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Francia: le convulsioni di una democrazia crepuscolare

Aggiornamenti. Un 27enne è morto nella notte fra sabato e domenica scorsa a Marsiglia per il probabile “shock violento a livello del torace” causato da un proiettile di “tipo flash-ball”, usato dalla polizia.

Lo ha reso noto la procura di Marsiglia.

La stessa procura precisa che “disordini e saccheggi si registravano nella zona quella notte, anche se non è possibile determinare se la vittima vi partecipasse o se stesse solo circolando nei paraggi“.

Gli elementi dell’inchiesta – precisa una fonte della procura di Marsiglia – permettono di considerare come probabile un decesso causato da uno shock violento al livello del torace provocato da un proiettile di ‘tipo flash-ball’“. La fonte conferma notizie che erano state diffuse dal quotidiano regionale La Marseillaise e dal settimanale Marianne.

L’impatto” del proiettile “ha provocato un arresto cardiaco e quindi la morte in un intervallo breve“, ha aggiunto la procura, precisando di aver aperto “un’inchiesta per ferite mortali provocate da uso o minaccia di un’arma“.

Marsiglia, seconda città della Francia, è stata teatro di gravi scontri fra polizia e gruppi di giovani manifestanti, oltre che di saccheggi, durante il fine settimana. Uno schieramento di polizia molto imponente è stato deciso nella notte fra sabato e domenica dopo che nella precedente si erano verificati scontri molto violenti.

Fonte: Ansa

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Con una battuta che circola sui social in Francia, potremmo dire che, ad una settimana dall’assassinio del diciassettenne da parte della polizia, i soli accusati sono i genitori, le reti sociali, i video-giochi e La France Insoumise.

Riferendo all’Assemblea Nazionale la prima ministra Elizabeth Borne ha detto che la risposta che verrà data sarà la “mobilitazione delle forze dell’ordine” – 45 mila agenti tra polizia e gendarmerie sono schierati dal fine settimana, cioè 1/4 di tutti gli effettivi totali disponibili – la “fermezza nella risposta penale” nei processi che si stanno celebrando portando a dure condanne dei giovanissimi, la “responsabilizzazione delle reti sociali” ed in ultimo il ricordare le proprie responsabilità genitoriali alle famiglie dei minori.

Non una parola sulle ragioni strutturali che stanno alla base della rivolta scoppiata martedì scorso.

La Borne, continuando il fuoco di fila contro gli insoumise – rei di non avere condannato le violenze degli insorti e di avere definito una “rivolta” ciò che è accaduto – ha ribadito che non la LFI “non si colloca nel campo repubblicano”.

Questo mentre dal governo non si sono levati voci critiche contro il comunicato del maggiore sindacato di polizia – Alliance – che, insieme alla categoria degli agenti dell’UNSA,  aveva affermato in un comunicato ufficiale di “essere in guerra contro un orda selvaggia”.

Il Ministro della Giustizia Dupont-Moretti ha glissato, il giorno del comunicato, dicendo che la presa di posizione è propria della “libertà sindacale”.

Così come è calato il silenzio sui gruppi di neo-fascisti spalleggiati dalle forze dell’ordine che si sono dati da giorni alla “caccia all’arabo” in differenti città, come ha tra l’altro ben documentato una inchiesta di Mediapart.

La raccolta di fondi – “cagnotte” – lanciata dal neo-fascista Jean Messiha, ex portavoce di Zemmour, in favore del poliziotto che ha ucciso Nahel – è arrivata ad un milione e mezzo di euro è stata chiusa dalla mezzanotte di martedì.

In Francia, insomma, un poliziotto che uccide un minorenne incensurato in un controllo, dopo averlo minacciato ed aggredito, stando ai video e anche secondo le testimonianze di coloro che erano con lui nell’auto, diventa milionario!

Nella stessa giornata di martedì, il presidente francese Macron, ha incontrato i sindaci dei circa 250 comuni che sono stati coinvolti dalle rivolte nell’ultima settimana, promettendo l’approvazione di una “loi d’urgence” per la ricostruzione degli edifici pubblici danneggiati o distrutti.

Sono 140 i comuni della regione metropolitana parigina ad essere stati toccati, circa 1/10, e non c’è città di media grandezza, né Territorio d’Oltre-Mare (DOM-TOM), di fatto risparmiato dall’insorgenza.

É uscito un primo bilancio di cifre attinenti a ciò che successo nella settimana successiva all’assassinio di Nahel M. A Nanterre.

Dal 27 giugno al 3 luglio sono state fermate 3.486 persone, di cui una buona parte giovanissime: le varie inchieste giornalistiche stimano che hanno partecipato alle rivolte giovani anche di 12/13 anni.

1.105 edifici sono stati assaltati, tra cui 289 tra commissariati e Gendarmerie e 370 filiali bancarie.

In totale gli incendi ‘in pubblica via’ sono stati 12.202.

Sono stati feriti 808 agenti.

Numeri notevoli che avrebbero bisogno di un supplemento di riflessione accurata, ma che l’esecutivo sta aggirando criminalizzando chi mette in luce – come Jean-Luc Mélenchon – le ragioni di questa rivolta popolare, ed ignorando le analisi che evidenziano la condizione della parte dei ceti subalterni che vive in banlieu: precarietà lavorativa, segregazione urbana, razzismo istituzionale ed una “stigmatizzazione” culturale che continua ad attecchire in una parte importante dell’opinione pubblica, agitata dagli “imprenditori professionali del razzismo” che ne hanno fatto una forma di ascesa e rendita politica, come la famiglia Le Pen.

Partiamo da un aspetto particolarmente preoccupante.

Quello che si è visto è un dispiegamento di forze dell’ordine impressionante con la mobilitazione di uomini e mezzi delle unità specializzate: la Brigade de recherche et d’intervention (BRI), Recherche, assistance, intervention, dissuasion (RAID) e il Groupe d’intervention de la gendarmerie nazionale (GIGN).

Giovedì 29, il Ministro dell’Interno Darmanin ha dato disposizioni affinché la gendarmeria intervenisse con le funzioni della polizia ordinaria, e poi di fare intervenire le unità specializzate di entrambi i corpi.

Una prova di forza, di fatto, sia dal punto di vista operativo che psicologico, che ha travalicato la semplice “gestione dell’ordine pubblico” mirante a tenere a distanza i manifestanti, ma ingaggiando lo scontro con i blindati del RAID e della BRI, ed i mastodontici 4X4 Centaure (14,5 tonnellate di peso e 7,4 di lunghezza), oltre agli elicotteri che dalle 19 sorvegliavano tutte le zone sensibili.

Una vera e propria ‘guerra contro-insurrezionale in contesto urbanoì, insomma.

RAID e BRI sono stati autorizzati ad utilizzare munizioni “beanbags”, che sono state usate negli émeuts in Guadalupe e nelle Antille alla fine del 2021, poi a Mayotte durante l’operazione “Wuambushu” contro l’immigrazione clandestina, un vero e proprio episodio di urban warfare.

Più precisi e di portata superiore alle LBD – le famigerate “pallottole di gomma” – sono anche criticate per il rischio di ferite gravi.

Ed infatti a Mont-Saint-Martin, un giovane di 25 anni è in coma dopo esser stato colpito da uno di questi proiettili da parte di un membro del RAID, su cui l’organo di ispezione interna della polizia (IGPN) ha aperto una inchiesta per “violenza volontaria”.

Si tratta di un ulteriore dispositivo militare “sdoganato” nella nuova gestione dell’ordine pubblico in caso di violenze urbane, dopo essere stata sperimentata nei Territori d’Oltremare che – con una dinamica a cui abbiamo già assistito -potrà diventare “normale” in occasioni di altre manifestazioni.

La principale missione delle forze d’élite è stata quella di procedere a fermi di massa: quasi 3.500 in meno di una settimana.

Per paradosso, nonostante non sia stato promulgato “l’etat d’urgence”, come ha chiesto a gran voce dai gollisti e dall’estrema destra, il livello di militarizzazione è stato maggiore, e sono stati utilizzati tutti gli strumenti a disposizione e con grande celerità, segno di una pianificazione del modus operandi in questa tipologia di casi.

Dismetti di fatto un “piano per le periferie”, come ha fatto la precedente presidenza Macron con il dossier dell’ex ministro Jean-Louis Borloo, ma pianifichi bene l’intervento militare in caso di rivolta delle periferie.

Analizziamo un secondo aspetto, di cui vedremo nel tempo gli effetti.

E’ stato poco messo in luce ciò che è successo intanto nel Maghreb, la cui popolazione ha seguito con grande attenzione gli eventi francesi, e le reazioni molto dure di alcune testate locali, come l’algerino El Khabar – paese d’origine della famiglia di Nahel e prima comunità di provenienza dell’immigrazione in Francia – che ha scritto «la Francia rifiuta di riconoscere i suoi errori, una volta di più».

Parole come pietre.

«Un fatto drammatico mette la Francia di fronte al suo intestardirsi a non ammettere un passato coloniale violento. La Francia continua a marginalizzare le generazioni d’immigrati. Ha rifiutato, benché siano nati sul territorio, dei francesi che godono di tutti i diritti».

Cittadini di serie B, insomma.

Zyed Krichen, cronista radiofonico della trasmissione tunisina Midi Show e direttore del quotidiano Le Maghreb, ha detto durante la diretta: «non è solo il rapporto della polizia con i cittadini, è anche la questione della relazione che questo paese ha con le generazioni d’immigrati che si trovano. Si parla di ‘modello repubblicano’, ma il sentimento di “hogra” [un termine che designa alla stesso tempo il disprezzo, l’esclusione, l’ingiustizia e l’oppressione, ndr] è molto presente».

Ricordiamo che circa un milione di tunisini – 1/10 della popolazione – vivono in Europa, di cui una buona parte in Francia.

Ciò che è successo è un elemento di ulteriore “frattura” tra le due sponde del Mediterraneo. L’Unione Europea – non solo Parigi – ne esce con le ossa rotte rispetto alla sua capacità d’attrazione, o di auto-rappresentarsi agli occhi di milioni di magrebini come giardino rispetto alla “loro” giungla.

Terzo aspetto.

I quartieri popolari sono nuovamente il “punto di caduta” per chi governa la Francia usando o sdoganando termini ottocenteschi rispetto ai subalterni; definizioni che rimandano ad una concezione pre-liberale della questione sociale, in cui le classi lavoratrici erano  tout court ‘pericolose’.

Classi a cui bisogna fare la guerra, quella vera – “cinetica”, direbbero i militari – se si rivoltano.

Come ha scritto Ernwan Ruty su una Tribune del quotidiano francese “Le Monde”: «il potere si è diluito in una mega-macchina burocratica, con la quale i deboli corpi intermedi associativi non giungono più a costruire un progetto di una certa durata».

C’è un vuoto, una “zona d’ombra” dove lo Stato ha abdicato tutte le sue funzioni mantenendo solo quelle quelle repressive, che poi esercita su tutto il corpo della classe.

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2 Commenti


  • E Sem

    L’apertura di una valvola di scarico, per ridurre tensioni pericolose e per testare la tenuta dell’ impianto potrebbe rientrare nelle chiavi di lettura dei fatti recenti in francia. Sembra tutto programmato da tempo. Il controllo delle flebili resistenze popolari sembra quasi completato in ue. Il sacco europeo può continuare indisturbati.


  • Maurizio

    Sono due colonialismi, inglese e francese, che esplicitano errori di scelte politiche diverse che danno una eisp8in termini antropologici e di nazionalizzazione diversa, si deve saper stare anche dalla parte dei francesi che si sentono asserragliati in casa loro per errori di visione che non li hanno coinvolti o non li hanno coinvolti per una questione meramente generazionale

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