il paese) e rappresentanti dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK), un coordinamento della diaspora curda in Europa di cui farebbero parte sia il PKK che il PYD. Per entrambi, come Muslim, un mandato d’arresto da parte della procura turca emesso dopo l’orrendo attentato del 2016 in cui sono rimasti uccisi 36 civili. L’atto criminale era stato rivendicato da un gruppo estremista curdo (I falchi della libertà, in aperto dissenso con il PKK) di cui è nota la deriva terroristica. Appare scontato che i tre esponenti curdi chiamati strumentalmente in causa dalla Turchia non avevano niente a che vedere con tale orrendo delitto. 

    Nella lista anche due membri del Congresso nazionale del Kurdistan (altra organizzazione della diaspora curda da tempo impegnata nella ricerca di una soluzione politica), Adem Uzun (arrestato in Francia nel 2012 e immediatamente rilasciato) e Nilufer Koç a cui ancora nel 2011 il Tesoro statunitense avrebbe imposto sanzioni finanziarie per sospetti legami con il PKK.

    Questo per quanto riguarda i rapporti con i Curdi da parte degli Stati Uniti. E la Russia? Direi che non li tratta meglio, anzi.

    Nonostante un approccio altalenante alla questione curda, tra varie incertezze e tentennamenti, anche la Russia sembra ormai schierata apertamente con Ankara (e anche con Teheran) per quanto riguarda la questione curda.
    Diversamente dal recente passato quando qualche dubbio lo manifestava, vedi nel 2021 l’incontro di Lavrov a Mosca con Ilham Ahmed, presidente del comitato esecutivo del Consiglio democratico siriano.

    Ulteriore conseguenza della guerra in Ucraina e del ruolo di “mediatore” assunto da Erdogan?

    Comunque sia, l’impressione che ne ricavano i curdi del Rojava è questa. Proprio Sergueï Lavrov il 31 gennaio ha dichiarato in conferenza stampa che qualsiasi novità, qualsiasi riunione in merito alla normalizzazione dei rapporti tra Ankara e Damasco dovrà vedere il coinvolgimento di Russia e Iran (insieme alla Turchia, entrambi membri della troïka di Astana).

    L’amicizia storica (per quanto non priva di incrinature, vedi quando la Turchia impose l’allontanamento di Ocalan) tra Erdogan e Bashar al-Assad si era frantumata con la guerra civile del 2011. Acqua (quasi) passata evidentemente.

    I negoziati proseguono, tanto che i capi dei rispettivi servizi segreti si sarebbero incontrati recentemente a Mosca (e non era certo la prima volta).
    Se per Damasco è prioritario che la Turchia ritiri i suoi soldati e le milizie che controlla dal nord della Siria (smettendo di sostenere, finanziariamente e militarmente, alcune delle forze di opposizione al regime), per Ankara l’obiettivo principale rimane quello di riuscire ad annichilire sia le FDS che le Unità dei protezione del popolo (YPG, quelle che si son fatte massacrare per sconfiggere l’Isis).
    E’ invece possibile che Bashar al-Assad non abbia rinunciato definitivamente a portare tali organizzazioni dalla sua parte. Spezzando una volta per tutte il legame tra i curdi siriani e l’ingombrante  presenza statunitense.

    Gianni Sartori

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *