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Brasile. Perché il Movimento Sem Terra fa paura?

Il MST (Movimento dos Trabalhadores Sem Terra), che ho visto nascere e a cui sono ancora legato, è il movimento più popolare, combattivo e democratico del Brasile. Oggi riunisce circa 500.000 famiglie insediate e 100.000 accampate. Si batte per un diritto elementare che non è mai stato realizzato in Brasile, un Paese di dimensioni continentali e dove ci sono molti senza terra e molta terra senza persone: la riforma agraria.

È a dir poco triste constatare che nel XXI secolo gli unici Paesi dell’America Latina che non hanno realizzato la riforma agraria sono stati Brasile, Argentina e Uruguay. Il modello di proprietà fondiaria che ancora esiste nel nostro Paese è quello delle capitanerie ereditarie. E il rapporto di molti proprietari terrieri con i loro dipendenti è poco diverso da quello dell’epoca della schiavitù.

Nato nel 1984 e in procinto di compiere 40 anni nel 2024, l’MST sapeva fin dall’inizio che il governo è come i fagioli, funziona solo in una pentola a pressione…

Sebbene sia stato determinante per l’elezione di Lula a presidente, l’MST non si è mai lasciato cooptare dal governo. Mantiene la sua autonomia e sa bene che il rapporto del governo con i movimenti sociali non può essere una “cinghia di trasmissione”, ma piuttosto una rappresentanza delle basi sociali negli organi di governo. Molti politici fanno il verso alla parola “democrazia”, ma temono che da mera retorica diventi, di fatto, un governo il cui protagonista principale è il popolo organizzato.

Il MST si distingue anche per la cura che dedica alla formazione politica dei suoi militanti, che molti movimenti e partiti di sinistra trascurano. I senza terra mantengono persino un proprio spazio di lavoro pedagogico, la Scuola Florestan Fernandes, a Guararema (SP). E in tutti gli eventi che promuove, il movimento valorizza il misticismo, cioè le attività ricreative (canti, inni, pannelli, ecc.) e i simboli (fotografie, artigianato, ecc.) di natura emulativa.

L’MST segue rigorosamente i dettami della Costituzione dei Cittadini del 1988. La Carta difende l’uso sociale della terra, che deve essere ecologico e produttivo. E richiede qualcosa che è ancora in sospeso e indispensabile se il Brasile vuole raggiungere uno sviluppo sostenibile e abbandonare la sottomissione ai dettami delle nazioni metropolitane, che ci impongono la mera condizione di esportatori di prodotti primari, oggi elegantemente chiamati commodities…

Occupazione non è invasione. Il MST non occupa mai terre produttive.

Oggi il movimento è il più grande produttore di riso biologico dell’America Latina e difende la Riforma Agraria Agroecologica, in grado di facilitare l’accesso alla terra come diritto umano; di produrre alimenti sani e sostenibili per tutta la società brasiliana; di offrire al mercato alimenti sani e privi di pesticidi; di valorizzare il ruolo delle lavoratrici rurali; di ampliare il numero delle cooperative agroecologiche; di espandere la sovranità alimentare e la biodiversità nella lotta contro la fame e l’insicurezza.

L’aggettivo “rosso d’aprile” non è un’evocazione del colore preferito dei simboli comunisti (e anche dei paramenti solenni dei cardinali), come vorrebbero interpretarlo i detrattori del MST. È, invece, il colore del sangue dei 19 senza terra crudelmente assassinati dalla Polizia Militare a Eldorado dos Carajás, nel sud del Pará, il 17 aprile 1996. Sette vittime sono state uccise con falci e machete, mentre le altre sono state uccise a distanza ravvicinata.

Circa 100.000 famiglie attendono di essere accolte in Brasile. Ed è quantomeno un disservizio per l’agrobusiness promuovere la deforestazione delle nostre foreste per espandere la frontiera agricola, godere di esenzioni fiscali sull’esportazione dei propri prodotti e concentrare la produzione su cinque soli prodotti di base: soia, mais, grano, riso e carne, controllati da grandi imprese transnazionali.

La fame sta crescendo nel mondo. Quasi un miliardo di persone ne sono già colpite. E questo non è il risultato di una mancanza di cibo. Il pianeta produce abbastanza per sfamare 12 miliardi di bocche. È il risultato di una mancanza di giustizia. Nel sistema capitalista, gli affamati muoiono sul marciapiede davanti al supermercato. Perché il cibo ha un valore di scambio e non di utilizzo.

Tuttavia, finché la produzione alimentare non segue standard agro-ecologici e la terra e l’acqua, risorse naturali limitate, non sono considerate patrimonio dell’umanità, la disuguaglianza tende ad aggravarsi e, con essa, ogni tipo di conflitto. Pace fa rima con pane.

L’MST fa paura perché lotta perché il Brasile, una delle nazioni più ricche del mondo e uno dei cinque maggiori produttori di alimenti, non è più un Paese periferico, colonizzato, segnato da una disuguaglianza sociale abissale.

Da Resumen Latinoamericano

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1 Commento


  • Gianni Sartori

    Mentre la lobbyng dell’industria agricola impone modifiche distruttive alla politica di Lula a sostegno degli Indios e delle foreste, gli indigeni manifestano vigorosamente.

    BRASILE: GLI INDIOS ESISTONO – E RESISTONO – DA MOLTO PRIME DEL 1988

    Gianni Sartori

    Aveva fatto ben sperare la decisa presa di posizione in difesa degli Indios di Inácio Lula da Silva appena eletto presidente del Brasile.

    Contro quello che possiamo definire quantomeno un tentativo di genocidio (operazione che il presidente di prima aveva non solo tollerato, ma anche favorito).

    Apprezzabile per esempio l’invio dei soldati nella riserva degli indigeni Yanomani (circa 30mila, tra gli stati di Roraima e Amazonas) dove la situazione era diventata ormai disperata (foreste devastate, inquinamento delle acque, malattie – malaria e altro -e denutrizione, soprattutto per i bambini).

    Una catastrofe umanitaria e ambientale, effetto collaterale (ma neanche tanto “collaterale”) dell’invasione di oltre 20mila cercatori d’oro fai-da te (illegali) che – oltre a disboscare e sparare agli indigeni – utilizzano il mercurio per estrarre l’oro, contaminato corsi d’acqua e falde acquifere. Non solo. In precedenza avevano anche distrutto almeno quattro tra centri medici e ambulatori.

    Lula, si diceva, aveva espresso non soltanto a parole l’intenzione di una radicale inversione di rotta.

    Ma ora sembra che stiamo tornando al punto di partenza.

    Un pessimo segnale è arrivato il 24 maggio quando deputati e senatori della Commissione mista (legati all’agro business) hanno votato a favore di una serie di – pessime – variazioni alla “misura provvisoria 1.154”. Indebolendo, di fatto invalidando, le possibilità di intervento dei ministeri dell‘Ambiente e dei Cambiamenti Climatici e dei Popoli Indigeni. Spingendosi a minacciare, oltre all’Amazzonia, anche il relativamente integro ecosistema costiero della Foresta Atlantica.

    Naturalmente i rappresentanti delle comunità indigene non sono rimasti a leccarsi le ferite, ma hanno reagito denunciando la nuova proposta di legge che renderebbe vuoti di contenuto i diritti degli autoctoni e alimenterebbe la deforestazione. Basti dire che limiterà la creazione di nuove riserve indigene solo alle terre che risultavano occupate dagli autoctoni prima del 1988 (anno della promulgazione dell’ultima costituzione brasiliana). Un elemento ulteriore che conferma la potenza della lobbyng dell’industria agricola.

    In questi giorni si stanno svolgendo molte proteste anche bloccando qualche autostrada e scontrandosi con la polizia. I manifestanti hanno inalberato cartelli con scritto “Noi esistiamo da prima del 1988”.

    Ricordando anche che molte comunità tribali vennero espulse con la forza dai loro territori ancestrali durante la dittatura militare (durata fino al 1985), rientrandovi solo in epoca più recente.

    Mentre gli indigeni impugnano archi e frecce, le forze dell’ordine sparano granate lacrimogene e utilizzano cannoni ad acqua.

    Attualmente i territori indigeni formalmente riconosciuti in Brasile sono 764 (la maggior parte in Amazzonia). Ma quasi la metà non sono state ancora delimitate rimanendo sospese in una sorta di limbo legislativo.

    Gianni Sartori

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