Quito. Il 5 febbraio è stata una giornata corposa e ricca per la politica ecuadoregna. Si son svolte le elezioni comunali, regionali, quelle per il rinnovo dei membri del Consiglio di Partecipazione Cittadina e Controllo Sociale e 8 quesiti per il Referendum Costituzionale.
Si è cominciato con lo spoglio dei candidati a sindaco e governatore che vedono i seguenti risultati al 60% dello scrutinio. Le tre regioni più popolate e grandi del paese andrebbero ai candidati della lista 5 del partito della Revolución Ciudadana dell’ex presidente Rafael Correa.
Nella regione del Pichincha il binomio Pabón e Tonello si conferma per governare 4 anni ancora. Paola Pabón vince con il 28% contro il 25.6% del candidato di Pachakutik. Fuori gioco Del Pozo, promosso dal Governo, che si attesta al 15.6%.
Un’altra battuta d’arresto pesante per il governo avviene nella capitale dove il candidato governativo, Pedro Freile, viene battuto da Pabel Muñoz della RC con un 25% a 22%. Qui, l’altro candidato in corsa, Yunda (già sindaco di Quito) fermo al 23% si è già congratulato con il vincitore ammettendo la sconfitta e augurando allo stesso che il suo lavoro priorizzi il bene della città.
Nella regione costiera di Manabi, territorio con un forte radicamento della RC, vince con il 43% il candidato Orlando senza molti ostacoli. La grande e forse inaspettata sorpresa viene dalla Regione del Guayas e dal suo capoluogo Guayaquil dove la destra conservatrice costegna, rappresentata dal Partito social cristiano, perde Regione e capoluogo a favore dei candidati della RC.
Questa è senza dubbio la notizia più forte della giornata. La roccaforte storica del PSC viene espugnata dalla sinistra dopo tre decenni di governo. Cynthia Viteri, sindaca in carica del PSC non va oltre il 31% e viene sonoramente sconfitta dal candidato Álvarez con un 39.3%.
Infine, un’altra grande regione come quella dell’Azuay vede la vittoria delle opposizioni con il candidato Lloret. Fin qui i risultati delle principali città e regioni.
Ma il trend sembra confermarsi nella maggior parte del territorio nazionale ed anche nelle città minori come nel caso di Santo Domingo ed Esmeraldas (città della zona costiera) dove si affermano i due candidati della Revoluciòn Ciudadana rispettivamente con i seguenti dati: Erazo con il 61% e Villacís con il 30%. In Ecuador i sindaci e i governatori vengono eletti al primo turno senza ballottaggio.
Insieme alle elezioni comunali e regionali si sono votati ben 8 quesiti referendari costituzionali su temi molto rilevanti come: giustizia, sicurezza, partiti e movimenti politici ed ambiente.
Il presidente sul Referendum si è giocato tutto ed al momento è nuovamente sconfitto. Al 10% degli scrutini, il NO è in vantaggio in tutti i quesiti con ampi margini. Le due domande che avevano una forte disputa politica tra i gruppi politici del paese, e cioè la 5 e la 6 vedono i margini più ampi con un 6 a 4 a favore dell’opposizione. Eppure i sondaggi fino a qualche giorno fa davano in testa il SI senza mezzi termini e con distanze enormi.
Nell’immaginario collettivo si aveva la percezione che il Referendum avesse già un verdetto ancora prima di realizzarsi. Una su tutte, la domanda sulla riduzione dei parlamentari dagli attuali 137 a 100. Al momento è stata bocciata con un 56% a 44%. Qui, la storiella che per migliorare la qualità del Parlamento bisogna buttare fuori dallo stesso un po’ di deputati e senatori non è passata, anche perché sarebbero scomparse dalla rappresentanza territoriale le regioni più piccole e più povere del paese.
La vittoria del NO ci dice una cosa molto netta: il popolo dell’Ecuador ha bocciato su tutta la linea le politiche economiche neoliberiste del governo Lasso e la sua incapacità a gestire e risolvere gli enormi problemi che colpiscono il paese dopo 6 anni di Neoliberismo.
A queste elezioni Lasso è giunto già con una grande deficit di ossigeno. Secondo i sondaggi del CELAG di dicembre, Lasso figurava all’ultimo posto tra i presidenti dell’America Latina con il 17% di consenso popolare. Secondo altri sondaggi emanati ultimamente, non si registrava nessun cambio sostanziale.
Poi, come se non bastasse un mese fa, grazie a uno scoop del giornale La Posta, è uscito fuori un sistema di corruzione in cui figurerebbe il cognato dell’attuale presidente come il capo del sistema corruttivo. Il caso è conosciuto nel paese sotto il nome de: Il Padrino. Il Parlamento e la Magistratura hanno già attivate delle investigazioni sul caso.
Tutto questo ha generato indignazione e contrarietà nella popolazione del paese che non è più disposta ad accettare la delinquenza dilagante e l’assenza di un piano di governo che risponda ai problemi strutturali del paese. Il sistema sanitario è praticamente al collasso, 7 crisi delle carceri hanno già generato 400 morti, insicurezza, lavoro sempre più precario e sottopagato e distruzione costante dell’ambiente.
Lasso ha vinto le elezioni nello scorso 2021 con un programma politico basato sulla promessa (che ritorna) del milione di posti di lavoro, sull’incremento della produttività, sull’attivazione dell’economia e sui maggiori investimenti stranieri nel paese.
A due anni di governo l’unica cosa che sembra aumentare giorno dopo giorno e la delinquenza, sia spicciola che organizzata, che rende il paese più insicuro agli occhi di tutti. Il 2022 l’Ecuador ha chiuso con tassi di delinquenza tra i più alti della regione avvicinandosi a Messico e Colombia, storicamente insicuri e instabili.
Quando c’è insicurezza e la delinquenza dilagante non si può progettare il futuro, al massimo si cerca di sopravvivere nel presente. E chi viene a investire in un paese dove parte del territorio nazionale è in mano a bande armate e a gruppi delinquenziali sempre più organizzati? Noi in Italia con le mafie territoriali presenti ormai su tutta la penisola, ne sappiamo qualcosa.
Lo slogan di Lasso “più Ecuador nel mondo e più mondo in Ecuador” al momento si traduce con una nuova ondata di emigrazione ecuadoregna verso gli Stati Uniti e l’Europa (più Ecuador nel mondo) e l’omologazione alla Colombia degli anni ’80 in termini di criminalità (più mondo in Ecuador).
In questi giorni si attenderà la risposta del governo di fronte alla sonora sconfitta. Si prevede forse un rimpasto di governo per mettere in pratica il famoso motto del “cambiare per non cambiare” come scriveva Giuseppe Tommasi di Lampedusa nel famoso Gattopardo.
O forse si riprenderà con il racconto che non ammalia più nessuno del “la colpa è di Correa”. O forse si andrà avanti cosi due anni ancora continuando l’agonia di un paese in balia delle onde.
* da Pagine Esteri
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