I risultati delle elezioni spagnole di questa domenica sono stati disastrosi per gli indipendentisti catalani: rispetto alle precedenti elezioni statali del 2019, Esquerra Republicana de Catalunya esce dimezzata, con una perdita del 52%.
Junts per Catalunya registra un meno 25% e la Candidatura d’Unitat Popular (CUP) un meno 40%. In termini di seggi ERC ne ha perduti sei (e ne conserva sette), Junts uno (ne conserva sette) e la CUP due (e rimane fuori dal Congresso).
Si tratta di dati impietosi che vanno però letti alla luce dell’evoluzione del contesto politico catalano di questi ultimi anni.
L’elettorato indipendentista si trova nel mezzo di un periodo di indubbio riflusso dovuto innanzi tutto alla repressione: questa settimana la fiscalia (controllata dal governo socialista) ha chiesto fino a 14 anni di condanna per alcuni giovani accusati di partecipare agli scontri di piazza Urquinqona del 2019.
Ma è anche e soprattutto grazie all’indulto concesso ai leader del referendum del primo ottobre e all’apertura di un inconcludente negoziato con ERC, che i socialisti sono riusciti nella non facile impresa di narcotizzare il movimento indipendentista.
In questo vasto e plurale settore serpeggia da tempo la delusione per la lenta deriva intrapresa dai partiti indipendentisti nel periodo successivo al primo ottobre, tanto che già alle elezioni comunali del maggio scorso, quest’ultimi avevano registrato un generalizzato calo (soprattutto ERC).
La delusione per la linea delle tre formazioni indipendentiste (che certo hanno un peso e delle responsabilità differenti) ha portato i Comitès de Defensa de la República a fare una campagna per il voto nullo o per l’astensione alle elezioni spagnole della scorsa domenica.
In un comunicato del 28 giugno, i comitati affermavano di considerare questo boicottaggio come un avvertimento ai partiti che si sono accordati col Partit dels Socialistes de Catalunya e che nei fatti hanno accettato il ritorno alla gestione dell’autonomia regionale, mettendo in soffitta il mandato del referendum del 2017.
Questa insoddisfazione non si è manifestata solo nell’area radicale dei CDR, dove risulta in qualche modo più prevedibile e comprensibile, ma ha investito invece anche l’Assemblea Nacional Catalana, un settore per così dire più istituzionale del movimento.
In seguito alla pressione interna, l’ANC ha infatti tenuto una consulta per decidere se fare campagna per il non voto alle elezioni spagnole e il risultato, pur rigettando l’astensione, ha segnalato la presenza di una consistente area interna (38%) decisa a boicottare le urne.
Si tratta di un fatto significativo dato che l’ANC ha una grande capacità di mobilitazione e di influenza sull’universo indipendentista. Basti ricordare che è l’ANC che negli anni scorsi ha ripetutamente organizzato le manifestazioni oceaniche per celebrare la diada catalana dell’11 settembre e rivendicare l’indipendenza.
Non è finita: anche la CUP ha tenuto un referendum interno sulla partecipazione alle elezioni per il Congresso spagnolo. Il precedente del 2019 era incoraggiante dato che, pur essendo la prima volta che si presentava, la formazione anticapitalista e indipendentista aveva ottenuto due deputati a Madrid. Ebbene nonostante il lavoro svolto in questi anni al Congresso, il 39% dei militanti si è espresso a favore della non partecipazione.
Date queste premesse potrebbe insinuarsi la tentazione di fare come la volpe con l’uva e non dare il dovuto peso al crollo elettorale di domenica scorsa. Indubbiamente esiste un settore indipendentista che non vede l’utilità di avere dei propri rappresentanti al Congresso, un settore deluso dai partiti che opta per la riapertura del conflitto con lo stato e che ha usato l’astensione per manifestarsi.
L’analisi del voto sembra inoltre confermare questa lettura: in tutte le sezioni dove è cresciuta l’astensione, ERC, Junts e la CUP registrano una perdita di voti. Ossia sono gli elettori indipendentisti che si sono astenuti.
Si può rilevare inoltre un’altra correlazione significativa: in tutte le sezioni dove ERC perde voti il PSC cresce, tanto da poter parlare di un vero e proprio travaso di preferenze dai repubblicani ai socialisti.
Questo effetto sembra dovuto in parte al voto utile per sbarrare il passo alle destre, in parte al fatto che davanti all’originale della proposta del PSC (fatta di puntuali miglioramenti nei servizi pubblici, nel sociale e nell’educazione) e la copia di ERC (che rinvia sine die l’autodeterminazione) l’elettorato ha scelto la proposta originale targata socialista.
Per quanto riguarda la CUP, ha patito anch’essa un significativo travaso di voti, in questo caso a beneficio di Sumar. Sia nel caso di ERC che della CUP, questo massiccio spostamento di voti si spiega anche con il ritorno del voto differenziato, con il quale l’elettore esprime preferenze differenti a seconda che voti per la camera catalana o per il parlamento spagnolo.
Del resto questa dualità del voto è stata per decenni un’abitudine assai diffusa nell’elettorato catalano, alla quale solo lo sviluppo del movimento indipendentista aveva messo fine e che si è invece di nuovo manifestata nell’ultima tornata elettorale.
Ci sono così diversi elementi che potrebbero indurre a sottovalutare la disfatta indipendentista di domenica scorsa. Astensione, voto utile, voto differenziato…, sia come sia l’avvertimento ai partiti indipendentisti è chiaro e sarebbe un errore non prenderlo in seria considerazione.
Per il momento però ERC non sembra aver fatto alcuna autocritica significativa, mantenendosi sulla linea della trattativa con il PSOE.
Non è questo invece il caso della CUP. Seppur dopo aver ricordato che la maggior parte del percorso dell’esquerra indipendentista si è snodato fuori dalle istituzioni (la CUP nasce infatti come un progetto radicato nei territori, ma non necessariamente nelle istituzioni), Albert Botran si è dimesso dalla carica di portavoce del partito.
Contemporaneamente la segreteria nazionale ha emesso un comunicato nel quale si ammette che la formazione anticapitalista “non ha fatto una buona lettura della situazione, del clima, del momento, dell’esaurimento e della stanchezza” che caratterizzano il quadro politico catalano.
La segreteria ha invitato inoltre ad aprire un “dibattito strategico profondo, con tutta la complessità e gli spazi necessari per permettere un processo di rifondazione del progetto dell’unità popolare”, nella convinzione che la CUP “possa e debba essere uno strumento utile che occorre affilare”.
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