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La Turchia ridimensionata, tra Nato e gasdotti

Dunque pare, almeno stando all’ultima dichiarazione di Stoltenberg, che Erdoğan si sia accordato col Primo Ministro svedese Kristerrson e abbia accettato di appoggiare l’ingresso della Svezia nella NATO.

Sappiamo anche che, in maniera non proprio velata, aveva provato a barattare la ripresa delle trattative per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea in cambio del via libera alla Svezia, ma Scholz (e immagino anche qualcun altro) si è immediatamente detto contrario, ma chissà se questa cosa è vera.

Qualcosa, ad ogni modo, sicuramente l’avrà guadagnata, come è in fondo giusto che sia. Di certo la sua posizione, nell’ultimo periodo, si è un po’ indebolita.

Peskov, in maniera anche qui non proprio velata, l’altroieri aveva affermato che nel contesto della preparazione del vertice NATO di Vilnius la Turchia è stata messa molto sotto pressione e deve dimostrare la sua solidarietà – “lo capiamo molto bene“, ha aggiunto, un dettaglio che non sarà piaciuto all’amor proprio di Erdoğan.

Peskov ha comunque ribadito che la scarcerazione dei capi Azov prigionieri in Turchia è una violazione degli accordi presi a suo tempo, è legata agli insuccessi della controffensiva ucraina e “non è un buon segnale per nessuno“.

Sempre l’altroieri Lavrov, in un colloquio con il Ministro degli esteri turco Hakan Fidan (e non è che si sentano tutti i giorni) aveva sì ribadito la necessità di mantenere e rafforzare i rapporti tra Russia e Turchia, ma anche espresso la sua contrarietà sulla questione del rilascio dei prigionieri.

Hanno poi discusso della questione del grano: non sappiamo cosa si sono detti, solo che si risentiranno. Non molto incoraggiante.

Che la Russia ci sia rimasta male, diciamo così, è abbastanza evidente. Il problema è cercare di capire perché la Turchia si sia decisa per questa mossa che non solo arriva a sorpresa, ma viola un accordo sottoscritto, all’epoca, senza problemi.

La spiegazione di Peskov (la “pressione” NATO) convince poco. Il ritorno dei cinque ex-combattenti ora decisamente in sovrappeso non è di alcuna utilità pratica per l’Ucraina, al di là della photo-opportunity di Zelensky a Lviv con i redivivi (almeno hanno avuto la decenza di non celebrare la cosa davanti al monumento a Bandera…).

Non credo che i cinque torneranno al fronte in tempo breve, e non so quanto la nuova leadership del rinnovato battaglione Azov li rivoglia in un ruolo di comando.

Incidentalmente, se tornassero al fronte violerebbero l’articolo 117 della Convenzione di Ginevra, che recita “Nessun rimpatriato potrà essere adibito a un servizio militare attivo“, ma insomma sono questioni di lana caprina, come le cluster bomb che improvvisamente non sono più un crimine di guerra.

Tanta poca importanza pratica ha questo gesto, che qualcuno si spinge a considerare che sia stato voluto da Ankara proprio per non guastare ulteriormente i rapporti con la Russia, impegnandosi in un atto di cosmesi che non ha conseguenze, così come non ha conseguenze la dichiarazione, sempre di Erdoğan, che l’Ucraina merita di entrare nella NATO, cosa che sappiamo bene non succederà.

Insomma, un po’ di chiacchiere e un gesto alla fine inoffensivo per levarsi dai guai, ma nessuna concessione seria.

Non so, la cosa mi lascia dubbioso. Perché, come avevo già accennato, problemi tra Russia e Turchia ultimamente ce ne sono, soprattutto in Siria, dove le FFAA siriane con l’appoggio pratico dell’aviazione russa stanno attaccando le basi dei miliziani filo-turchi a Idlib, in ottemperanza al principio, stabilito dalla Lega Araba, del necessario rispetto dell’integrità territoriale della Siria e del ripristino dell’autorità governativa su tutto il territorio nazionale.

Questo principio è stato ribadito da Lavrov e dai rappresentanti del Consiglio di Cooperazione del Golfo che, guarda la coincidenza, proprio ieri si sono riuniti a Mosca.

Ad ogni modo, liberazione o meno, gli affari tra Russia e Turchia procedono. C’è sempre quel progetto di fare della Turchia l’hub del gas russo nel Mediterraneo, no? Ecco, non lo so.

Nel senso, il progetto c’è, ma la sua implementazione pratica è cosa ancora da definire. E quanto conveniente sarebbe, per la Russia, affidarsi a un paese che comunque fa parte della NATO, soprattutto se “sotto pressione”?

Senza contare che poi ci sarebbe da appoggiarsi anche all’Azerbaijan, altro paese sempre disposto a fare affari, ma non troppo affidabile dal punto di vista politico. E che la Russia non sia più disposta a mettere, come si dice, tutte le uova in un solo paniere, lo dimostra uno sviluppo degli ultimi giorni.

Il 19 maggio avevo parlato del corridoio “nord-sud”, in rosso sulla carta, che avrebbe messo in collegamento Russia, Azerbaijan e Iran per poi sfociare nell’Oceano Indiano (https://www.facebook.com/photo/?fbid=10161394634982241&set=a.402538507240), bypassando sia la strettoia del Baltico, ormai quasi interamente un mare NATO, che quella dei Dardanelli.

Il corridoio, però si reggeva appunto anche sulla partecipazione dell’Azerbaijan, che si tira sempre dietro l’ingombrante alleato principale, la Turchia, perché la sola idea di spostare le merci attraverso il mar Caspio doveva fare i conti con le infrastrutture iraniane sulla costa, assai poco sviluppate e mal collegate col resto del paese.

La Russia ci vuole investire un bel po’ di soldi, anche per dare una mano al nuovo alleato, ma nel frattempo ha bisogno di un collegamento più stabile per arrivare direttamente dal suo partner commerciale più importante, la Cina.

E il 7 luglio il governatore di Astrahan (che ho segnato con lo spillino sulla carta) ha detto che sta entrando in funzione il “collegamento multimodale” del “corridoio commerciale meridionale” tra Russia, Turkmenistan, Uzbekistan e Kirghizistan (tutti e tre paesi della Belt and Road cinese, tra l’altro) che non solo trasporterà merci russe e cinesi attraverso lo Xinjiang, ma taglierà fuori dal traffico sia l’Azerbaijan che il Kazakistan, altro paese con una politica a dir poco ambigua nei confronti della Russia attraverso il quale ora transita la totalità del commercio russo con le tre repubbliche ex-sovietiche dell’Asia Centrale.

In sintesi, procede il “decoupling” russo dall’Occidente e dai paesi che con l’Occidente hanno rapporti cordiali, con la costruzione di molte vie di commercio indipendenti sia terrestri che marine per evitare quanto avvenuto in Europa, con l’Ucraina nazione ostile e i gasdotti del Baltico fatti saltare.

Questa cosa alla Turchia non credo faccia piacere, soprattutto se si accompagna alla distruzione delle sua basi in Siria.

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Mentre ieri mattina si è aperto il vertice NATO a Vilnius (per discutere del quale vorrei aspettare almeno stasera) e ieri i nostri giornali battevano entusiasti la notizia che Bahmut era accerchiata e i russi in trappola, sia fonti russe che ucraine confermano che, un po’ a sorpresa, le truppe russe hanno preso il controllo della statale Kreminna-Tors’ke e si sono stabilite alla periferia orientale della cittadina, che era stata abbandonata insieme a tutta l’area il 2 ottobre.

Era da un po’ che si segnalavano piccole avanzate in quel settore del fronte; la velocità dell’operazione, tre chilometri in poche ore, lascia intendere che molto probabilmente i difensori si sono ritirati – resta da capire perché, e se hanno intenzione di tornare.

Se Tors’ke dovesse passare sotto controllo russo la testa di ponte ucraina a est del fiume Zherebets sarebbe in pericolo, e se i russi riuscissero a prenderne il controllo Sivers’k si troverebbe di nuovo minacciata da tre lati.

In molti ritengono che, esaurita definitivamente l’offensiva ucraina, saranno i russi ad attaccare: è possibile che questa sia la prima fase della contro-controffensiva, o semplicemente un successo opportunistico che non porterà a sviluppi immediati.

Come al solito bisognerà attendere per avere un quadro più chiaro.

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