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I palestinesi dicono stop all’aggressione permanente israeliana

Martedi 20 giugno, due giovani palestinesi hanno aperto il fuoco all’ingresso della colonia Eli, sulla strada Ramallah-Nablus, vicino ad un distributore di benzina. In questa operazione, sono rimasti uccisi quattro coloni israeliani e altri quattro sono rimasti feriti.

L’operazione palestinese non è solo una risposta ai recenti crimini di guerra israeliani, ma piuttosto fa parte di una visione nazionale condivisa dalla maggioranza dei Palestinesi, che ha raggiunto una profonda conclusione, dopo l’escalation dei crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano e dai suoi protetti branchi di coloni sionisti e fascisti.

Inoltre questa visione nazionale è una denuncia del nemico sionista-statunitense per il suo rifiuto dell’opzione di pace, la sua liquidazione della soluzione dei due Stati, sui confini del 4 giugno 1967, e il suo trincerarsi nel terrorismo di stato contro il popolo arabo palestinese, in attuazione del piano di pulizia etnica.

La scelta della resistenza, per ripristinare il rispetto dell’orgoglio nazionale, è la via più breve per colpire gli Israeliani con le stesse modalità, logica e strumenti. Spesso i Palestinesi vengono uccisi senza motivo, durante la resistenza popolare – mentre sono a mani nude di fronte a fucili ad alta tecnologia – nei posti di blocco, nei campi e nel contesto di sospetto o paura con cui il soldato lotta, e non c’è responsabilità o dolore, all’interno dello “sport dell’uccisione”, praticato dalle forze d’occupazione.

Sono continue le incursioni armate in città, villaggi, case private, ugualmente si compiono arresti giornalieri di dozzine di Palestinesi, prelevati forzatamente dalle proprie case, o di manifestanti pacifici della resistenza popolare.

Sì, i Palestinesi vengono quotidianamente arrestati e imprigionati dall’esercito sionista, e le loro case vengono demolite e tali notizie passano inosservate, come se fossero notizie normali!

Nell’ambito di questo “sport di uccisione”, qualsiasi colono può bruciare, uccidere, picchiare o attaccare con il sostegno o la complicità dell’esercito israeliano, come se l’intera area della Cisgiordania si fosse trasformata in un poligono di tiro!

La stessa Moschea di Al-Aqsa viene presa d’assalto, ogni giorno, con l’obiettivo della giudaizzazione e divisione del terzo luogo sacro all’Islam. Nello stesso contesto, la Moschea di Abramo, a Al Khalil (Hebron), viene perquisita, così come vengono prese d’assalto Sebastia, la tomba di Giuseppe a Nablus e altri siti religiosi o archeologici.

Tali notizie, all’estero, passano inosservate, come se fossero notizie normali! Ma non è così per chi subisce, sul campo e sulla propria pelle, l’angheria dell’occupazione. Non è affatto così che la storia viene raccontata dagli Israeliani, che mettono in luce solo l’operazione palestinese contro i propri coloni che occupano la terra della Cisgiordania! O contro il proprio esercito sempre aggressivo, pesantemente armato, mentre la sacrosanta reazione palestinese diventa terrorismo! La macchina della propaganda sionista non può trasformare la realtà dell’occupazione in un’equazione: Operazione-Reazione-Operazione-Reazione.

È come se l’israeliano o il terrorista colonizzatore stesse difendendo se stesso, mentre è lui la radice del problema e il responsabile dell’occupazione, ed è lui che costantemente compie l’attacco terroristico. Infatti, la sola presenza dell’occupazione e degli insediamenti stabiliti sulle terre dei palestinesi, da un lato, e il supporto e le relative pratiche dell’esercito sionista e delle bande di coloni/colonialisti, dall’altro, costituiscono un forte appello alla resistenza, presentato come dono e dono dall’israeliano al palestinese.

L’occupante può pensare di avere a che fare con delle pietre, non con essere umani. Con pietre che non sentono o pensano e non hanno sentimenti o un’anima, quindi ai Palestinesi non è richiesto nulla se non la sottomissione, sottomissione e resa, o una pallottola in fronte.

Questo è ciò che i Palestinesi non hanno mai accettato, né in passato né oggi, né tantomeno accetteranno domani. L’ideologia di estrema destra, su cui fonda la propria azione l’attuale governo sionista, investe l’esercito e i colonizzatori, e deriva dall’ideologia dello stesso Netanyahu ed è chiaramente condivisa dai due ministri Ben Gfir e Smotrich.

Il re dell’estremismo, il ministro Smotrich, secondo il ricercatore israeliano Tomer Persico, afferma che:” I Palestinesi non hanno diritto all’autodeterminazione come entità politica sovrana”. Pertanto, il compito è “infondere nella coscienza degli arabi e del mondo intero l’idea che non vi è alcuna possibilità di istituire uno Stato arabo sulla terra di Israele”, presentando tre opzioni per i Palestinesi: 1) emigrazione, 2) lotta /terrorismo, e verranno uccisi donne, uomini e bambini, 3) arrendersi all’interno dei ghetti come residenti, non cittadini.

Ma il palestinese non se ne andrà, e non è più disposto a lasciare la sua Patria. L’esperienza della Nakba nel 1948, la battuta d’arresto e la sconfitta nel 1967, con le sue tragedie, lo sfollamento e la dispersione nei paesi della diaspora e dell’esilio, non esistono più nella coscienza individuale e collettiva palestinese.

A seguito dell’operazione di martedi nella colonia “Eli” e della creatività difensiva dei cittadini nella città e nel campo di Jenin e nel governatorato in generale l’altro ieri, è arrivata la conferma che la morte potrà colpire anche gli Israeliani, che non avranno né pace né sicurezza, finché anche i Palestinesi non ne godranno. Perché la morte gratuita del palestinese non è più consentita.

“Rimarremo qui nella nostra Patria”, racconta un giornalista palestinese: “Saldi, radicati e combattendo con ciò che è nelle nostre mani: la volontà e l’appartenenza alla nostra identità e alla nostra identità nazionale palestinese e araba, fino a quando non saranno pienamente raggiunti nostri obiettivi, e non diminuiti. Essere o non essere, noi ci saremo e come vogliamo”.

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1 Commento


  • Pasquale

    Solidali con i fratelli palestinesi fino alla vittoria.

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